La Mongolia che il papa incontra

Un Paese che vive una lenta rinascita e riappropriazione del passato e delle tradizioni. La fame arretrata di spiritualità e la sete di equità e di futuro
Mongolia (AP Photo/Louise Delmotte)

È ancora in parte nomade il popolo della Mongolia, ma accogliente e ospitale. «Per tradizione – sostiene Elisabetta Lampe su Meridianile visite, anche quelle inaspettate di sconosciuti, sono sempre ben accette. Agli ospiti spetta però attenersi al ‘galateo’ dei pastori nomadi, non tanto per educazione, quanto per via di antiche superstizioni: meglio non stuzzicare gli spiriti malevoli con gesti sbagliati».

Sembra la fotografia di un Paese che guarda al mondo senza dimenticare le proprie tradizioni. Il passato e il presente riverberano continuamente nella terra di Gengis Khan. Un passato glorioso, le cui radici si allungano fino al XIII secolo, quando il mitico condottiero decise di riunire le tribù mongole e muovere alla conquista dell’Asia, facendo della Mongolia un impero esteso dal mar Nero alla Cina. Un presente difficile, tutto da costruire, dopo l’affrancamento, nel 1990, dal giogo sovietico. In che modo? Verso quali direzioni?

«Negli anni Novanta – dice l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice) in un rapporto del febbraio 2022 dedicato alla Mongolia – il paese ha abbandonato il monopolio politico del partito comunista, riformando la costituzione, introducendo libere elezioni ed avviando un processo di transizione verso l’economia di mercato, attraverso un ampio programma di privatizzazioni, di liberalizzazioni di prezzi e salari e di riforme valutarie». Tuttavia, lo stesso rapporto evidenzia che «l’instabilità è uno dei principali connotati del sistema politico mongolo, caratterizzato da frequenti conflitti settari, endemici problemi di governance e diffuso malcontento popolare».

Alle elezioni del giugno 2021, il partito al governo, il Ppm (Partito del popolo mongolo) si è aggiudicato 62 dei 78 seggi nel parlamento, ottenendo la maggioranza assoluta. È nella condizione di attuare, senza troppi contrasti, la sua agenda politica, ma le difficoltà non mancano.

La Mongolia è prevalentemente coperta da steppe e scarsamente coltivabile, la natura è il suo piatto forte, tanto che qualcuno ha proposto di trasformare il territorio in un unico parco naturale. Nidificano oltre 400 specie di uccelli, ed è alta la concentrazione di altri animali (roditori, gru, rapaci, lupi, orsi, felini…). I parchi nazionali e le riserve sono oltre una decina.

«Il 30 per cento della popolazione – secondo il rapporto Ice – continua a mantenere tradizioni nomadi e agro-pastorali». I settori trainanti sono, ovviamente, l’agricoltura, la pastorizia e quello minerario. La Mongolia è, infatti, ricca di rame, carbone, molibdeno, stagno, tungsteno e oro che esporta prevalentemente in Cina.

È un’economia tutto sommato debole, proiettata soprattutto verso l’estero ed esposta alle dinamiche dei mercati internazionali. I principali paesi partner commerciali sono la Cina e la Russia, ma il governo sta cercando di aprire il Paese a relazioni multilaterali che allarghino lo spazio economico. «Ha firmato accordi con numerose imprese estere e cerca di mantenere una politica diversificata degli investimenti, coerente con la politica dei terzi vicini», conferma Atlante geopolitico.

Tra i prodotti di maggior pregio, a cui è interessata anche l’Italia, vi è il cashmere mongolo, la lana di capra più pregiata al mondo. La qualità è il risultato delle particolari condizioni climatiche in cui vivono gli animali. Al settore minerario, invece, guardano Cina e Russia e, ultimamente, anche multinazionali del settore di altre nazioni, tra cui il Canada.

Il nuovo corso avviato nel 1990 per il popolo mongolo è una lenta rinascita e riappropriazione del passato e delle tradizioni. La memoria è sempre legata a Gengis Khan che è, ormai, un brand buono per tutto, dalla birra, alla vodka, all’aeroporto. L’idea, tuttavia, non è di portare indietro le lancette del tempo, quanto di recuperare un passato glorioso e una identità profondamente ferita dal giogo sovietico.

È in quest’ottica che vanno lette le celebrazioni del Naadam che si svolgono ogni anno a luglio. «C’è tutto l’orgoglio mongolo nel Naadam», sostiene Federico Pistone su Meridiani. La manifestazione unisce «l’aspetto sportivo e quello religioso. A fare da corollario alle competizioni, infatti, sono diverse cerimonie sciamaniche e buddiste…Con la dissoluzione dell’Urss i mongoli si sono ripresi tutto: orgoglio, libertà e Gengis Khan».

Quello che il comunismo ha cercato di cancellare è ritornato con prepotenza e nuova vitalità. Il sentimento religioso, in particolare il buddismo e lo sciamanesimo sono ritornati a innervare i valori della cultura e la vita dei mongoli. «I mongoli – dice Federico Pistone – hanno una gran fame arretrata di spiritualità, negata dal regime sovietico per settant’anni».

Ma hanno anche una gran sete di equità e di futuro. Lo dicono il malcontento e le proteste dei giovani che rivendicano il diritto a prendere parte allo sviluppo del Paese. La Mongolia che il papa incontra è, quindi, un paese con luci e ombre: un passato glorioso, una democrazia giovane, un futuro da inventare. Ma è anche una nazione che cerca di coniugare il progresso con la tradizione, una scelta che può aiutare a non perdere mai la direzione verso cui andare.

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