La drammatica scelta di Angelina Jolie

Un test genetico, con un costo accessibile anche nel nostro Paese, offre la possibilità di identificare mutazioni di due geni coinvolti nello sviluppo di forme tumorali. La scelta dell'attrice, di far ricorso ad interventi chirurgici preventivi, apre al dibattito
Jolie

Un semplice prelievo del sangue. Un test genetico, offerto a costo accessibile anche nel nostro Paese a chi ha familiarità per forme tumorali gravi o precoci, in grado di identificare mutazioni a carico di due geni coinvolti nella stabilità del DNA. 

È così che l'attrice Angelina Jolie è venuta a conoscenza della presenza, nel proprio DNA, della mutazione dei geni BRCA1 e 2, con rischio di sviluppare un tumore maligno del seno e delle ovaie incrementato, rispettivamente, di oltre l'80 e del 50 per cento.  Di qui le scelte, note per volontà dell'attrice, di farsi asportare in maniera preventiva entrambi i seni (nel 2013) ed ora, con un intervento chirurgico reso pubblico oggi (24 marzo 2015 per chi scrive), tutte e due le ovaie.

 «Voglio che tutte le donne sappiano che ci sono delle scelte», ha dichiarato la Jolie in un'intervista al New York Times, spiegando le sue ragioni, fortemente legate alle sofferenze che la malattia ha inflitto alle donne della sua famiglia. La frase a conclusione delle sue dichiarazioni, «la conoscenza è potere», ha fatto, in pochi click, il giro della rete. 

Impensabile entrare nel merito di decisioni così drammatiche e personali, pensando di estrapolarle dal contesto personale di chi le vive e ne affronta tutte le conseguenze, per farne terreno di confronto (o scontro) metodologico e ideologico. Il rispetto per la persona non deve però impedire di porsi degli interrogativi, anche per dare un seguito al gesto coraggioso e onorevole di Angelina, che ha voluto far conoscere a quante più donne possibile la propria esperienza.

Perché parlare di scelte significa chiarire quali sono le alternative in gioco e non può certo limitarsi ad informare sulla possibilità di rimuovere un organo a rischio di ammalarsi.

Anzitutto questo non è quasi mai possibile: pochissimi organi permettono, una volta asportati, di sopravvivere e continuare una visita fisica normale, anche evitando di considerare le delicate conseguenze psicologiche, relazionali e sociali che questa menomazione comporta.  Va poi considerato quanto la presenza di mutazioni del DNA, identificabili da un test diagnostico, pesi effettivamente nella probabilità di sviluppare una neoplasia in futuro: recenti studi mostrano l’estrema instabilità del substrato biologico alla base della trasmissione dell’informazione genetica[1], o come la presenza di una mutazione sia responsabile dello sviluppo di un tumore solo in un terzo dei casi (argomento di cui, i lettori ricorderanno, si è già discusso[2]). Per migliaia di persone, indipendentemente dai test predittivi, questi interventi non possono essere una ponderata scelta preventiva, ma una drammatica strada obbligata.

E allora? Su quali altre opzioni possiamo contare, nella lotta a questa tragica malattia?

Se si deve concentrare l’attenzione del grande pubblico, conviene farlo anzitutto sui programmi di prevenzione e sui test di screening attualmente disponibili, che permettono di individuare fasi molto precoci dello sviluppo neoplastico e intervenire dove c’è una realtà di malattia in divenire. È poi essenziale che tutti comprendano quanto gli stili di vita e i comportamenti favorevoli alla salute possono fare per prevenire l’insorgenza di moltissime patologie, non solo neoplastiche, responsabili di un drammatico peggioramento della qualità della vita di chi ne è affetto.

In questo senso, sono ancor più d’accordo con Angelina, perché la conoscenza dei fattori protettivi per la salute è davvero un grande potere.

Un’ultima considerazione, fra le tante possibili nel rispetto doveroso dei percorsi e delle sensibilità di ognuno, è dedicata alla scienza medica, così come oggi ci viene presentata. Capace di offrire grandi risposte e fornire potenti strumenti, ma forse non altrettanto progredita nell’assistere l’essere umano nella più importante delle sue sfide, quella che nessuno può evitare: il confronto con la propria finitezza, con la sofferenza e, perché no, con la fine della propria esistenza.

Se è vero, come credo fortemente, che questi temi appartengono al cuore più intimo della medicina, lo è altrettanto il fatto che le risposte necessarie non potranno arrivare solo dal progresso tecnologico e da una conoscenza scientifica sempre più parcellizzata, incapace di aprirsi fino in fondo alle dimensioni culturali, psicologiche e spirituali della persona.

 



[1]
http://www.lescienze.it/news/2015/03/12/news/errori_copiatura_dna_evoluzione_cancro_tremolii_quantisitci-2521339/

[2] http://www.cittanuova.it/c/443655/Il_cancro_Questione_di_sfortuna.html

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