La misericordia per chi è lontano dalla fede

Continua il nostro viaggio attorno al tema dell’Anno Santo straordinario con un’intervista ad un filosofo agnostico: Duccio Demetrio. Ordinario di Filosofia dell’educazione all’Università degli studi di Milano-Bicocca, fondatore e direttore scientifico della Libera Università dell’ autobiografia di Anghiari e di Accademia del silenzio: tra i suoi ultimi libri Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia, con Pierangelo Sequeri (2012); La religiosità della terra (2013); Silenzio (2014); Green autobiography. La natura è un racconto interiore (2015).
Duccio Demetrio

Cosa intende, per un vocabolario laico, la parola misericordia?

«Prima di tutto, è necessario interrogarsi ogni volta sul senso originario delle parole. Misericordia, senza difficoltà, ci rinvia al latino: «Aprire il nostro cuore ai miseri». Le famose “opere della misericordia” (ad esempio emblematiche sono le immagini dipinte dal Caravaggio sulla grande tela conservata a Napoli), indicano quindi al contempo un accogliere chi soffre e un andargli incontro; e, inoltre, in questa disponibilità a dare gratuitamente, senza nulla chiedere in cambio, non possiamo non ravvisarvi un atto misericordioso che torna al donatore. Non sempre, infatti, proviamo lo stesso sentimento e trasporto nei confronti della nostra persona.  Con la stessa autenticità e libertà. Sovente ci dedichiamo ad altri, perché vogliamo dimenticarci di noi, evitando di compiere ‒ nel fare misericordia ‒ una presa di coscienza di quelle  miserie, più che materiali, di carattere morale che si sono  annidate in noi. Siamo misericordiosi per evacuare un peso che ci opprime, senza scalfire il nostro modo di essere. Senza proporci di cambiare. È questa la modalità misericordiosa più vile e ipocrita. Credo che la misericordia debba dunque rappresentare ‒ per chi crede e chi è lontano dalla fede e fa comunque “la carità” – un’esperienza di profondo cambiamento interiore. Domandiamoci dunque senza distinzioni se l’agire misericordioso agisce nei nostri confronti, invitandoci a prenderci cura di noi stessi. Dove la cura non è un momento di sollievo, di scarico della coscienza che si avverte in difetto e colpevole, bensì come già i filosofi greci ci insegnano da millenni, un’occasione per porci domande su di noi. Quindi tale da risvegliare inquietudine, tensione critica, un modo di conoscersi per affrontare un cammino di miglioramento. Forse che il priore Enzo Bianchi non ci ricorda sempre che non solo dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, ma che il prossimo nostro è già “te stesso”. Quindi occorre entrare in un dialogo serrato con questo “straniero” che noi per primi. Per comprendere che cosa ci conduca verso la misericordia e che cosa ci spinga ad accettare il desiderio di donarci senza nulla pretendere in cambio. Forse che un non credente, spesso misericordioso a sua insaputa, può aspettarsi una mercede, tanto più se di emanazione divina, per la sua quotidiana disponibilità a occuparsi di chi sta peggio di lui o di lei?».

Che valori universali, sia per credenti e non credenti, veicola?

