La figura di Frère Roger

Chi siamo noi?, scriveva anni fa nel diario personale frère Roger Schutz. Una piccola comunità, fragile, appesa a una speranza folle: la riconciliazione dei cristiani e di tutti gli uomini. Anche nella circostanza più tragica vissuta il mese scorso dalla comunità di Taizé, il fondamento della riconciliazione non ha vacillato. In quella sera dello scorso 16 agosto, quando, durante la preghiera vespertina nella chiesa – denominata non a caso della Riconciliazione – una donna rumena squilibrata ha affondato un coltello nella gola del mite, novantenne fondatore, le grida di dolore dei monaci e dei 2.500 giovani presenti si sono subito volte in corale orazione, affinché la violenza non avesse l’ultima parola, come chiarì frère Alois. La sua morte assurda e violenta inonda di luce la sua vita e la sua opera. Taizé ha tenuto fede alla sua folle vocazione di comunità ispirata all’accoglienza e al dialogo, alla preghiera e alla pace. La sognarono così due giovani svizzeri calvinisti, Roger Schutz e Max Thurian, quando nel 1940 si fermarono su una collina vicino a Cluny, in Francia, nel sud della Borgogna. Lì passava una linea di frattura tra nazioni in guerra e tra cristiani divisi. Per diversi anni Roger aveva sofferto di tubercolosi polmonare. Nel corso della malattia, aveva maturato il richiamo – come spiegano i suoi monaci – a creare una comunità in cui la semplicità e la benevolenza del cuore potessero essere vissute come realtà essenziali del Vangelo. Un modesto prestito finanziario permise l’acquisto di una casa abbandonata da anni con alcuni edifici adiacenti. Il progetto impossibile aveva trovato una dimora. Roger, allora venticinquenne, propose alla sorella Geneviève di raggiungerlo per aiutare ad accogliere quanti fuggivano dal conflitto mondiale, ebrei compresi. L’avventura muoveva i primi passi, sostenuta dalla preghiera e dalla Parola. Oggi i fratelli di Roger, cattolici e membri delle chiese della Riforma, sono un centinaio e vengono da 25 paesi. Settanta vivono a Taizé, gli altri in piccole fraternità tra i poveri in Bangladesh, Corea del Sud, Brasile. All’apertura del Concilio Vaticano II, Schutz e Thurian vennero invitati come osservatori. Perché vi fidate così tanto di noi?, chiese frère Roger a Giovanni XXIII. Perché avete gli occhi innocenti dei bambini, fu la risposta. Nel 1957, cominciarono ad arrivare a Taizé i primi giovani. Da allora il nome di quel borgo sconosciuto iniziò a passare di bocca in bocca. Ogni anno sono migliaia i ragazzi che fanno tappa nella comunità per un periodo di condivisione. Frère Roger ideò un concilio dei giovani e dette vita alle settimane di Taizé e agli incontri di fine anno nelle metropoli europee. Il prossimo si terrà a Milano dal 28 dicembre al 1° gennaio. Appuntamenti, questi, che hanno anticipato e probabilmente contributo a ispirare le Giornate mondiali della gioventù promosse da papa Wojtyla. Ai giovani ha fatto comprendere lo scandalo della divisione tra cristiani ma, ancor più, ha fatto sperimentare l’essenziale che già li unisce. Frère Roger è un uomo che ha costruito ponti di preghiera e di dialogo tra i cristiani, viene sottolineato nel comunicato – significativamente congiunto – del consiglio delle conferenze episcopali cattoliche europee e della conferenza delle chiese europee (che raggruppa le chiese ortodossa, anglicana e della Riforma). Per lo storico Andrea Riccardi è stato un infaticabile tessitore dell’unità, sapiente e silenzioso. Taizé è diventato così un grande luogo dello spirito in Europa. È stata una figura carismatica e profetica – ha commentato Enzo Bianchi, priore della comunità ecumenica di Bose -. Aveva letto in anticipo i segni dei tempi e con quei fratelli aveva ormai percorso un lungo cammino, aprendo sentieri ecumenici nella teologia, nella liturgia, nella spiritualità . Frère Alois, 51 anni, tedesco e cattolico, è il successore che Roger aveva designato da otto anni. Arrivò la prima volta a Taizé appena sedicenne. Dopo la sepoltura del fondatore nel piccolo camposanto della comunità, gli è stato chiesto cosa desiderava che i giovani ricordassero di frère Roger. Che la vita ha senso quando si dona, che la vita ha un valore inestimabile. ROGER E CHIARA una lunga amicizia Appena Chiara Lubich il 17 agosto scorso ha appreso la notizia della scomparsa di frère Roger Schutz ha inviato un telegramma alla Comunità di Taizé. Si