La pace inizia con la lettera A… Accoglienza

L’accoglienza è prossimità ed è la prima cura di cui ha bisogno il popolo ucraino ed è una cura anche per noi
Accoglienza rifugiati (AP Photo/Markus Schreiber)

Dal combattere un piccolo virus che ha creato danni indelebili in ognuno di noi, un vero e proprio trauma collettivo, siamo passati ad una guerra folle della porta accanto. Distruzione, morti, dolore, lacrime, rabbia, paura …dall’iniziale sconforto e incredulità siamo passati a guardare, riflettere e agire con forza e determinazione con una sorprendente operosità spontanea e organizzata da parte di tutto il mondo.

Si, l’accoglienza è prossimità ed è la prima cura di cui ha bisogno questo popolo ed è una cura anche per noi. In questo tempo così difficile per l’intera umanità, rendendoci prossimi, costruiamo una nuova umanità, facendo nascere, custodire e illuminare la bellezza e la concretezza che sarebbe la fraternità mondiale. Coltivare alcune risorse interiori come la compassione, l’autostima e la grinta ci aiuta ad affrontare traumi e difficoltà inaspettate.

Avere compassione significa vivere insieme a qualcuno la sua disgrazia, ma anche provare insieme a lui qualsiasi altro sentimento che si prova in queste circostanze: angoscia, dolore, ma anche coraggio e determinazione. La guerra è una sconfitta dell’intera umanità. Non ci sono vincitori e né vinti in questa guerra.

Ai massacri si risponde con il riprendersi in braccio il coraggio, lavorando per organizzare “umanamente” gli aiuti, coltivando una partecipazione emotiva, forte e continua, per dimostrare che è più forte la condivisione, lo stare uniti per aiutarsi e stare a fianco a chi ha perso si tutto ma non deve perdere assolutamente la propria dignità. Perché il coraggio, nasce dalla forza di affrontare il dolore e la paura, dal desiderio di non arrendersi. Dalla consapevolezza che si può essere più forti, che è possibile vincere la battaglia, che si può essere resilienti. Piegarsi ma non spezzarsi.

L’accoglienza è apertura: vuol dire mettersi in gioco, e in questo esprime una sfumatura ulteriore alla semplice ospitalità. L’accoglienza diventa completa, se nell’abbraccio di chi è accolto intravvede una speranza. Accogliere viene da “colligere”, cioè “raccogliere, qualcuno o qualcosa”. Significa essere aperti come persona, all’ascolto profondo, alla comprensione, all’accettazione, al miglioramento comune e reciproco. Partendo innanzitutto da sé stessi.

È fondamentale riscoprire l’esigenza della prossimità, del farsi prossimo, cioè vicino, l’uno all’altro per combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” di cui tanto parla papa Francesco. Forse la guerra provocata dalla Russia, di cui l’Ucraina e i suoi cittadini sono vittime sacrificali, può farci comprendere che nessuno può sentirsi al sicuro, e ci fa comprendere attraverso l’esodo di questi giorni che gli sfollati che corrono verso un porto sicuro hanno il diritto inviolabile di essere accolti soprattutto nel cuore di qualcuno. Siamo tutti responsabili dell’altro che soffre. Per accogliere veramente occorre poi non avere paura della diversità, dell’altro da sé, cercando di vedere in essa l’opportunità per permetterci di migliorare anche noi stessi.

L’accoglienza inoltre non deve mai sfociare nell’assistenzialismo; non basta dare loro solo da mangiare e coperte perché la vera accoglienza è ridare a questo popolo la loro terra per vivere e appartenere.  Ho negli occhi quei sacchetti bianchi riempiti tutti insieme per proteggersi e nelle orecchie l’utilizzo della musica che i cittadini ucraini amano molto perché li aiuta a farsi forza tramite il bello e l’armonia: mi state insegnando come affrontare questa drammatica situazione “sporcandovi le mani” .

Per concludere faccio mia la frase dello scrittore e teologo Buechner: «La compassione è la capacità, a volte fatale, di sentire cosa si prova a vivere mettendosi nei panni di qualcun altro. È la consapevolezza che non potrà mai esservi alcuna pace e gioia per me fino a quando non vi sarà pace e gioia anche per te».

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