La difficile e meravigliosa storia di Guo Gangtang

La storia di Guo Gangtang, un padre che ha ritrovato il figlio rapito dopo 24 anni di ricerche, ha fatto il giro del mondo, e lo ha commosso. E più ancora, ha offerto almeno un paio di lezioni per tutti: mai arrendersi e la forza contagiosa dell’altruismo.

Siamo nella Cina più orientale, provincia dello Shadong; in una cittadina come infinite altre, chiamata Liaocheng. È il pomeriggio del 21 settembre 1997. Il piccolo Guo Xinzhen ha appena due anni e sta giocando nel cortile di casa. Poi, scompare nel nulla.

Le prime frenetiche ricerche e le indagini della polizia locale non danno esito, ma il padre non ci mette molto a sospettare che sotto ci sia la mano dei trafficanti di esseri umani: bande criminali che rapiscono bambini coi fini più turpi: rivenderli per adozioni illegali all’estero (la maggioranza), o ridurli in schiavitù, o peggio ancora, ricavarne organi.

Il padre, Guo Gangtang, non si dà pace: in pochi mesi perde venti chili e si ritrova coi capelli bianchi. Ma invece di lasciarsi sprofondare nella depressione o arrendersi all’ineluttabile come vorrebbero i più – dato che in Cina spariscono ogni anno non meno di ventimila bambini – si rimbocca le maniche e comincia a cercarlo. Stampa migliaia di volantini e comincia a distribuirli per le strade di tutta la provincia, ma senza alcun esito.

Epperò papà Gangtang non molla: compra una moto e comincia a viaggiare attraverso l’immenso Paese, setacciandone quasi ogni provincia: quasi dieci milioni di chilometri quadrati dove vive un miliardo e mezzo di persone: megalopoli brulicanti di vita e malavita, e villaggetti persi nel nulla. Più facile scovare un ago in un pagliaio.

Col passare degli anni e dei chilometri (alla fine saranno mezzo milione!) la ricerca si fa un po’ più mirata, ai volantini si aggiungono striscioni e manifesti, articoli e appelli televisivi, cooperazioni istituzionali. Ma neppure il sostegno di tanti sortisce gli effetti sperati, e Gangtang prosegue quasi sempre da solo, in groppa alla sua moto scassata attraverso gli sterrati di un Paese sterminato, con una grande bandiera con su una foto del suo bambino che sventola dal portapacchi. Ogni tanto il povero ha pure degli incidenti e finisce in ospedale (alla fine i punti di sutura saranno una quarantina), ogni tanto la vecchia moto lo molla e gli tocca cambiarla (gliene toccherà rottamarne una decina). Ogni tanto s’imbatte in qualche storia simile alla sua e papà Gangtang riuscirà a restituire alle loro famiglie almeno sette bambini. Nel frattempo apre un sito internet dedicato non solo a reperire informazioni utili alla sua ricerca, ma anche a molte altre, e quasi un centinaio di persone riusciranno a tornare a casa anche grazie a lui.

I media si accorgono di lui quando la sua storia finisce in un film, Lost and Love (Perdita e amore), che arriva nella sale nel 2015 con protagonista una stella del cinema di Hong-Kong, Andy Lao. «Non posso smettere di cercarlo», continua semplicemente ad affermare in occasione dell’uscita. Papà Gangtang fatto così: cocciuto, imperturbabile, determinato, infaticabile. Ma del suo Xinzhen ancora nessuna traccia. In compenso ha bruciato tutti i suoi risparmi e si è indebitato per centinaia di migliaia di yuan. Ma nulla lo ferma, lui tira diritto e continua a cercare.

A gennaio di quest’anno il Ministero Cinese di Pubblica Sicurezza, grazie anche alla sua commovente impresa, lancia la campagna Tuanyan (“riunione”, in cinese) proprio per dare una spinta più decisa alla risoluzione dei tanti casi irrisolti come il suo. E qualche giorno fa, la svolta in cui ormai quasi solo lui continuava a credere: la polizia cinese rintraccia un ventiseienne, che la prova del dna dimostra inconfutabilmente trattarsi di suo figlio. L’arresto dei responsabili, padre e figlio davanti ai fotografi, in un abbraccio che fa il giro del mondo in poche ore. «Oggi è un giorno molto importante per me – ha detto Gangtang davanti ai cronisti – Mio figlio è stato ritrovato. Il futuro è pieno di felicità». Poi una chiusa che avrà spiazzato tanti: «Dio ci ha trattati con gentilezza».

Una storia estrema che ne travalica perfino il commuovente lieto fine. Perché quella di Guo Gangtang non è solo la storia di una speranza incrollabile che conforta e corrobora ogni altra speranza improbabile, e non è neppure solo la certificazione della forza di ogni fede, ma anche – se non soprattutto – una suprema lezione di altruismo, quella di chi sa farsi carico dei problemi altrui anche quando è schiacciato dai propri.

Ed è proprio questo, a parer mio, che fa di Guo Gangtang un eroe, e ben più grande ed autentico di quelli che le cronache pallonare ci hanno raccontato in questi giorni. Impossibile non gioire con lui.

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