dice sconvolta e aggiunge: La sua vita tutta donata a Dio e ai fratelli è stata coronata dalla palma del martirio. Ora lo pensiamo nella pienezza della gioia in seno alla Trinità. Ricorda frère Roger come costruttore di pace, profeta di speranza e di gioia. Auspica che l’amicizia che ci ha legato profondamente a frère Roger e alla Comu- nità di Taizé, continui anche ora che egli ha raggiunto il Cielo. Oltre un quarantennio di conoscenza, di corrispondenza. Tra loro crescerà una speciale comunione fraterna proprio perché solo chi ha un dono di Dio comprende chi ha un dono di Dio. Nelle varie città – dapprima a Milano e a Firenze – si sviluppano rapporti profondi tanto che ad un giornalista de La Croix (1995) Chiara dichiarerà: frère Roger io lo conosco molto bene. Prepara la strada per l’ecumenismo. Con lui e Max Thurian siamo molto amici. Tutti questi giovani che s’incontrano sono una realtà sorprendente . Sono numerose le persone del Movimento dei focolari che lo hanno conosciuto personalmente. Ho ricevuto una lettera da Carlos Palma, focolarino uruguayano. Rievoca il dono immenso che frère Roger direttamente o indirettamente è stato per tutti e per lui personalmente. Nel 1980 trascorse un anno a Taizé, insieme a trenta giovani di varie Chiese per preparare il Concilio dei giovani. In quell’anno mi ha trasmesso in modo del tutto speciale la sua passione per l’unità delle chiese, l’amore per la mia Chiesa cattolica e per le Chiese della Riforma, l’Anglicana, e quelle Orientali. Ci teneva molto al fatto che io ero dei Focolari e tante volte mi chiedeva notizie, parlandomi del suo amore per questo carisma. Durante l’ultima settimana ogni sera, dopo la fine delle preghiere, mi prendeva per mano e mi portava davanti a una bellissima icona di san Pietro e san Paolo abbracciati, e lì in silenzio, pregavamo per qualche minuto. Dopo mi poneva le mani sulla testa pregando per me: erano momenti densissimi di divino!. Io lo incontrai a Taizé nell’agosto del 1974, all’apertura del primo Concilio dei giovani (40 mila di 130 paesi). L’ultimo giorno si mise a disposizione di tutti e una folla di giovani si accalcò per ore attorno a lui. Stava in piedi, salutandoli uno a uno: mite, appariva indifeso nel suo pallore, grandemente accogliente. L’impressione più forte che ho avuto con lui è stata la luce del Risorto che irradiava. Al saluto di uno dei gen che era accanto a me: Siamo parte integrante del Concilio, rispose imprevedibilmente: Ma rimanendo ciò che voi siete, la vostra specificità è molto importante. E ancora: Siate sicuri che tutto va bene, ciascuno rimanendo al suo posto. Noi – Taizé e i Focolari – camminiamo sulle orme di Cristo. È del luglio 1966 la sua prefazione al libro Méditations di Chiara, in cui ricorda di aver conosciuto i Focolari più di dieci anni prima e che l’incontro resta marcante. Il 16 dicembre 1970 si recò alla sede dei Focolari a Rocca di Papa a parlare con Chiara che lo presentò a gruppi del movimento. Egli vedeva molteplici piccole epifanie nei piccoli focolari dove arde la stessa fiamma della carità del Cristo e affermava di avere una fiducia incrollabile nella vostra vocazione. Vangelo, riconciliazione, preghiera, comunione fraterna – anche tra movimenti cristiani – è la sua voce che si staglia sempre più. Risponde ai promotori dell’incontro dei Movimenti a Stoccarda Insieme per l’Europa 2004 (Chiara, il pastore Aschoff, Helmut Nicklas e Andrea Riccardi) e dice che non potrà purtroppo essere presente, ma chiederà a un frère di parteciparvi convinto da lunghi anni che la costruzione di un’Europa dei popoli, attenta al resto del mondo e cosciente delle sue sorgenti spirituali, è del tutto essenziale per la pace. Frère Roger aveva un altro segreto: la gioia, quella che egli comunica anche nell’ultima lettera a Chiara del giugno scorso, ringraziando degli auguri per il novantesimo compleanno: Non dimentico tutto quello che ci unisce da tanti anni, i nostri incontri a Roma, a Graz. Abbiamo fatto questa scoperta: c’è una gioia nell’umile dono della propria vita. Sì, Dio ci vuole felici. Inimmaginabile fino a che punto si sarebbe compiuto il dono della sua vita. Proprio alla vigilia della grande giornata dei giovani e dell’incontro ecumenico di Benedetto XVI a Colonia. I frutti della passione del suo cuore continueranno a incoraggiarci nel nostro cammino.

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