La Maratona infernale

Incontro con il regista Lamberto Lambertini che ha voluto dedicare a Dante, la sua ultima produzione. «Il poeta descrive la stessa Italia che abbiamo attorno: bella e brutta»
Lamberto Lambertini

Dopo Roma, Torino e Firenze, il regista napoletano Lamberto Lambertini ha presentato nei giorni scorsi a Napoli per la prima volta la sua ultima opera, Maratona infernale, prodotta dalla Società Dante Alighieri, L’evento promosso dal Teatro San Carlo, si è tenuto nel teatro di Corte del Palazzo Reale, ed ha suscitato interesse e d ammirazione.
Dopo lo spettacolo, abbiamo rivolto al regista  alcune domande  per entrare di più in quest’opera monumentale che tenta un lettura di Dante in maniera completamente nuova rispetto a quanto già fatto nel passato.
 
Cosa ti ha spinto a lanciarti in questa nuova e grande avventura artistica su Dante?
«L’attualità di Dante, del pensiero di Dante, della poesia di Dante e della sua lingua. Mi sembra indispensabile oggi a livello politico, culturale e artistico, rifare una nuova lettura della sua opera, per non lasciarla dimenticata e ammuffita tra i ricordi di scuola o di una cultura libresca, o peggio scolastica. Leggere integralmente i suoi canti, anche quelli meno noti sulle immagini dell’Italia di oggi, l’Italia che abbiamo intorno, fatta di cose belle e brutte, più quelle belle che brutte, opera di uomini, che ancora credono nel proprio lavoro ma con uno sguardo autobiografico, mio e di Carlo Sgambato direttore della fotografia».
 
Sono stato colpito  dalla bellezza delle immagini e dalla particolarità dei luoghi scelti: un viaggio per l’Italia straordinariamente inusuale, accompagnato dalla voce affettuosa, emotivamente forte,  del grande poeta…
«Al di sopra delle immagini non abbiamo voluto nient’altro – oltre la musica attenta e magistrale di Savio Riccardi – che i versi di Dante, letti e non declamati. Ho sentito che dovevo leggerli con pause, con calma, come si legge una prosa poetica, un pensiero che ancora oggi è valido, per noi tutti».
 
Un viaggio nell’Italia operosa e creativa…
«Non dimentichiamo che Dante predisse e sognò, come lo si poteva fare nel Medio Evo, l’unità d’Italia, per cui Dante è sicuramente dal punto di vista culturale un fondatore della Patria. In questo senso mi è sembrato bello  unire le immagini dell’Italia moderna e contemporanea alle parole di Dante che risultano in tal modo attualizzate. Viceversa l’altezza della voce di Dante nobilita eventuali mediocrità o brutture del nostro presente».
 
E’ stato facile definire il progetto?
«Direi proprio di no. Stavo lavorando ad alcuni documentari per i 150 anni dell’unità d’Italia, quando l’amico Paolo Peluffo, vice presidente della Dante Alighieri, mi propose di realizzare un lungo documentario sulla Divina Commedia.
L’inizio è stato il momento più difficile perché dovevo tradurre quell’idea di Peluffo in qualcosa di realizzabile e artisticamente di valore. Quali immagini collegare con le parole di Dante? Ho cominciato a riprendere, lavorando per circa un anno e mezzo, ma sentivo che erano ancora tentativi, non avvertendo quel “miracolo artistico” che non dipende più dalla ragione  e che di fronte a quello che hai realizzato ti fa esclamare: che bello».
 
Quindi dopo un anno e mezzo il  film sull’Inferno non c’era ancora…
«No, c’erano tentativi, approssimazioni, ed io continuavo a cercare. Ricordo che ero nei pressi di San Domenico Maggiore a Napoli quando mi imbatto nella bottega di un giovane artigiano, Ciro Vignes, e vedo lavori in creta straordinari. Mi viene spontaneo chiedergli  se se la sente di fare  un busto di Dante giovane, bello, malinconico. Ciro mi rassicura. In tre ore avremmo avuto il Dante desiderato. Prendiamo la cinepresa e studiamo con Carlo  le riprese mentre Ciro va a prendere il blocco di creta e poi comincia a lavorare. In quel preciso momento, nel vedere le mani di Ciro all’opera comprendo, che l’idea del film su dante  ha trovato il suo punto di appoggio: riprendere l’uomo che lavora, l’uomo che ama, che sbaglia ,che soffre, che lotta, l’uomo che crea».
 
E tutto quel precedente lavoro di un anno e mezzo?
«Si cancella tutto e si parte da qui, dalla bottega di Ciro sulle cui immagini leggerò il primo canto dell’Inferno. Le parole di Dante sulle immagini di questi operai meravigliosi che lavorano col cuore e con la mente».
 
Senza una scelta particolare tra testo e immagine…
«Senza, io non ho scelto. Ho viaggiato e ripreso  e quando poi con Carlo Sgambato abbiamo fatto il montaggio avveniva sempre qualcosa di particolare – è di tutta questa esperienza il momento che mi commuove di più –  un corto circuito tra l’immagine e la parola, una sorta di scintilla unitiva, un corto circuito emozionale che poi giunge ed emoziona anche lo spettatore.
 
Non nascondo che ho pensato a Napoli come “città infernale”,  ma poi ammirando le immagini di Napoli  scelte nella Maratona si leggeva un segno forte di speranza. 
«La Maratona infernale comincia da Napoli, ma nella bottega di Ciro, attraverso un’esperienza di bellezza, di laboriosità creativa. Si può, invece, senz’altro dire che  l’Italia stessa  in tante sue espressioni  è “città infernale”, e  questo penso sia stato anche il pensiero di Dante».
 
Nella realizzazione del progetto, ci sarà anche Purgatorio e Paradiso?
«Sì la Società Dante Alighieri ci ha confermano la continuità del progetto. Certamente non può ripetersi quanto è avvenuto per l’Inferno. Non più un viaggio, ma preghiera e meditazione per il Purgatorio, e visone assoluta nel Paradiso».
 
Dopo Napoli, continua la presentazione della Maratona infernale?
«A breve saremo a Parigi, e sarà la prima di una lunga serie di città in giro per il mondo».
 

Lamberto Lambertini – breve biografia
Autore e regista teatrale, radiofonico e televisivo, pittore e grafico. Con Colonnese ha pubblicato nel 1981 Il principe di Sansevero, l’Opera favolosa di Raimondo di Sangro, nel 2001 Sono nata a Procida, memoria impossibile di Concetta Barra.  Nel cinema ha debuttato con Vrindavan film studios primo film italiano girato completamente in India nel 1995 e presentato al Festival di Venezia, poi nel 2005 sempre a Venezia con Fuoco su di me, Premio per la cultura del dialogo. Ha successivamente diretto alcuni documentari su grandi scrittori italiani, tra cui Ugo Foscolo e Giacomo Leoparsi  e vinto nel 2007 il Premio La Navicella dell’Ente dello Spettacolo con il documentario su napoli Queste cose visibili. Per i 150 anni dell’unità d’Italia ha presentato in televisione il documentario Giuseppe  Garibaldi.
 

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