La forza della debolezza

Aung San Suu Kyi ha vinto le elezioni. Pare impossibile. Il ricordo di un premio a lei devoluto nel 2008.
La neo eletta Aung San Suu Kyi

Nel settembre 2007 la comunità internazionale si emozionò di fronte alla testimonianza dei monaci di Myanmar e della signora Aung San Suu Kyi. Oggi l’opinione pubblica mondiale gioisce della vittoria politica ed elettorale di questa straordinaria donna, che con il suo partito ha vinto 43 seggi su 44 alle recenti elezioni suppletive.
Avevo portato il Pegaso a Jangoon nel 2008, quattro anni fa, quando la signora era agli arresti domiciliari. Consegnai la massima onorificenza toscana al nostro ambasciatore perché, quando la signora fosse stata liberata, le fosse donato come uno dei primi doni della libertà. La missione nacque dal dialogo con il nostro ministero degli Esteri (il dott. Iannucci, della direzione generale per l’Asia) e con Piero Fassino, rappresentante speciale di Solana, allora ministro degli Esteri dell’Unione europea.
Tutti condivisero la necessità di aprire un rapporto positivo con questo popolo e questo Paese, rimanendo ferma la condanna della violazione dei diritti umani ad opera del regime autoritario, protagonista dei giorni drammatici dell’autunno del 2007.
Nel dicembre 2010, dopo la sua liberazione, l’ambasciatore italiano ha in effetti consegnato alla signora San Suu Kyi il Pegaso, sicuramente una delle sue prime onorificenze ricevute dopo la fine degli arresti domiciliari.
 
Durante quella missione ho incontrato per tre volte il medico personale della signora San Suu Kyi, l’unico che la poteva visitare una volta al mese. Mi raccontò la giornata della signora: cinque ore di ascolto della radio, unico strumento di rapporto con il mondo esterno, di scrittura e di lettura. Il resto della giornata era dedicata alla meditazione e ad esercizi ginnici, per tenere in forma il corpo. Con lei vivevano due collaboratrici. Ogni volta che il medico si recava da lei, doveva avere l’autorizzazione al massimo livello politico.
Una vita di ascesi e di meditazione, dunque, vissuta come condivisione della vita e delle sofferenze di tutto il suo popolo. Ecco dove ha radici la lotta non violenta e vincente di questa piccola e grandissima donna, dalla fortezza mite, e per questo capace di parlare il linguaggio dell’unità e della verità, e non della divisione e della menzogna, della riconciliazione e non del conflitto.
Myanmar si trova all’incrocio di tre grandi Paesi: l’India, la Cina e l’Indonesia. Dunque un crocevia di straordinaria importanza e quindi ciò che accade in questo bellissimo Paese ha un valore universale. E la storia e oggi il successo di questa donna mostrano la forza del suo messaggio universale di non violenza, verità e giustizia. È una parola e una testimonianza per tutta l’Asia, non solo per il suo Paese. E dunque una parola e una testimonianza per il mondo.
 
Quando arrivai con la mia carrozzina davanti al filo spinato che bloccava la strada a dieci metri dalla casa di San Suu Kyi, tutto sembrava confermare il fallimento politico di una donna che da sola si opponeva a un regime autoritario e violento. In realtà, già i soldati che mi bloccarono nella forza delle loro armi mostravano la debolezza di una politica che non si costruisce con il consenso, con il dialogo, con la democrazia, ma si impone con la repressione di tutta l’opposizione.
La forza dei generali era debole, la debolezza di San Suu Kyi era forte. C’era come un rovesciamento evidente. Il futuro stava nella vita e nel cuore di questa piccola donna, non nelle strategie dei generali. Oggi tutto questo ha una evidenza solare.
Questo non cancella la sofferenza dei poveri nelle città e soprattutto nelle campagne, ma la speranza – che ha il volto di questa donna – comincia ad abitare nei cuori di molti, come queste elezioni confermano.
Nessuno andava nel 2008 in Myanmar, solo un assessore paralitico della Toscana, piccola regione del nostro Paese di fronte al mondo, ma che aveva colto nel presente le cose belle del domani. La testimonianza della signora San Suu Kyi è in effetti diventata universale. In Myanmar opera una donna coraggiosa che ha la misura di Nelson Mandela. Il suo pensiero e la sua azione non violenta per la democrazia rappresentano un patrimonio per tutta l’umanità, a cui tutti potranno attingere.
Anche in questo l’Asia mostra una fecondità, una originalità e una freschezza che continuamente ci sorprendono. Forse, proprio in questa area del mondo le parole della politica cominciano a uscire dalla sofistica, per tornare ad essere efficaci, nella forza della verità.
 
L'Autore è consigliere del presidente della Regione Toscana per la pace, la cooperazione e i diritti dei disabili.

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