Secondo l’Istituto Superiore di Sanità Epicentro (ISS), in Italia si registrano circa 4.000 suicidi all’anno. Una cifra simile si riscontra in Spagna, dove nel 2021 l’Osservatorio dei suicidi ha rilevato un totale di 4.004 morti per suicidio. Inoltre, secondo l’Associazione internazionale per la prevenzione del suicidio (IASP), per ogni suicidio ci sono molti più tentativi o persone con gravi ideazioni. È anche la più frequente causa di morte prevenibile in Spagna, secondo Víctor Pérez Sola, psichiatra e direttore dell’Istituto di Neuropsichiatria e Dipendenze del Parc de Salut Mar.
Il suicidio non coinvolge solo le persone che perdono la vita, ma ha anche un impatto profondo e significativo sul resto della società. Secondo l’Organizzazione Panamericana della Sanità, «i suicidi e i tentativi di suicidio hanno un effetto domino che colpisce le famiglie, le comunità e le società». Inoltre, come sottolinea l’Asociación Con Salud Mental, questo comportamento, oltre all’individuo stesso, «ha un impatto intimo su almeno altre sei persone». La prevenzione della mortalità per suicidio è quindi una «sfida universale che riguarda milioni di persone», oltre che una questione di «importanza globale e una preoccupazione vitale per la salute pubblica», afferma la IASP.
Per affrontare la prevenzione del suicidio, è essenziale tenere conto della sua natura multifattoriale, cioè del fatto che non risponde a un’unica causa ma è il risultato di numerosi fattori «genetici, biologici, individuali e ambientali», secondo l’ISS. Uno dei fattori di rischio più comuni è la presenza di un problema di salute mentale, anche se non è una condizione necessaria per il verificarsi di questa situazione.
Proprio per questa natura multifattoriale, anche la prevenzione deve essere multifattoriale. Infatti, come spiega Pérez Sola, sono state le campagne intensive con un approccio multifattoriale ad essere riuscite a ridurre i tassi di suicidio in diverse parti del mondo. È il caso, ad esempio, della Danimarca. «Non ha molto senso fare una sola cosa che funzioni», afferma il dottore. Pertanto, le politiche di prevenzione non possono limitarsi alla sfera sanitaria, «ma devono tenere conto anche dei possibili fattori di rischio a livello del contesto sociale, economico e relazionale del soggetto», afferma l’ISS.
Come spiegato dal progetto di salute mentale SOM di Sant Joan de Déu, esistono diversi fattori protettivi su cui si può lavorare per ridurre i tassi di suicidio. Da un lato, ci sono fattori personali e familiari, legati, tra l’altro, alla capacità di resilienza, all’autostima, alla risoluzione dei conflitti e alle abilità comunicative, al rafforzamento dell’identità o alla creazione di spazi di dialogo nell’ambiente familiare. Ma ci sono anche fattori sociali e sanitari. Tra questi, un corretto trattamento di questo tema da parte dei media è essenziale, in quanto un approccio responsabile alla questione può avere un impatto preventivo (noto come effetto Papageno).
Inoltre, la SOM sottolinea che «la formazione del personale sanitario non specializzato nella valutazione e nella gestione del comportamento suicida», così come la limitazione dell’accesso ai metodi utilizzati per commettere il suicidio, sono fondamentali. D’altra parte, «l’identificazione precoce e la cura delle persone con problemi di salute mentale e di abuso di sostanze, dolore cronico e disagio emotivo acuto». Secondo l’OMS, sono importanti anche il sostegno alla comunità e «l’individuazione precoce, la valutazione e il trattamento delle persone che manifestano comportamenti suicidi e il follow-up».
Per Pérez Sola, c’è anche una sfida sociale fondamentale che non è stato ancora raggiunto: «Non siamo in grado di fare ciò che è stato fatto con gli incidenti stradali: aumentare la consapevolezza che tutti noi siamo un fattore essenziale nella prevenzione del suicidio». È importante, sottolinea il medico, che tutte le persone comuni sappiano come comportarsi quando qualcuno ci dice che vuole morire o non ha voglia di vivere. «A livello sociale, dobbiamo arrivare all’idea che, nel caso del suicidio, siamo noi i radar attorno alle persone che hanno pensieri suicidi». E il fatto è, sottolinea, che la stragrande maggioranza delle persone che tentano il suicidio danno un avvertimento, sia attraverso il comportamento sia in modo esplicito.
Il suicidio è stato a lungo un argomento tabù, circondato da stereotipi e stigma. È proprio questo silenzio che ha perpetuato il suo fraintendimento, nonché la propagazione di falsi miti che lo circondano, e ha reso difficile cercare aiuto o accompagnare adeguatamente le persone in questa situazione. Questo ha inoltre ostacolato lo sviluppo di politiche di prevenzione. Come spiega l’OMS: «La prevenzione del suicidio non è stata affrontata adeguatamente a causa della mancanza di consapevolezza dell’importanza del suicidio come problema di salute pubblica e a causa del tabù che in molte società impedisce di discuterne apertamente». Per questo motivo, Pérez Sola chiede che il tema non venga discusso solo durante la settimana della prevenzione del suicidio.
Fortunatamente, negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambiamento in questa direzione. I media sono sempre più consapevoli dell’importanza di affrontare questo tema nel modo giusto e la popolazione dispone di informazioni più rigorose sull’argomento. Inoltre, gli enti pubblici stanno adottando misure per ridurre i tassi di mortalità dovuti al suicidio. Ciò sta portando a una maggiore comprensione di ciò che il suicidio comporta realmente, al di là dei tabù e dei miti, nonché a una maggiore consapevolezza sociale su cosa fare al riguardo.
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(Testo originale in spagnolo)
La prevención del suicidio, una tarea compartida
El suicidio es un problema de salud pública de dimensión universal: anualmente, más de 700.000 personas en todo el mundo mueren por esta causa, según la Organización Mundial de la Salud (OMS). Aunque las muertes por suicidio son evitables, para su prevención resulta imprescindible la implicación de toda la sociedad
Según el Instituto Superior de Sanidad Epicentro (ISS) en Italia se registran alrededor de 4.000 suicidios al año. Una cifra similar se da en España, donde en 2021 el Observatorio del Suicidio detectó un total de 4.004 muertes por esta causa. Además, apunta la Asociación Internacional para la Prevención del Suicidio (IASP), por cada suicidio hay muchos más intentos o personas con serias ideaciones. Asimismo, es la causa de muerte evitable más frecuente en España, según señala Víctor Pérez Sola, psiquiatra y director del Instituto de Neuropsiquiatría y Adicciones del Parc de Salut Mar.
El suicidio no implica solo a las personas que pierden su vida, sino que también supone un impacto profundo y significativo para el resto de la sociedad. En palabras de la Organización Panamericana de la Salud «los suicidios y los intentos de suicidio tienen un efecto dominó, y afectan a las familias, comunidades y sociedades». Es más, como apuntan desde la Asociación Con Salud Mental, esta conducta, aparte de en la misma persona, «repercute íntimamente, al menos, en otras seis». La prevención de la mortalidad del suicidio es, por tanto, un «reto universal que afecta a millones», así como un tema de «global importancia y un asunto vital de salud pública», señala la IASP.
Para abordar la prevención del suicidio es imprescindible tener en cuenta su carácter multifactorial; es decir, el hecho de que no responde a una única causa sino que es el resultado de numerosos factores «genéticos, biológicos, individuales y ambientales», según explica la ISS. Uno de los factores de riesgo más habituales es la presencia de algún problema de salud mental, si bien esta no es una condición necesaria para que se dé esta situación.
Es por esta naturaleza multifactorial que su prevención también debe serlo. De hecho, como explica Pérez Sola, han sido las campañas intensivas con un enfoque que atiende a múltiples factores las que han logrado reducir las tasas de suicidio en diferentes partes del mundo. Es el caso, por ejemplo, de Dinamarca. «De poco sirve hacer una sola cosa que funcione», apunta el doctor. Por tanto, las políticas de prevención no pueden limitarse al ámbito sanitario, «sino que también deben tener en cuenta los posibles factores de riesgo a nivel del contexto social, económico y relacional del sujeto», señala el ISS.
Como explican desde el proyecto de salud mental SOM de Sant Joan de Déu, existen diferentes factores protectores que se pueden trabajar para reducir las tasas de suicido. Por un lado, están los personales y familiares, relacionados, entre otras cosas, con la capacidad de resiliencia, la autoestima, las habilidades de resolución de conflictos y comunicativas, el refuerzo de la identidad, o la creación de espacios de diálogo en el ámbito familiar. Pero también hay factores sociales y sanitarios. Entre ellos, resulta imprescindible un correcto tratamiento de este tema en medios de comunicación, pues un enfoque responsable de esta cuestión puede tener un impacto preventivo (conocido como efecto Papageno).
Además, apunta SOM, son claves la «capacitación de personal sanitario no especializado en la evaluación y gestión de conductas suicidas», así como restringir el acceso a los métodos que se usan para suicidarse. Por otro lado, «la identificación temprana y la atención de personas con problemas de salud mental y abuso de sustancias, dolores crónicos y trastorno emocional agudo». También es relevante el apoyo comunitario y «detectar a tiempo, evaluar y tratar a las personas que muestren conductas suicidas y hacerles un seguimiento», aporta la OMS.
Asimismo, para Pérez Sola hay un aspecto fundamental a nivel social que todavía no se ha logrado: «No somos capaces de hacer lo que se ha hecho con los accidentes de tráfico: concienciar de que todos somos un factor esencial en la prevención del suicidio». Es importante, señala el doctor, que todas las personas de a pie tengamos conocimientos sobre cómo actuar cuando alguien nos comunica que quiere morirse o no tiene ganas de vivir. «Socialmente, tenemos que llegar a la idea de que los radares en el caso del suicidio somos los que estamos alrededor de la gente que tiene ideas de suicidio». Y es que, apunta, la inmensa mayoría de la gente que se intenta suicidar avisa, o bien con conductas o de forma explícita.
El suicidio lleva mucho tiempo siendo un tema tabú, rodeado de estereotipos y estigma. Precisamente este silencio ha perpetuado su incomprensión, así como la propagación de falsos mitos a su alrededor, y ha dificultado que las personas puedan pedir ayuda o acompañar de forma correcta a gente en esa situación. También ha obstaculizado la creación de políticas de prevención. Como explica la OMS: «La prevención del suicidio no se ha abordado debidamente porque falta sensibilización sobre la importancia que reviste como problema para la salud pública, y por el tabú existente en muchas sociedades que impide tratar sobre él abiertamente». Por ello, Pérez Sola reivindica que no solo se hable de esta cuestión en la semana de prevención del suicidio.
Por suerte, en estos últimos años se está observando un cambio en este sentido. Los medios de comunicación cada vez son más conscientes de la importancia de tratar este tema de forma correcta, y existe más información rigurosa disponible al alcance de la población sobre este tema. Además, los organismos públicos están tomando medidas para lograr la reducción de las tasas de mortalidad por esta causa. Todo ello está favoreciendo a un mayor conocimiento sobre qué implica realmente el suicidio, más allá de tabúes y mitos, así como una mayor conciencia social sobre qué hacer ante esta situación.
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Per approfondire leggi anche Spagna: suicidio, come prevenirlo?
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