La notte messicana: luci che annunciano speranza

Mercoledì scorso papa Francesco ha concluso il suo viaggio in Messico, il secondo Paese al mondo per numero di cattolici. Messaggi di speranza, coraggio e misericordia che il vicario di Cristo ha portato come balsamo sulle numerose ferite che affliggono il Paese azteco. Nel papa, il desiderio che i semi cadano sulla terra buona; nei messicani, la certezza che germoglieranno presto
Confini tra Messico e Stati Uniti

Ciudad Juárez è stata l’ultima tappa di papa Francesco nella sua prima visita in Messico, e la settima di un pontefice nella terra di Guadalupe. Qui, dalla “grande porta” del Paese, il Papa si è fatto carico della dura realtà dei prigionieri, delle vittime della violenza e dei migranti.

Emozionante è stato l’incontro con i detenuti di Cereso 3, un carcere che fino a pochi anni fa era considerato uno dei centri di detenzione più pericolosi, situato in una città a sua volta considerata una delle più pericolose del mondo. Solo nel 2010, più di 200 detenuti sono morti vittime di diversi scontri. «Non volevo andarmene senza venire a salutarvi» ha detto il papa nel suo saluto, in piedi davanti a 700 detenuti “di basso profilo”. Nessuno come i prigionieri per parlare della misericordia divina, loro come parte della preoccupazione di Gesù di «manifestare il cuore della misericordia del Padre». «Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è imparare a non rimanere prigionieri del passato, di ieri. È imparare ad aprire la porta al futuro, al domani; è credere che le cose possono cambiare (…). È invitare ad alzare la testa e lavorare per guadagnare questo spazio di libertà anelato» ha detto ai detenuti, tra cui circa 250 donne. Dal carcere di Juàrez, Francesco ha anche parlato di un reinserimento sociale che parta da un sistema di salute sociale che «cerchi di non contaminare le relazioni», basata su una prevenzione reale che affronti le cause strutturali e culturali del problema.

Dopo c’è stato l’incontro con il mondo del lavoro al Colegio de Bachilleres. Qui imprenditori, famiglie, operai ed accademici hanno ascoltato l’appello di Bergoglio ad unirsi davanti alla stessa responsabilità: quella di «cercare di creare spazi di lavoro degno e realmente utile per la società e specialmente per i giovani». A loro ha detto che «il flusso del capitale non può determinare il flusso e la vita delle persone». Significativo il suo richiamo a operai e lavoratori in una città caratterizzata da una vita industriale frenetica che, con le sue poco più di 350 maquillas (grandi strutture industriale), produce ogni anno 43 miliardi di dollari di esportazioni.

In seguito il papa ha condiviso il pane e il tempo con i futuri sacerdoti nel seminario diocesano: un incontro passato praticamente sotto silenzio dai media, ma che dimostra l’enfasi che Francesco pone nell’accompagnamento delle vocazioni.

Un nostalgico tramonto l’ha sorpreso nella sua ultima attività del giorno e del suo viaggio pastorale. A El Chamizal 250 mila fedeli lo aspettavano dall’altro lato della frontiera tra Stati Uniti e Messico, nel cuore delle città di Juárez e El Paso (Texas) che insieme formano la più grande metropoli transfrontaliera del mondo. A questa folla, ricordando il passaggio biblico di Giona, il papa ha parlato delle “nuove Ninive” insensibili al dolore, “ebbre” di se stesse che hanno fatto della violenza e della malvagità una regola. Di fronte a queste realtà si manifesta il mistero della misericordia divina, che «prende molto sul serio l’essere umano e fa sempre appello alla bontà addormentata, anestetizzata di ciascuno».

Ad una comunità ferita dall’assassinio di quasi 10 mila donne nelle sue strade per le quali non c’è stata giustizia il papa ha parlato del pianto, quello che soffre per l’ingiustizia, per il degrado, per l’oppressione, ponendolo come una via da cui nasce la trasformazione, fonte che ristora il cuore, che purifica lo sguardo, che apre alla conversione. Ha parlato anche della crisi umanitaria rappresentata dall’emigrazione e che vede in questa frontiera tra Messico e Usa un triste esempio quotidiano: un problema che il papa ha chiesto di guardare non solo con le cifre ma anche con i nomi, con le storie, con le famiglie.

Nel suo messaggio finale il papa ha assicurato che «il Messico è una sorpresa», un popolo da cui si è sentito accolto, ricevuto dall’affetto, dalla festa e dalla speranza di questa “grande famiglia”. Ha parlato anche della notte oscura che affligge questa terra e ha riconosciuto in essa «molte luci che annunciano speranza».

     

Traduzione di Chiara Andreola

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