La fraternità protagonista del Vaticano II

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Se si cerca un testo nel quale i problemi della cultura e della società occidentale contemporanea sono analizzati con un bisturi affilato e capace di aprirli nella loro profondità, questo è senz’altro la Gaudium et Spes, cioè la Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II su “La chiesa nel mondo contemporaneo”. Promulgata il 7 dicembre 1965, essa si rivolge “a tutti indistintamente gli uomini”, volendo affermare che niente di ciò che è “genuinamente umano” è estraneo alla chiesa. Potrebbe sembrare una semplice dichiarazione di intenti, l’espressione di un desiderio; al contrario, rileggere la Gaudium et Spes a quasi cinquant’anni di distanza dal suo concepimento, mette in evidenza quanto questo legame tra chiesa e mondo sia essenziale; ed essenziale soprattutto per la cultura, cioè per il modo di pensare, per la valutazione delle cose e delle situazioni. Quasi che la separazione tra chiesa e mondo – che effettivamente c’è stata, sotto molti aspetti, nell’età moderna e contemporanea – lasci entrambi i soggetti privi di qualcosa di essenziale: da qui la debolezza del pensiero che caratterizza i nostri anni, e che colpisce, in particolare, il pensiero politico, cioè quello che ragiona sull’insieme, sull’unità tra tutte le componenti di una comunità. E il ragionamento sull’insieme è tanto più difficile, quanto più la comunità è divisa. Ed ecco il bisturi del documento conciliare, che affronta tale divisione nella profondità delle cause, segnalando “lo squilibrio fra una moderna intelligenza pratica e il modo di pensare teoretico… squilibrio tra le specializzazioni dell’attività umana e la visione universale della realtà”; l’uomo contemporaneo, insomma, è diventato estremamente potente e capace di dominare singoli pezzi della realtà, ma non è più capace di vederla nel suo insieme, di capirne il senso. Gli capita, di conseguenza, di utilizzare, in un determinato settore, la tecnologia con grande efficacia: ma con conseguenze distruttive per l’insieme, cioè nei confronti dell’ambiente naturale e nei riguardi delle persone; gli capita di moltiplicare la propria capacità produttiva, ma, paradossalmente, di farlo in modo tale che la povertà, a livello globale, aumenti. Questa separazione tra la potenza pratica e la capacità di orientarla a un fine buono per tutti, esprime in realtà una divisione che l’uomo contemporaneo ha in se stesso, “dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società”. Ciò nonostante, la Gaudium et Spes non vede la storia contemporanea come un fenomeno negativo, anzi: “Siamo testimoni della nascita d’un nuovo umanesimo in cui l’uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia”; il documento vede addirittura profilarsi una “nuova cultura “, che assegna compiti ai quali “tutti, ma specialmente i cristiani, fraternamente uniti in una sola famiglia umana, sono chiamati”. Pur tra le difficoltà della nostra epoca, dunque, è più forte il positivo che va emergendo, e che consiste proprio nella dimensione della fraternità, caratteristica della “nuova cultura”. Il Concilio propone insomma una chiara lettura della storia: più forte delle divisioni che in diversi modi l’uomo produce, è il movimento di unità che tende a fare dell’umanità un’unica famiglia, sulla base della fraternità. Ma tanto è presente l’idea della fraternità nel documento conciliare, quanto è assente nella riflessione contemporanea, al punto da essere quasi l’emblema della separazione fra chiesa e cultura contemporanea. In effetti, guardando agli ultimi tre secoli, abbiamo visto sorgere movimenti storici che hanno proposto valori e principi già conosciuti prima, ma dandone una interpretazione una realizzazione storica fortemente innovative. Facciamo il caso del movimento liberale, che ha imposto al mondo una realizzazione del principio di libertà che ha rivoluzionato la politica e l’economia; una libertà che, oltre a produrre progresso e dignità umana, si è anche, spesso, rovesciata nel proprio contrario, degenerando in arbitrio e consentendo l’instaurarsi della legge del più forte. E il caso del movimento socialista che, sulla base dell’uguaglianza, ha aperto un orizzonte di emancipazione per i più deboli, lottando contro l’idea che la subordinazione dell’uomo all’uomo fosse un dato di natura; e anche tale movimento ha prodotto degenerazioni, specialmente in certi regimi oppressivi che hanno tolto dignità agli uomini, anziché restituirla. Si tratta di movimenti che, in parte fin dalla loro origine, ma soprattutto nel loro sviluppo ideologico successivo, sono cresciuti nell’estraneità al cristianesimo o addirittura contro di esso, anche se i valori che proclamavano erano originariamente cristiani e anzi, senza la rivoluzione culturale cristiana, libertà e uguaglianza, come princìpi universali, non sarebbero neppure state concepibili. La separazione, che è avvenuta non senza colpe da parte degli stessi cristiani, ha staccato questi princìpi dalla loro radice: perché