La macelleria di Arquata del Tronto

«Torniamo su e gli abitanti non ci sono più, i villeggianti chissà quanti ne ritorneranno. Soltanto l’amore per il territorio ci ha spinto e incoraggiato a mantenere la nostra attività». A colloquio con Alessandro Petrucci sulle difficoltà di ricomiciare e il rapporto con il gruppo di acquisto solidale del Progetto Rimpresa
Reimpresa

Alessandro è il titolare di una macelleria a conduzione familiare ad Arquata del Tronto. Ma Arquata non è più la stessa dopo gli eventi sismici che hanno stravolto il suo territorio. E Alessandro è tra quegli imprenditori che non si arrendono e vogliono spendersi fino in fondo per riannodare i fili della propria storia.

La tenacia dei Petrucci d’altronde si è vista già nelle scelte dei figli. Alessandro e il fratello sono laureati, uno in economia, l’altro in storia, Ma alla morte del padre, 10 anni fa, hanno deciso di proseguire con il negozio per continuare la tradizione di famiglia. Quella che ha posizionato la macelleria nella nicchia degli allevamenti di montagna. “La macelleria è rinomata per la peculiarità di prendere la carne direttamente dai contadini, e di di vendere le bestie della zona. Avevamo un grande successo, anche grazie alla produzione di salumi artigianali fatti da noi”. “L’attività andava bene – racconta Alessandro –  e in questi anni è stato sempre un crescendo, abbiamo creato un bel laboratorio”.

Un’azienda radicata sul territorio, senza i numeri della grande distribuzione, ma con clienti da tutte le parti d’Italia: singoli, famiglie, ristoranti, insomma un grande bacino di utenza.

“Eravamo una risorsa anche per gli allevatori della zona – continua Petrucci – perché questo lavoro non lo fa più nessuno, si è perso il contatto tra macellaio e allevatore. Siamo arrivati a fatturare anche 600mila euro l’anno”.

Il picco arrivava nel periodo estivo. In una località montana con paesi che si riempiono d’estate, ad agosto alla macelleria Petrucci potevano lavorare fino a 7 persone. “Di recente avevamo arricchito l’attività con un laboratorio nuovo, e macchinari costosi per fare arrosticini, salsicce e salumi. Anzi, fino alla sera prima del 24 agosto ci lamentavamo del troppo lavoro. Facevamo turni dalle 4 di mattina alle 10 di sera”. E poi le due date fatidiche:

Arquata del Tronto
Arquata del Tronto

“Se è vero che con la scossa del 24 agosto il negozio non ha subìto danni diretti, il lavoro è stato stravolto, perché la maggioranza delle case di Arquata è andata distrutta e la popolazione costretta a lasciare il paese. Dopo la scossa del 30 ottobre il negozio è risultato inagibile. Ci siamo dovuti fermare”.

«Il 30 ottobre era il giorno della ‘sagra del marrone’. Si era deciso di farla comunque come segno che il Paese voleva ricominciare. Si prevedeva grande affluenza, era un’occasione simbolica. Avevamo preparato quintali di salsicce. Invece c’è stato questo terremoto terribile; non si sa come abbiamo fatto a uscire dal negozio, pensavamo di restare intrappolati».

Dopo il secondo terremoto si ė posto quindi il problema di smaltire la merce rimasta dentro il negozio.  «L’abbiamo piazzata a destra e sinistra – racconta Petrucci – 8 quintali di salsiccia fresca. Da una parte ci hanno aiutato, ma c’è anche chi se ne è approfittato, come un grossista della zona che l’ha ricomprata a un prezzo irrisorio».

«Poi abbiamo levato tutti i macchinari dal negozio, macchinari costosissimi, appena comprati e finiti di pagare, abbiamo portato tutto via in un garage che ci hanno prestato ad Ascoli e durante questo periodo non abbiamo potuto lavorare».

La domanda è inevitabile: e adesso, che fare?

«C’erano due possibilità. Spostare il negozio ad Ascoli, prendere un locale – anche se con dispiacere – per ripartire più velocemente anche nel giro di un mese. Facendo un ragionamento economico era la scelta più conveniente, avevamo tanti clienti anche li. Dall’altra parte mio fratello insisteva per restare su. Avevamo un pezzo di terra vicino a Pescara del Tronto, e abbiamo presentato il progetto a spese nostre, per ricostruire un capannone pochi chilometri più in là».

Una scelta coraggiosa, di fronte a una marea di difficoltà: «Torniamo su e gli abitanti non ci sono più, i villeggianti chissà quanti ne ritorneranno, il paesaggio della Salaria non è più quello di una volta. Sono zone che è una scommessa… Soltanto l’amore per il territorio ci ha spinto e incoraggiato a fare questo passo, e mantenere la nostra caratteristica di macelleria che ha la carne di montagna».

«Stiamo affrontando tanti problemi: burocrazia e permessi non ci aiutano. Noi – con un investimento di 300mila euro – ce la stiamo mettendo tutta, poi se anziché incentivi abbiamo ostacoli».

Il Progetto Rimpresa  (vedi CN n.2/2017) è uno degli strumenti a disposizione: “Per ripartire dobbiamo utilizzare tutti gli aiuti che ci vengono dati. Il gruppo d’acquisto sarà fondamentale perché il lavoro è molto di meno, già qualcuno ci aveva aiutato dopo il terremoto del 24 agosto.

«Come i ragazzi di Brescia che tra il 24 agosto e il 30 ottobre erano passati in negozio. Siamo rimasti in contatto, e dopo il terremoto mi hanno detto: metti tutto dentro il camion che ti vendiamo tutto. E lo hanno fatto, anche a prezzi maggiorati. Tantissimi clienti hanno cercato di aiutarci in ogni modo e questa è la cosa che fa più piacere».

«In cuore ho tanta pena – confida amaro Alessandro – per i figli prima di tutto, 2 io e 2 mio fratello: eravamo sicuri di lasciargli una posizione, un lavoro, una sicurezza. Il più grande, di 4 anni, chiede quando torniamo a casa. Vediamo gente disperata e in difficoltà. Tanti muoiono, è aumentato il numero di infarti, anche tra i giovani. Ė una comunità distrutta. Con i ragionamenti materiali la speranza io non ce l’ho più, ma abbiamo lasciato agire il cuore e deciso di ritornare là dove siamo cresciuti e provare a ripartire».

 

 

 

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