La fragilità della vita umana

La tragedia dei due treni scontratisi ad Andria riporta al centro dell’attenzione il senso delle cose. Che lo vogliamo o no
Treno Andria © Michele Zanzucchi 2015

È stato un tamtam sulla Rete, pochi minuti dopo il crash del treno ad Andria: chi conosceva qualcuno, chi imprecava contro il cantiere non iniziato, chi compativa il capostazione, chi si divertiva a postare foto macabre. Come al solito su Internet corre di tutto. Ma la stragrande maggioranza dei messaggi ponevano solo e sempre la stessa domanda: perché?

 

Una abbonata pugliese aveva la figlia nel treno. Sta ancora tra la vita e la morte. Ci ha chiesto di pregare, e poco alla volta la catena s’è diffusa, quasi che buona parte d’Italia vivesse per quella ragazza dal volto sconosciuto ma vicinissima al cuore. La preghiera troppo spesso viene invocata solo quando siamo nel bisogno, quando non c’è nulla da fare. Ma la preghiera è proprio espressione prima della nostra domanda: perché?

 

C’è qualcosa di più, questa volta, rispetto ad altre catastrofi naturali o umane: l’accartocciamento delle lamiere, la compenetrazione delle due vetture di testa ha creato un ammasso di ferraglia e plastica indistricabile, paurosamente avvolgente. Tutti, nessuno escluso, abbiamo pensato che là dentro c’erano un centinaio di vite umane, 27 delle quali sicuramente sono arrivate alla morte, e altre sono lì lì per salutarci definitivamente. La vita è fragilissima, anche se il viaggio in treno resta e resterà il più sicuro in assoluto, anche se i controlli digitali potranno evitare simili stragi, anche se l’inadempienza parziale dello Stato o dell’amministrazione pubblica locale certamente ha le sue colpe.

 

La vita è fragile. Va curata, rispettata, amata. Prima, dopo, durante. A priori, a prescindere, ad libitum. Altrimenti scoppia il caos. Forse il treno di Andria è proprio una metafora della fragilità della nostra esistenza umana. Umanissima. Fragilissima.

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