La fratellanza declinata

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Mumbai, gennaio 2003. L’impatto con la capitale economica e culturale dell’India non può mai essere agevole. Non ci si abitua, ad esempio, alla infinita teoria di baracche che occupa ogni interstizio della città, alternata tuttavia a sempre nuovi e più arditi grattacieli. Mumbai è lo specchio del paradosso di un paese d’un miliardo di anime (anime: il termine calza perfettamente), stretto tra tecnologia e tradizione, tra unità dello stato e regionalismo, tra pacifismo e violenza. TERRENI D’INTESA Banganga: nella punta occidentale di Mumbai, nella Malabar Hill, c’è una grande vasca di acqua verdognola, circondata da graziosi tempietti, alcuni relativamente antichi, considerata la piccola Varanasi – la città santa degli indù, sul Gange – della metropoli. Eppure, dopo aver visitato la città dei bagni purificatori, una certa delusione è naturale. Tra alti palazzi (quasi grattacieli), e basse catapecchie (quasi baracche), le gradinate degradanti sull’acqua sono oggi pavesate in rosso, per un concerto di musica tradizionale, un’iniziativa per la salvaguardia dei luoghi tradizionali della fede indù: anche qui secolarismo e consumismo minacciano i millenni. C’è poca gente sul posto, oltre agli operai, un caldo soffocante e poca bellezza. Eppure, dinanzi a un tempietto dedicato a Krishna, una donna offre doni al suo dio, cibo e fiori e bevande. Gli occhi della donna sono di fede. Occhi belli. Ripenso a quel luogo, come a uno sfondo, entrando al campus del Somaiya college, 25 mila studenti per 31 istituti, nel nord-est della città: qui si svolge un incontro tra il cristianesimo (senza ombra di sincretismo) di Chiara Lubich e l’induismo (senza ombre di cedimenti) del Somaiya Sanskriti Peetham. Due anni fa, sotto una shamiana colorata simile a quella odierna, si era assistito con stupore al nascere di un rapporto – fino a poco prima impensabile -, con una delle istituzioni indù maggiormente impegnate nel dialogo interreligioso. In questa seconda visita la sorpresa è diversa: viene dalla constatazione che in questi ventiquattro mesi il rapporto è progredito assai, grazie soprattutto a un simposio indùcristiano svoltosi nel giugno scorso (vedi Città nuova n° 13/2003). Sono presenti 300 persone, un’assemblea qualificata: oltre a Shantilal K. Somaiya, il presidente del college, a Kala Acharya e alle sue collaboratrici del Somaiya Sanskriti Peetham, a Shubada Joshi, responsabile del dipartimento di filosofia della Mumbai University, presenziano i capi dipartimento delle istituzioni del college e altre personalità, politiche, culturali, del mondo dell’arte. Sul palco, ornato di ghirlande e di tessuti colorati, ecco le cerimonie: il dono di collane di sandalo e di fiori, l’accensione della lampada per invocare la presenza di Dio, le composizioni musicali indù, le preghiere. I discorsi. Qui non sono semplici omaggi, o dotte elaborazioni intellettuali. Sono dialogo, ricerca di mutua comprensione. Ad esempio Chiara Lubich – Chiaraji, come dicono da queste parti, aggiungendo al nome il suffisso “ji”, indicando con ciò una persona degna di onori – presenta la sua esperienza di Dio amore, un annuncio semplice e chiaro, evangelico. Attraverso episodi della sua vita, offre numerose verità della fede cristiana, insistendo in modo particolare sulla carità, come quell’arte di amare che tutti siamo chiamati a vivere, al di là della religione di appartenenza, perché presente in qualche modo in tutte le religioni. È proprio l’amore, spiega Chiara, che ci dà la possibilità di lavorare al progetto per una fratellanza universale. Kala Acharya propone, come d’uso in India, una sorta di esegesi delle parole dell’ospite, come si fa con il sutra delle Scritture vediche. E sottolinea alcuni punti proposti da Chiara che, secondo lei, confermano altrettanti elementi della tradizione indù: amore, ascesi, Scrittura. Mentre Shubada Joshi porta una sua testimonianza: quello che l’ospite afferma è vero, perché lo ha visto realizzato durante il convegno indù-cristiano e la susseguente visita a Loppiano, cittadella italiana dei Focolari, “una città dove i sorrisi non si fanno solo per i fotografi “. Alla fine Shantilal K. Somaiya chiede la collaborazione dei Focolari nell’animazione spirituale dei 25 mila studenti del campus. Desidera che il movimento contribuisca alla presentazione del “metodo” per costruire la fratellanza universale, al di là di lingue, religioni e caste. Ami Kumteker, preside della facoltà di Infotech, commenta: “Parto colma di un amore senza pregiudizi”. UNITÀ E DIALOGO La grande arteria dell’ovest è percorsa da bus, auto, moto e taxi che pavesano bandierine color arancio e striscioni inneggianti al