libertà e uguaglianza sono conseguenze della fraternità: per il fatto di essere figli dell’unico Padre, siamo anche liberi ed uguali; concetto, questo, continuamente riaffermato dalla Gaudium et Spes. Il rifiuto di questa paternità si è espresso, nell’età contemporanea, nell’oblio della fraternità, che ha fortemente condizionato la realizzazione storica degli altri principi che invece, nella Gaudium et Spes, sono costantemente ricondotti alla fraternità. E proprio considerando gli esiti negativi – e non solo i successi – della libertà e dell’uguaglianza, è sorta – lanciata da Chiara Lubich – la riflessione contemporanea sulla grande assente, la fraternità: una categoria messa da parte proprio perché troppo esplicito è il suo legame con la sorgente religiosa, troppo forti sono le esigenze che essa contiene. Ma divenuta indispensabile per affrontare i problemi globali di oggi, nei confronti dei quali la riflessione contemporanea, e in particolare quella politica, mostra un “deficit” di teoria, proprio per avere voluto escludere la fraternità dal proprio orizzonte. E si incomincia ad accorgersene, mano a mano che il pensiero del Movimento dell’unità, che si fonda proprio sull’idea di fraternità lanciata dalla Lubich, diffonde la propria dottrina e la propria presenza; scrive su Le Monde del 21 maggio il prof. Mattéi, dell’università di Lille: “Bisogna anzitutto ricordare che la fraternità è la grande dimenticata del trittico repubblicano (…) Attraente a causa della sua dimensione affettiva, nella forma di supplemento d’anima, ma del tutto sospetta e inammissibile per la ragione repubblicana nel momento in cui si è trattato di utilizzarla come principio giuridico ed etico”. La fraternità, “tanto indispensabile quanto imbarazzante “, per usare un’espressione del prof. Mattéi, diviene ineludibile oggi, quando sono gli stessi processi sociali, economici e politici attualmente in corso a spingere l’umanità verso la costruzione di una forma comunitaria universale; esistono infatti problemi che possono venire affrontati e risolti solo attraverso la collaborazione costante, strutturale, di tutti i popoli; e la fraternità è l’unica categoria che può spiegare il legame universale necessario per costruire questa collaborazione globale. È proprio quanto sottolinea la Gaudium et Spes, assegnando alla chiesa il compito di immettere il vero senso all’interno del processo di globalizzazione, collaborando a correggere i fenomeni ingiusti e errati. In questo quadro, il ruolo delle istituzioni internazionali e regionali è quello di preparare la costruzione di una autorità universale, basata sul consenso e sul rispetto di ciascuno: “Esse rappresentano i primi sforzi di gettare le fondamenta internazionali di tutta la comunità umana”. Questo elemento comunitario, per il Concilio, è un dato originario: “Sin dall’inizio della storia della salvezza, Egli stesso elesse uomini, non soltanto come individui ma come membri di una certa comunità. Infatti questi eletti, Dio manifestando il suo disegno, chiamò “suo popolo” (Es 3, 7-12) con il quale poi strinse il patto sul Sinai”. Successivamente, “tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto dall’opera di Cristo Gesù”, il quale “santificò le relazioni umane”: ciò significa che tutto ciò che gli uomini fanno gli uni agli altri, tutte le forme umane di relazione sono componenti della relazione di fraternità che deve instaurarsi tra gli uomini. La fraternità, infatti, è un dato di partenza, nel senso che è ciò che Cristo, attraverso la redenzione, ha già operato negli uomini e fra di loro, ma è anche ciò a cui l’umanità deve arrivare nella storia: “Nella sua predicazione espressamente comandò ai figli di Dio che si trattassero vicendevolmente da fratelli. Nella sua preghiera chiese che tutti suoi discepoli fossero una “cosa sola”. Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, Redentore di tutti. “Nessuno ha maggiore amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici” (Gv 15,13)”. È importante notare la sequenza logica – che è la logica stessa del distendersi nella storia del piano della salvezza – con la quale la Gaudium et Spes presenta il diffondersi della fraternità. Scaturisce dal Cristo, che con essa genera la chiesa. Questa è, per così dire, il luogo dove la comunione fraterna è depositata; ma la chiesa ha il compito di portare la fraternità fra tutti gli uomini: “Comandò, inoltre – spiega il documento -, agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l’amore”. Per questo il Concilio “offre all’umanità la cooperazione sincera della chiesa al fine di stabilire quella fraternità universale che corrisponda” alla vocazione dell’uomo. Ogni uomo ha già, infatti, una vocazione alla fraternità, come un seme in lui deposto da Gesù, la cui opera redentrice ha toccato ogni uomo, e va dunque al di là dei confini visibili della chiesa: alla chiesa il compito di risvegliare tale seme, perché dia il frutto, in ciascuno, secondo il proprio modo e la propria cultura.

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