La notte della cultura europea

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Alla fine della Seconda guerra mondiale era forte la speranza di costruire un mondo finalmente più bello e sereno, tenendo conto della dura lezione della storia. Sono passati 60 anni e oggi si percepisce un diffuso senso di delusione, preoccupazione, smarrimento. In modo particolare nel nostro occidente, ricco e democratico. Tra luci e tecnologie sempre più scintillanti il mondo sembra triste, a corto di speranza, spaventato dalla solitudine. I giovani, pochi, mancano di modelli e punti di riferimento stabili. E anche gli intellettuali, i maestri del pensiero, sembra non sappiano più di cosa parlare (a parte le banalità) e soprattutto perché. Qualcuno descrive sconsolato il buio, la notte della cultura. Conviene approfondire. Possibilmente con qualcuno che abbia qualcosa di originale da dire, una fondata speranza in una nuova alba. Scelgo Giuseppe Maria Zanghì, filosofo, responsabile per gli studi e l’attività culturale del Movimento dei focolari. È di imminente uscita il suo ultimo libro Tramonto della terra dell’Occidente. Una chiave di lettura per l’avventura culturale dell’Europa, ma è ottimista e mi interessa capire la sua analisi del presente… e del futuro. Allora, prof. Zanghì, come affrontare questa crisi della cultura europea? È una domanda che mi sono sempre posto, perché non possiamo far finta di niente: l’Occidente è in una crisi profonda. L’ultimo libro di André Glucksmann, per esempio, parla addirittura della terza morte di Dio. Come mai, si domanda, una cultura senza Dio in Europa?. E solo in Europa? Certo, ci sono atei anche tra gli indù e i musulmani, ma sono singoli, non una intera cultura che si definisce atea. Questo è un tipico prodotto dell’Europa. È mai accaduto prima nella storia? No, mai. E questo mi ha spinto a cercare una risposta, aiutato in questo, devo dirlo, sia dalla spiritualità del movimento, che mi presenta Gesù Abbandonato, sia da alcune espressioni molto belle di Giovanni Paolo II. Davanti alla tomba di san Giovanni della Croce disse che esistono notti oscure non solo dei singoli, ma di intere culture. Questo mi colpì. E poi un altro brano per me fondamentale quando affermò che non dobbiamo pensare che la crisi dell’Occidente sia qualcosa che interpella la Chiesa dall’esterno. La interpella invece dall’interno, perché la crisi dell’Occidente non è altro che la crisi nel rapporto col Dio di Gesù Cristo, nella Chiesa. Perché proprio in Europa ? L’Europa si è trovata, prima fra tutti gli altri paesi, a dover affrontare l’inculturazione del messaggio di Cristo. Come singoli sappiamo come fa Gesù quando viene: si presenta dolcemente chiedendo di entrare, ma una volta dentro comincia un’opera di progressiva trasformazione. Lo Spirito Santo scompiglia tutti i nostri orizzonti diceva Paolo VI. Lo fa per sostituire le nostre categorie, che pensano Dio in un certo modo, con altre adatte a pensare il Dio che Gesù ci rivela. Non è quindi un impatto solo dal punto di vista religioso? No, culturale. Il Dio di Gesù è Trinità, ed è questa la grande difficoltà. E dove Gesù rivela in maniera definitiva la Trinità di Dio? Sulla croce, quando vive l’abbandono del Padre, si riaffida a lui e dà a noi lo Spirito. Lì apre il mistero di Dio amore, uno e trino. Questo è fondamentale. Ma se Dio è Trinità non posso restare a pensare all’Uno di Plotino o al Bene di Platone o al Motore immobile di Aristotile. Devo cambiare le cose. A mio parere tutto questo ha gettato la cultura dell’Occidente, dopo un primo impatto sconvolgente di scoperta, in una vera a propria notte oscura. Notte oscura che è il processo di penetrazione di Dio nell’intimità di una creatura per farla nuova. Mi sembra che questa non sia una visione negativa della crisi della cultura europea. No, tutt’altro. Sergej Bulgakov si chiedeva: questo buio che vediamo non sarà l’ombra gettata da Colui che viene? Secondo me, a questo punto dobbiamo fare una conversione: abbiamo sempre letto la croce di Cristo come evento salvifico, ed è vero. Redentivo, ed è vero.Ma l’abbiamo mai letta come evento culturale?. Ma come può la cultura capire la croce? Ricordiamoci che Paolo scrive che Cristo crocifisso è scandalo per i giudei e stoltezza per i greci. Appunto… Secondo me, Gesù sulla croce ha considerato chiusa non solo la legge, ma anche la filosofia.Ma per restituircele diverse, nell’amore. Ma allora tutta la cultura occidentale con la ragione, e quella orientale con il non essere, che fine fanno? C’è un passo ulteriore da fare per entrambe. L’Occidente deve capire che l’essere non è l’ultimo approdo del pensiero: se mi metto davanti alla croce, vedo che Dio si è fatto niente, è morto. C’è l’abbandono, quindi è quello il punto ultimo. In qualche modo è il non essere. Ma attenzione, un non essere per amore e che è amore. La resurrezione lo rivela. E l’Oriente? L’Oriente ha privilegiato il non essere, è stato inebriato dalla trascendenza di Dio e si è salvato così dalla deriva nichilista. Ma questo non essere si è chiuso nell’indicibilità. Invece Colui che si è fatto non essere sulla croce è risorto e come tale mi si ripresenta come parola detta. Quindi tutte e due queste culture devono fare un passo, e potranno anche arricchirsi