La nostra Terra in pericolo. Una storia per capire

Come spiegare, con un racconto semplice, le conseguenze della scelta degli Stati Uniti di Trump di ritirarsi dall’accordo di Parigi nel 2015 sul cambiamento climatico

Un modo di far chiarezza su situazioni complesse – come il riscaldamento del pianeta, che già sta provocando fenomeni meteorologici estremi – è descrivere delle situazioni più semplici, ma sufficientemente simili. Proviamo ad usare ancora una volta questo metodo parlando di un eccesso di “prelievi” dalla Natura, anziché di un eccesso di emissioni. Come si vedrà, le due cose si assomigliano molto.

In un atollo isolato in mezzo all’oceano e povero di vegetazione vivevano varie tribù. Nei bassi fondali viveva una specie di pesce con una polpa molto saporita, unica fonte di proteine di quelle popolazioni.

Per lungo tempo il prelievo di pesce era rimasto entro i limiti di riproduzione, anche perché le tecniche di pesca erano piuttosto rudimentali.

Ma alcune tribù avviarono un rapido progresso tecnologico, che moltiplicò la quantità di pescato. Il pesce iniziò ad essere consumato non più con moderazione, come si era sempre fatto, ma con grande abbondanza, il che comportò obesità e spreco.

Dopo un po’ di tempo si iniziò a capire che la specie ittica rischiava l’estinzione e venne indetta una riunione dei capi-tribù.

Qualcuno propose che la limitazione della pesca riguardasse solo le tribù che avevano pescato di più in passato, e che le altre, che poco o nulla avevano contribuito allo squilibrio, potessero aumentare liberamente i loro prelievi, a titolo di compensazione. Le tribù del primo tipo insistevano invece per una riduzione proporzionale. Non fu facile, ma dopo lunghe discussioni si arrivò ad un accordo che fu accettato da tutti.

Poco dopo, però, la potente tribù che negli anni precedenti aveva catturato più pesce doveva scegliere un nuovo capo. La questione delle limitazioni alla pesca fu la più dibattuta. Alla fine fu scelto come capo un ricco e abile commerciante di pesce. Molti lo avevano sostenuto proprio pensando alle attitudini professionali che aveva dimostrato nel corso della sua vita, senza ascoltare le parole di un ragazzo, che ingenuamente aveva osservato: “Qui, però, non si tratta di fare buoni affari commerciando, ma di trovare il modo di accontentare tutti con meno pesce”.

Il nuovo capo dichiarò che prima di tutto venivano gli interessi della sua tribù, ma si dimenticò di dire che in realtà stava parlando dei soli interessi immediati. Si appoggiò alle parole di alcuni stregoni, una minoranza per la verità, secondo i quali i pesci avrebbero comunque continuato a riprodursi come a memoria d’uomo era sempre avvenuto, e annunciò che non avrebbe più accettato l’accordo di limitazione della pesca.

Gli abitanti delle altre tribù erano preoccupatissimi. Quando si è tutti sullo stesso atollo è sufficiente che si comporti in modo irresponsabile qualcuno di grosso per mettere a repentaglio il futuro di tutti.

Secondo voi, l’atollo si salverà? Una buona notizia è che nessun capo tribù dura per sempre, e c’è sempre la speranza che chi lo sostituirà sia più lungimirante. Un argomento contro è che qualcuno con idee analoghe potrebbe sempre farsi nominare capo, se non in quella, in qualche altra tribù, e ciò grazie ad una particolare debolezza di noi esseri umani, di lasciarci incantare da qualche scaltro argomentatore – e ce ne sono sempre! – capace di assecondare la nostra voglia di mangiare gli ultimi pesci oggi, anche se abbiamo la pancia abbastanza piena, piuttosto che lasciarli crescere per poterci sfamare domani.

Per il futuro dell’atollo, allora, più ancora che una generazione di buoni capi (che sono ovviamente necessari), è importante che l’aborigeno medio sia ben informato, saggio e lungimirante, capace di resistere al fascino immediato di chi propone le strade apparentemente facili. Ma queste caratteristiche – venendo a noi – non si formano né davanti ai polpettoni televisivi, né scambiandosi insulti su Facebook, né passando le giornate nelle sale slot. Riflettiamoci!

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