«La misericordia rappresenta in ogni cultura religiosa o laica (la si denomini pure in modi diversi a seconda dell’educazione ricevuta: compassione, pietà, generosità, prodigalità, altruismo, solidarietà, bontà, filantropia, grandezza d’ animo, carità, buon cuore, umanità, perdono, indulgenza, ecc…) un’ occasione unica per una revisione o una conferma di vita. La sua accezione per un credente o per chiunque si senta ispirato da una qualche fonte spirituale ‒ di tradizione abramitica, cristiana, islamica, o di cultura non monoteistica ‒  è divina, soprannaturale, misteriosa; per l’ incredulo che si interroghi (quale io ritengo di essere) si tratta di un richiamo costante, anzi di una sfida, al nostro egoismo, all’ egocentrismo, alla incuranza nei confronti di tutti i “prossimi” con i quali entriamo in relazione. Per altro, come papa Francesco nella Enciclica Laudato sì ci va insegnando ogni giorno, tale discorso andrebbe esteso anche ai viventi non umani: agli animali, alle piante, ad ogni altra creatura che con noi condivide le sofferenze ineluttabili dell’essere al mondo, il comune e indifferibile destino di morte. Il che ci dice anche che una misericordia assoluta è impraticabile. Siamo sempre in debito e in difetto verso qualcuno che usiamo, sfruttiamo, pieghiamo ai nostri interessi. Un buon rapporto con la memoria, e non la fuga da essa, che spesso la confessione favorisce, ci consente di essere perennemente nella situazione di essere debitori, di aver mancato verso altri che abbiamo offeso anche soltanto per leggerezza, superficialità, scarsa attenzione.  Tutto questo dunque non soltanto verso le alterità a noi simili. Aggrediamo e uccidiamo per la nostra tracotanza e insensibilità verso l’ “altro” non fosse che per sopravvivere:  si tratti di uomini o di altri esseri che consideriamo proditoriamente “cose”. Credenti e non credenti, dinanzi quindi al dramma sommariamente descritto, non possono che deporre le reciproche differenze, sovente erette per ideologia, diffidenze ereditate, chiusure preconcette, nella prospettiva di accrescere gli atti di misericordia, mettendo anche la questione Dio o non Dio tra parentesi, per migliorare le condizioni di vita di chi ha meno, è stato sconfitto, è stato per nostra responsabilità abbruttito dalla fame, dalla povertà, dall’ ignoranza. Misericordia è, nondimeno, disponibilità ad interessarsi, a proteggere, a custodire ogni altra presenza terrestre indifesa e fragile. Mettendo al centro la propria debolezza e la propria esilità. Puoi ritenerti dunque misericordioso, quale sia il tuo credo o il tuo agnosticismo, e quindi uomo o donna di buone azioni, ma se questo tuo agire diventa per te motivo di orgoglio, di sfoggio e di vanto, di autocompiacimento, nessun ravvedimento esistenziale sta agendo in te. Forse sarà la misericordia divina ad accoglierti, ma se non credi porterai per sempre con te questa colpa, anche quando con sincerità potrai finalmente aver compreso il tuo errore».

Nel suo libro “Beati i misericordiosi” scrive che: «Possiamo non credere più in un  Dio misericordioso, o mai avervi creduto, ma è difficile rinnegare la misericordia». Può essere misericordioso un non credente?