presidente del Gujarat, Narendra Modi, fondamentalista indù che ha stravinto le elezioni locali (la sua è la regione dove più si avverte la tensione interreligiosa tra indù e musulmani e, in misura minore, coi cristiani). È stato invitato per i festeggiamenti offerti dal presidente della regione del Maharashtra. Sulla strada, però, ecco un segno di contestazione pacifica, organizzata da un gruppetto di pacifisti. Gandhi appare ormai lontano, così come il suo appello alla fratellanza. Anche la visita alla casa del Mahatma è un tuffo al cuore: un museo. Sembra che qui in India di lui non sappiano più che farsene, col fondamentalismo imperante, la corruzione galoppante, il consumismo strisciante e Bollywood dominante. Ma non è vero. Gandhi vive altrove. Con queste immagini negli occhi e nel cuore mi reco alla St. Stanislaus’ School di Bandra, per una grande assemblea dei movimenti e delle associazioni della diocesi di Bombay, al loro terzo appuntamento. Già nell’agosto del 1999, in effetti, e poi nell’aprile del 2000 si erano tenute due manifestazioni, un gran successo per il card. Ivan Dias e il vescovo ausiliare, mons. Bosco Penha, incaricato dei laici: le relazioni fra movimenti e associazioni, prima inesistenti, erano state avviate in spirito di comunione. Così oggi ecco 16 movimenti e associazioni riuniti per un momento-culmine di tale percorso di unità, attorno a quella stessa persona – Chiara Lubich – che in piazza San Pietro, nella vigilia della Pentecoste 1998, aveva promesso al papa di lavorare strenuamente ad essa: la riunione di oggi è stata la 233ª nel mondo nata da quella promessa, “a testimonianza di un impegno concreto e utilissimo per la comunione nella chiesa”, come dice il cardinale. È con queste premesse che al calar della sera il grande cortile della scuola si popola di persone di ogni età e condizione sociale, fino a raggiungere la cifra assai significativa di circa 3.500 presenti. L’atmosfera è improntata al desiderio di una mutua conoscenza, tanto che, quando il presentatore invita ciascuno a far conoscenza coi vicini, tutti l’hanno già fatto. Sul palco, accompagnati dai canti e dalle musiche di una band, campeggia una grande scritta: Charisms in communion, carismi in comunione. Un programma di preghiera, arte, discorsi, interviste. Il card. Dias presenta Chiara Lubich, sottolineando come il suo carisma sia fatto “per tutta la chiesa, per tutti gli uomini e le donne, nessuno escluso”. Sottolinea anche l’importanza del dialogo interreligioso aperto dall’ospite, in particolare con gli indù: e coglie l’occasione per invitare a impegnarsi su questo fronte delicato per una chiesa di minoranza. Spiritualità di comunione e comunione fra movimenti e comunità ecclesiali sono i temi affrontati dalla Lubich. Un discorso lungo – qui in India i discorsi “devono” essere lunghi per poter dire che sono importanti -, che contagia i presenti. “Parole che hanno l’ampiezza della chiesa”, sottolinea mons. Penha. “Nei fatti – aggiunge Felix de Souza, organizzatore del programma – il cardinale lavora molto affinché l’arcidiocesi diventi una casa e una scuola di comunione. Nelle parole di Chiara si sentiva echeggiare questo suo sogno”. LA VIA Chor bazar, il bazar dei ladri. In realtà è un vasto mercato nel quartiere musulmano più esteso della città, in cui ad esempio si susseguono (numeri verificati) 20 botteghe di barbieri, 32 bar per il chai, 12 magazzini di mercanti di ferro vecchio e altrettanti di mercanti di ferro nuovo, 27 commerci di mobili vecchi e 18 di nuovi… Si trova di tutto, l’affarone e l’imbroglio. Comunque, nonostante la confusione apparente, la gente risponde a regole non scritte che tutti rispettano. Ma nei momenti di tensione, nel giro di un paio d’ore la zona diventa oltremodo pericolosa: i musulmani escono dalle case brandendo spade e pugnali, mentre l’esercito penetra nel quartiere. Tutt’altro clima di dialogo si respira a Goregaon, al nord della città, nel vasto seminario St. Pius X. Vi studiano attualmente circa 160 seminaristi. Qui si svolge l’incontro di Chiara Lubich con il clero delle diocesi di Bombay e Vasai: cardinali e vescovi, sacerdoti e seminaristi, alla presenza di alcune religiose, 320 presenti. “Questa persona è conosciuta in tutto il mondo, non per quello che è, ma per quello che il Signore vuole offrirci attraverso di lei. Porta un carisma, che diffonde in tutto il mondo, chiamato spiritualità dell’unità”: così il cardinale. “Sappiamo bene – aggiunge – come l’India sia soggetta a molte influenze distruttive: intemperanze religiose, caste, corruzione… Noi preti dobbiamo essere costruttori d’unità: oggi non c’è persona al mondo che possa spiegarci meglio come esserlo”. Chiara, dopo un preciso inquadramento della spiritualità di comunione nella tradizione e nel pensiero del papa, spiega all’uditorio i cardini per costruirla: Dio amore, la volontà di Dio, la Parola… Spesso abbandona i fogli per parlare a braccio, raccontando esperienze di vita, invitando anche il cardinale a raccontare un “fioretto” che egli stesso le aveva confidato. Il clima è sciolto, e l’attenzione è piena. Seguono alcune domande: “Come fare in una situazione complessa di povertà, analfabetismo e corruzione?”