La moda di Face App

Si installa con pochi click sul proprio smartphone ed è l’app del momento. Ma la FaceApp-mania, letteralmente impazzita in questi giorni, pone però alcune criticità

Si chiama FaceApp, promette di farci qualche risata con i nostri amici modificando il nostro viso attraverso una serie di filtri, si installa con pochi click sul proprio smartphone ed è l’app del momento. Perché? Tra i diversi filtri messi a disposizione c’è quello che è capace di “invecchiarci”, di svelare cioè come potrebbe essere il nostro viso tra qualche anno. E come spesso succede sul web, qualcuno ha incominciato a postare sulle varie piattaforme social proprie foto “invecchiate” e in poche ore centinaia di milioni di persone hanno contribuito a rendere il fenomeno virale condividendo a loro volta le proprie foto con barbe, capelli bianchi e moltissime rughe.

Come funziona il filtro “invecchiamento” di FaceApp

A dispetto di quello che in apparenza si potrebbe pensare, la tecnologia che sta alla base di questa applicazione non è banale. Non si tratta infatti soltanto di “maschere” che vengono applicate sui nostri volti, ma di veri e propri filtri elaborati grazie all’Intelligenza Artificiale che cuciono delle maschere altamente realistiche sulla fisionomia del nostro volto, così tanto da rendere il risultato ottenuto sicuramente molto realistico, determinando sicuramente in questo modo il successo di questa applicazione e del suo filtro.

FaceApp-Mania e privacy

La FaceApp-mania che è letteralmente impazzita in questi giorni pone però, se ci si ferma un istante a riflettere, alcune criticità. La prima riguarda certamente la privacy e l’uso che la società che ha sviluppato l’app può fare dei nostri dati.

Se da una parte infatti le finalità espresse nella privacy policy dall’azienda russa Wireless Lab sembrano essere molto generiche, dall’altra i termini d’uso sembrano fugare ogni dubbio, perché in base a quanto si legge, la nostra foto diventa nella sostanza di proprietà di FaceApp che può farne quello che vuole, sia per usi interni, sia nella condivisione con terzi. Infatti,nel momento in cui utilizziamo la app, concediamo in maniera tacita dei nostri dati una licenza perpetua, irrevocabile, mondiale, cedibile e, naturalmente, gratuita.

Come sottolinea Giovanni Battista Gallus, avvocato ed esperto di privacy, questo non rispetta le norme. “Poiché vi è con tutta probabilità anche un trattamento di dati biometrici, occorrerebbe il consenso libero, specifico e esplicito”, osserva il giurista. “In altre parole, mi devono essere esposte in maniera chiara e puntuale le finalità del trattamento, e io devo acconsentire in maniera esplicita. Ho provato a installare la app, e non solo non chiede alcun consenso, ma non sottopone, all’installazione, alcuna privacy policy. L’unico “consenso” che chiede, una volta installata, è quello tecnico, per accedere alle immagini e alla fotocamera. Ma questo non è affatto un consenso esplicito, meno che mai idoneo per gli (eventuali) trattamenti di dati biometrici”.

L’impressione è quindi che nella migliore delle ipotesi, l’azienda russa stia tentando di sfruttare l’effetto virale di questa moda per archiviare una delle più ricche raccolte di volti al mondo da utilizzare per alimentare l’Intelligenza Artificiale al riconoscimento facciale, con procedure che però appaiono quanto meno opache. Non stupisce pensare che questa possa essere la finalità, perché poter contare su grosse raccolte di dati è fondamentale per allenare le reti neurali (un modello computazionale composto di “neuroni” artificiali). Per quale uso questi artefatti verrebbero poi utilizzati non è però dato da sapere, ma l’impressione (e la preoccupazione) è che l’archivio che stiamo contribuendo ad alimentare sui server di FaceApp prospetti usi ben più invadenti, di un selfie con i capelli bianchi.

Per questo, come avevamo avuto modo di dire anche per un altro fenomeno social simile, quello della #10YearsChallange, certo il desiderio di partecipare ad un fenomeno sociale è sempre molto forte, ma prima di rispondere in maniera impulsiva a qualcosa di virale è  sempre bene chiedersi a cosa si sta contribuendo con quella propria azione, per capire chi gestisce e con quale finalità i dati che stiamo poter cedendo, per scegliere consapevolmente ciò che vogliamo “dare” e ciò che invece non vogliamo dare.

C’è poi forse anche un’ulteriore questione, che può essere interessante considerare: in una società dove si investe molto per il mito dell’“eterna giovinezza” e per mitigare i segni del tempo che passa (interessante notare come l’invecchiamento femminile proposto dall’app non contempli la realtà dove spesso le donne scelgono di “nascondere” i propri capelli bianchi), cosa esprime l’uomo, con questa sua paradossale curiosità di conoscere, anche solo sommariamente, e poi condividere, la propria immagine “invecchiata”? E se invece di ricorrere ciò che è stato o pensare, anche se scherzosamente, a quello che forse sarà, pensassimo a vivere bene il nostro presente?

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