reciprocamente delle loro tradizioni. Possiamo dire che siamo in un momento di sintesi? Sì, una nuova sintesi. Ma allora chi è e come si deve muovere il filosofo del terzo millennio? Per me, il filosofo vero è Cristo, ma Cristo in mezzo a noi. Ci potranno certo essere pensatori grandi e originali, ma non è lì che stiamo andando. Quello che la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich sta portando, nella linea del Vangelo, è qualcosa di nuovo. Nell’Occidente finora il soggetto che faceva cultura era il singolo, con sfumature diverse, perché nella Grecia era inserito nella polis all’interno dell’accademia o del liceo platonico e aristotelico. Poi è stato inserito nella Chiesa, ma sempre come singolo. Poi piano piano si è sganciato ed è emersa l’individualità come tale, è nata la cultura moderna. La croce ti mostra che l’essere, se veramente è per amore, non è. E che il non essere, se veramente non è per amore, è. Quindi la cattedra è la croce e il filosofo è Gesù Cristo. I mistici e i dottori della Chiesa l’avevano cominciato a capire. Ci avviamo alla piena comprensione di questo. Lui in mezzo a più, ha detto? Esatto. Quindi il soggetto non è più il singolo, geloso di sé, dell’Occidente . È una specie di collettivo? No, perché il collettivo non fa altro che moltiplicare e ampliare le contraddizioni del singoli. La novità non sono io, non sei tu, non è la somma di noi, ma il farsi presente fra noi di una singolarità che è capace di accogliere le individualità e farle esprimere come uno. Questo soggetto è Gesù vivente in mezzo a noi. Ma come funziona praticamente il fare filosofia in questo modo? Nasce dalla croce. Noi due possiamo avere fra di noi questo soggetto ad una condizione. Normalmente l’atto del pensare si apre all’altro solo per informazione ma, alla fine, come nasce da me così finisce in me. Invece questo atto del pensare deve perdersi, cioè io devo cercare di proiettarmi fuori di me verso l’altro, fino a pensare in te. E viceversa . Può essere rischioso. Ovviamente, se io esco da me per pensare in te, il rischio è che la cosa finisca lì. Allora tanto vale che io pensi in me stesso. Ma se la cosa è reciproca, non ci incontriamo in me o in te, ma in uno spazio che ci accoglie e che è la persona del Cristo. Per cui non ho paura di dire che il soggetto culturale che oggi l’umanità sta cercando è la persona del Cristo, che si dà nella comunione delle sue membra. La vite e i tralci. Noi siamo i tralci, individui, ma la vite, la persona portante è Cristo. UNA DIVERSA UNIVERSITÀ È imminente la nascita di una università del Movimento dei focolari. Prof. Zanghì, quali caratteristiche avrà? L’esigenza di far nascere un’università è antico come è antico il carisma dell’unità di Chiara Lubich. Ogni grande spiritualità ha sempre portato in sé una grande cultura, che deve però darsi i luoghi e i tempi per elaborare i propri strumenti. Abbiamo cominciato qualche anno fa in maniera sperimentale con l’Istituto superiore di cultura, una scuola estiva aperta a giovani del movimento e articolata in quattro anni, in cui si percorre una sorta di itinerario culturale tra tutte le discipline. Non per fornire alla fine un dottorato in matematica o altro, ma per dare a questi giovani il senso che la matematica, la filosofia, la teologia, la politologia, l’economia, nel loro distinguersi hanno una radice comune: il pensiero di Cristo. La condizione fondamentale per realizzare il nostro Istituto superiore di cultura è quindi portare gli studenti a tenere Cristo in mezzo a loro. Lo facciamo proponendo a ragazzi e professori una parola della Scrittura da vivere, facendo comunicare le esperienze e cercando una forte vita di comunione tra tutti. Poi su questa base si parla di matematica, fisica, bioetica, come discipline da approfondire. Ma il punto nevralgico da cui tutte nascono e nel quale si risolvono è la mente del Cristo presente in mezzo a noi. Quindi si parte dalla vita e, poi, su quella vita… … si apre il pensiero. Questa esperienza è andata avanti molto bene, ma fin dall’inizio era una sorta di preparazione per l’università vera e propria. Ora la preparazione è giunta al termine e Chiara Lubich desidera che l’Università nasca. Pensiamo di poter cominciare nel 2008. Dove sorgerà? A Loppiano, la nostra cittadella vicino Firenze, così da essere espressione di una vita sociale. Una specie di campus? Esatto. A Loppiano è nato un polo industriale, c’è una grande, così ci sarà anche un’università. Sarà un master o cosa? Tenendo conto della scansione che oggi si fa dell’università, avremmo pensato di cominciare con i secondi due anni. Supponendo che i primi tre anni li abbiano già fatti, vorremmo offrire agli studenti corsi che non si fanno nelle università normali. Per cui, ad esempio, uno studente di ingegneria, fatti i primi tre anni, può chiedere, come oggi si fa, un anno sabbatico, che verrebbe a passare con noi. E noi, facendoci riconoscere ovviamente come università a tutti gli effetti, gli daremo un titolo con il quale si reintroduce nel suo corso di ingegneria o altro. Cercheremo insomma di rompere la separazione tra le discipline. L’aspirazione è all’unità del sapere, persa ormai da tanto tempo? Sì, è quello che vorremmo fare.

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