. Risposta: “Amare, amare tutti, magari anche solo con un sorriso”. Domanda: “Come fare con il fanatismo religioso?”. Chiara spiega la presenza dei “semi del Verbo” in ogni fede, e della necessità di avviare rapporti semplici, basati sulla “regola d’oro”, presente in ognuna delle grandi religioni. Una terza domanda: “Tu, che sei una leader, cosa diresti a Saddam e Bush?”. “Direi quello che dice il papa – risponde Chiara -: mai la guerra, mai, mai. E poi preghiamo per la pace”. Un commento per tutti, quello di un sacerdote di Bandra: “Da anni sono travagliato perché sentivo che il mio approccio con gli indù era inconcludente. Ho letto libri, ho parlato con teologi e professori, ho cercato un rapporto con gli indù. Oggi lo choc: Chiara ci ha ricordato l’essenza del vangelo, che troppo spesso dimentichiamo, qualcosa di semplicissimo: l’amore. Debbo semplificare il mio essere prete”. L’INCONTRO NELLA MISTICA Il momento più elevato del viaggio in India è tuttavia un piccolo meeting con alcuni esponenti indù, tra cui alcuni gandhiani: un momento di alta valenza spirituale e mistica, la continuazione del simposio già ricordato. “Direi che siamo più fratelli che amici”: Chiara accoglie i partecipanti creando le premesse di fraternità necessarie per momenti di intesa insospettabile sul piano mistico, quello che il card. Ivan Dias ha incoraggiato a perseguire. Nel corso del lungo dialogo, intervengono i partecipanti indù, sottolineando le similitudini esistenti – talvolta sorprendenti – tra la loro religione e quella cristiana. In particolare alcune metafore – sole, luce, fuoco, danza e musica – che, assieme ai rispettivi ricchi vocabolari dell’amore, sono emerse come elementi utili per facilitare la mutua comprensione e per far lievitare la gioia del convenire. Alcuni “semi del Verbo” – come usano dire i teologi – presenti nella religione indù emergono chiaramente. “Si può vedere la bellezza solo attraverso un occhio spirituale”, commenta al termine il prof. Raja, della Gandhigram University del Tamil Nadu. L’IMPEGNO DEI MOVIMENTI Nell’arcidiocesi di Bombay operano, oltre a varie associazioni (tra di esse, si ricordano la Legio Mariae e la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli) e a vari movimenti più impegnati nel sociale (ad esempio il Catholic Sabha e i Giovani lavoratori cristiani, l’Associazione per le collaboratrici domestiche e quella per le vedove), anche movimenti di rinnovamento spirituale (come il Rinnovamento dello Spirito, e altre organizzazioni che da esso traggono ispirazione). È inoltre molto attivo anche il Cammino neo-catecumenale, e non mancano alcuni movimenti per la pastorale familiare (Marriage encounter, Engaged encounter, Couples for Christ). E ci siamo anche noi del Focolare, sin dall’inizio dell’avventura. AL BHARATIYA VIDYA BHAVAN In questo “Centro per la cultura indiana” – importante e riconosciuto organismo culturale parauniversitario, un organismo di fatto trans-religioso, visto che ne fanno parte indù, musulmani, cristiani, zoroastriani, buddhisti…, che conta un centinaio di sedi in India e quindici all’estero, fondato nel 1938 per la riscoperta delle radici della cultura indù e per il suo sviluppo -, si è svolto un incontro coi Focolari sul tema “Unità e fraternità universale”. L’invito per Chiara Lubich era stato fatto dal prof. Upadhyaya, una persona dalla cultura vastissima, profondamente spirituale, con una forte aspirazione mistica. Dopo l’accensione della lampada, simbolo della conoscenza e la lettura del discorso preparato da Chiara, il prof. Upadhyaya ha preso la parola: “Non ho nulla da aggiungere – ha detto fra l’altro -: il cuore di quello che abbiamo sentito sono l’unità e la fratellanza universale, che sono anche il centro della nostra cultura, dell’unità dell’umanità e dell’assoluto monismo dell’advaita. Ormai trattiamo gli altri come fossero a noi estranei, mentre tutti siamo uno… Non basta la tolleranza, serve l’accoglienza, l’amore che noi riassumiamo nel bhakti, l’amore supremo per Dio… Abbiamo visto un’epoca dominata dalla frase: “Vivi e lascia vivere”. Ma c’è dell’egoismo in ciò. I nostri santi antichi, e anche quelli di oggi come Chiara, ci dicono invece: “Ama e fai vivere””.

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