La mia famiglia è volata in cielo…

La forza della comunità che, come unica famiglia, sa unirsi nei momenti di festa, come in quelli di dolore. Qui un bambino impara che la sofferenza esiste, ma non è per sempre
terremoto

«La nonna è volata in cielo. Sono venuti gli angioletti a prenderla». Forse da bambini ce lo siamo sentiti dire, o magari noi stessi abbiamo pensato che queste sarebbero state le parole migliori per parlare ad un bambino della morte, per renderla meno brutta e spettrale e per attutire la sofferenza che ne consegue. Non lo so se sia giusto o meno, a volte serve più a noi pensare che così i bambini si acquietino, per poi sorprenderci però con espressioni o domande che in realtà rivelano una sensibilità profonda ed intelligente, che non vuole essere ingannata o bamboleggiata.

 

Ieri ho fatto un’esperienza forte. Un bambino presente ai funerali dei suoi genitori e della sua sorellina, vittime della tragedia ancora in corso; era certamente frastornato dall’affetto, meno male ingombrante, di parenti ed amici, bombardato dal rumore della solidarietà unanime che si è fatta carico del dolore innocente, e quindi non ancora del tutto consapevole di quello che lo attenderà nei prossimi giorni… fatto sta che era lì, presente tra i banchi della chiesa.

 

Che ci fa un bambino in un momento simile? Era di fronte alla realtà, tale e quale, niente storie, niente racconti che il papà era troppo buono ed è andato a fare un viaggio in un posto meraviglioso, o la mamma troppo bella per stare quaggiù. Le parole del celebrante erano chiare e non di circostanza, come non lo erano state le parole di un altro vescovo, quello dell’Aquila: «Signore qui abbiamo perso tutto o quasi e tu dove stai?».

 

Il bambino, seduto tra le prime file, ascoltava il richiamo alla sofferenza per una catastrofe improvvisa che rende ancora meno disponibili le risorse per reagire, semmai il suo annuncio riducesse lo choc; ascoltava parole vere, parole di fede, proprio quella che “funziona” bene quando tutto fila liscio o c’è un problema per qualcun altro, ma che mette fortemente in crisi quando invece irrompe nella nostra personale esistenza quotidiana chiedendo un’adesione incondizionata, una fiducia umanamente impossibile.

 

Non era solo. Attorno a lui un’intera comunità parrocchiale a pregare, a stare in silenzio attonito quando non c’è proprio nulla da dire, a ricordare tutta insieme che noi crediamo in un Gesù che ha vinto la morte una volta per tutte e a quanti confidano in Lui non farà sperimentare neppure un attimo del buio abissale del nulla. E questa non è una storia. È ugualmente difficile da credere, certo; come il bambino, anche noi vedevamo con occhi umani solo un “non ci sono più” e la vittoria del Figlio di Dio non era purtroppo palpabile dai nostri sensi.

 

Ma è la verità che ci sostiene e sosterrà anche lui: noi non riusciamo a spiegare questi fatti, come quello di una famiglia spezzata; non cerchiamo, per quanto il bisogno ci sia, di rendere ragione di dolori simili, vogliamo credere però che questa non sia l’ultima parola, anzi siamo certi della Vita nella quale ci ritroveremo! La ragione si ferma alle soglie di parole così, ma il cuore ce le può fare sentire reali e il cuore puro di un bimbo forse ancora di più.

 

Del resto ce le ha dette un Uomo che ben conosce il patire dice Isaia, Uno che ha provato non ogni sofferenza possibile – non voleva essere un supereroe –, ma che ha sperimentato paura, angoscia, desolazione, abbandono. Non lo so cosa il bambino porterà nel cuore dopo la celebrazione di ieri e cosa ricorderà negli anni.

 

Certamente la ricchezza straordinaria di non essere solo, la forza incredibile di una comunità che come un’unica famiglia sa raccogliersi nei momenti di festa, come in quelli del dolore, una famiglia che prega, che canta nonostante il cuore rotto, che nello stare insieme alimenta la speranza, che nell’eucarestia si riunisce e implora la forza ed il coraggio perché i fratelli e le sorelle più colpite sappiano andare avanti. Credo che l’esserci stato abbia dato a quel piccolo la consapevolezza, quella che può avere anche un bambino, che la morte fa parte della vita, che la sofferenza esiste ma non è per sempre. Inutile quindi nasconderla o plastificarla come oggi cerchiamo di fare rendendo tutto falsamente bello, sempre nuovo, senza segni di decadimento, lottando come folli contro l’evidenza dell’esistenza umana e inventando formule improponibili per edulcorare la vita.

 

Sono stata felice per lui. Ha partecipato ad un’esperienza di vita! Nessuna bugia. Ha potuto ascoltare che a messa, chi dalla terra, chi dal cielo, anche la sua famiglia era lì riunita, in attesa dell’abbraccio finale, nel quale ci ritroveremo con le persone che abbiamo amato. Era la stupenda intuizione di Lewis ne I quattro amori: allora… non ci verrà chiesto di abbandonare visi a noi familiari per rivolgerci ad uno sconosciuto; ritroveremo tutte le nostre esperienze di amore autentico e in esse vedremo l’impronta del volto di Dio. Capiremo anzi di averLo sempre conosciuto, perché Egli – l’Amore stesso –, ha fatto parte di tutte le nostre realtà di amore terreno.

 

Sul terremoto nel Centro Italia leggi anche:

Il dolore di estrarre dalle macerie le salme dei propri figli, di Sara Fornaro

Abbiamo estratto dieci corpi, ma solo una persona era ancora viva, di Sara Fornaro

Louis, eroe per caso, di Aurelio Molè

 

 di Sara Fornaro

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons