La discrezione di Silvestro Lega

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Arte come discrezione. In un’età, la nostra e la sua – quella dell’Italia risorgimentale – dove questo atteggiamento di vita e di pensiero è troppo spesso messo in disparte, le tele di Silvestro Lega suonano come una voce altra. A cui avvicinarsi con la delicatezza pudica che investe i suoi quadri, siano essi scene di guerra, ritratti o interni familiari. Lega, romagnolo trasferito a Firenze, si innamora degli artisti del primo rinascimento: Angelico, Lippi, Paolo Uccello…, ne assume l’impaginazione chiara, la luce limpida, la compostezza. Segue il corso delle stagioni, così che luce e colore assumono toni diversificati secondo il volgere del tempo, in una armonia oggi sul punto di scomparire e che perciò vena, per noi, di tristezza le sue tele così piene di sentimento. La donna che passeggia leggendo in giardino, tra rose e fiori in un cielo primaverile, è una delle tante figure femminili care a Lega che vi scopre il fascino della signorilità vera, quella naturale. C’è una luminosità ombrata che fa presagire il vento di marzo, nelle tela, così che le tinte sono dolci e sfocate. Ma nella Visita dopo pranzo il sole irrompe sotto il pergolato in un giugno caldo, e ravviva i gesti raccolti, le parole accennate, punteggiandoli di tocchi impressionisti rossi e bianchi sui fiori. C’è poi la poesia dell’autunno grigio e spoglio nella celebre La Visita: ancora donne in saluti consueti ma non banali, che il colore basso rende, con fare leggero, quasi un sussurro nella casa di campagna. Questa leggerezza, quel sentimento di calma riflessiva, Lega lo trasferisce anche nei ritratti e nelle scene di guerra. Il Ritratto di Garibaldi (1861) non ha nulla di eroico. È una malinconica visione di un uomo insoddisfatto a cui gli orpelli della spada e della camicia rossa quasi danno fastidio. Nel Ritorno dei bersaglieri, manca la retorica epica di un Fattori, che Lega sostituisce con uno squarcio di cielo azzurro sotto cui marciano vincitori e prigionieri senza alcun trionfo. Il pittore non è uomo di spettacolo. La sua discrezione lo porta a riequilibrare spontaneamente ciò che è superfluo, e superficiale. Lega va a fondo, ha bisogno del tempo, non è artista d’impulso. Ma quando crea è capace di momenti poetici emozionanti, dicendo in apparenza le cose di sempre. La sua arte più vera si esprime negli interni della buona borghesia, quando tre ragazze cantano uno stornello alla luce di un cielo incerto: luce che batte su ognuno dei tre volti, rivelando sentimenti diversi: concentrazione, gioia, timidezza. E scivolando sugli oggetti e le vesti a contornare quell’insieme di semplicità e grazia che si chiama femminilità. Come gli Impressionisti, e forse senza saperlo, Lega ritrova sé stesso a contatto con la natura. Il paesaggio diventa specchio degli stati d’animo. Nella Chiesina di campagna (1875) stende un colore diffuso in un verde indistinto, su cui pulsano tre tocchi rossi a dire un papavero, un macchia di donna immersa nel prato, mentre avvertiamo già in noi la brezza che vola. O nel Paesaggio del Gabbro l’estate brilla sull’aia tra le galline con una luminosità agreste per nulla romantica ma reale, viva. Quella che chi vive in campagna è abituato a godere. È singolare, l’arte di Silvestro Lega. Mai un grido, un accendersi. Piuttosto un senso di affetto sereno per tutto ciò che esiste. Raro per noi da scoprire, presi come siamo dall’aggressività delle cose, ed anche dell’arte stessa, a volte. Lega insegue il silenzio, l’accostarsi discreto. Per questo le sue tele hanno la bellezza del non apparire da subito, ma si rivelano con lentezza. Da guardare con l’occhio innocente della ragazza Isolina, ritratta nel 1869, pudica come l’anima di Silvestro.

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