«Un non credente che sia nato e vissuto in una pervasiva cultura soprattutto cristiana, cattolica, protestante, ortodossa, ecc., ritengo, rispetto a quanto in precedenza affermato, come può non essere misericordioso quando si prodiga verso gli altri? Nella sincerità di cui ho detto? È questa una domanda che però ritengo superflua, ancora densa di sospetto e pregiudizio. Assai poco misericordiosa (anche il rispetto delle opinioni altri ne è una manifestazione d’ essa riconoscibile) verso chi non la pensi come te che, con supponenza e non umiltà, ti reputi un credente: ma perché, come, per quale attesa di salvezza o misericordia, sempre dovresti chiederti? Non si tratta di aver misericordia – taluni credenti pregano per noi ‒  verso chi non crede in Dio, quasi si trattasse di un’opinione pietosa e compassionevole verso chi non è in grado di comprendere il valore della fede; bensì di accettare il dialogo,  di ascoltarsi, di condividere principi e valori volti al Bene, alla Giustizia, alla Libertà. Di avere, in poche parole, una mentalità laica utile ai bisogni pubblici dei più svantaggiati, dei più deboli, dei più dissomiglianti. La laicità, mette tra parentesi le differenze di credo, per patrocinare in certe circostanze una comunitaria alleanza contro il male, la violenza, l’ingiustizia, la guerra: per la pace, ed oggi, come ho scritto di recente nel mio libro La religiosità della terra. Una fede comune per la cura del mondo (ed. Cortina 2013) per salvare la terra dall’ ecocidio cui abbiamo contribuito. Ed ora come posso, come non possiamo ancora una volta, non riconoscerci nelle parole di papa Francesco quando scrive: «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile (…) Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti». (Laudato sì : Il mio appello, 13-14 ). Certamente, per chi non crede ma come «fratello ateo, nobilmente pensoso» ‒ come dimenticare questo appello del grande padre David Maria Turoldo? La misericordia viene solitamente denominata in altro modo (solidarietà, fratellanza, reciproco aiuto, cura…) poiché essa è trasporto, sentimento dovere, che rientra nella sfera dei diritti umani e universali che storicamente la parte migliore dell’umanità, credente o meno, ha saputo strappare dalle mani dei poteri tirannici, totalitari, dittatoriali di ogni specie, e non delle leggi divine. Allo stesso tempo, misericordia è parola che avverto dotata di una sua potenza e forza trainante che supera le nozioni laiche citate.  Nel mio caso non riesco ad andare oltre: e perciò la accolgo volentieri per la sua densità drammatica, la metto al centro dell’eterno conflitto tra il bene e il male, non a dirimerlo una volta per tutte, ma a sorreggere tutte le donne e gli uomini di “buona volontà”. I non credenti sanno che non hanno da aspettarsi nessuna misericordia da uno “sguardo” trascendente consapevole delle loro opere misericordiose, talvolta nemmeno un grazie, del resto come tutti; talvolta, con nostalgia, si dispiacciono di non credere in una misteriosa presenza e tutela ultraterrena. E allora sono almeno paghi di aver risposto ad una morale universale utile a questo mondo, affinché possa conoscere in futuro almeno la riduzione della follia fratricida che tutti ci angoscia e ancor più dovrebbe vederci alleati. Ci sono forme di misericordia però diverse da quelle citate: queste riguardano gli atti di clemenza, di comprensione, di grazia verso quella parte del prossimo che ci abbia violentato, vessato, privato di ogni diritto anche alla vita. In tal caso la misericordia umana non può che confrontarsi con i compiti della giustizia e farsi da parte.  Come ho scritto, a conclusione del mio saggio prima citato dedicato alla misericordia, credo occorra quindi scegliere di stare con la «parte migliore dell’umanità», che non potrà che essere misericordiosa di conseguenza disponibile a concedere e a mediare in nome della pacificazione. Senza per questo, ancora una volta da un punto di vista non credente, mostrarsi del tutto dimentica del male inflitto ad innocenti. I credenti si affidano a Dio, i non credenti alla Legge. Dove i temi del perdono, della assoluzione, della remissione dei peccati, difatti ancora per un non credente non potranno rientrare nella sua sfera di comprensione, né nella sua aspettativa: divina o umana essa sia. Inoltre, per un incredulo stare dalla parte migliore dell’umanità, forse, significa prendere atto che per lui, per lei occorre in nome della misericordia «agire senza nulla chiedere in cambio, perché costoro non saprebbero a chi, e, gli altri i credenti impareranno dai loro fratelli increduli sempre più a non attenersi ricompensa alcuna».

So che bisognerebbe chiederlo al papa, ma, secondo lei, perché ha indetto un Anno Santo della misericordia?

«Papa Francesco è un profeta, è stato detto. Concordo con questa posizione. Nelle sue parole c’è l’attenzione per il presente, e sempre una visione, una preveggenza, una voce potente che ci offre vie d’ uscita e speranza. È profetica per si rivolge urbi et orbi affinché chiunque possa comprenderne i messaggi. Con il grande tema della misericordia dedicato all’Anno Santo, azzardo, forse, ha voluto farci proprio intendere che esso non conosce distinzioni fideistiche di sorta, è un messaggio per la nostra dimensione umana e poiché anche i credenti ne fanno parte con i non credenti potrebbero essere inventate, esplorate, intraprese vie non più costellate di cittadelle, recinti, mura invalicabili. La storia, del resto, non ci dimostra che noi terrestri siamo progrediti quando tali barriere sono cadute e non con la forza, ma intraprendendo in salita ben altre vie?».

 

 

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