La difficile arte della felicità

La poesia e l’amore: sono le due cose che rendono dinamica e bellissima la vita del Paterson di Jim Jarmusch.

Ci sono personaggi, nel cinema, nel teatro e nella letteratura, che sono utili e preziosi al di là della narrazione che abitano. Che insegnano oltre il valore assoluto di ciò che calpestano. Che da soli sorreggono il contenuto di un’opera, che comprimono e riassumono, col loro nome, un tema importante.

Il Paterson di Jim Jarmusch è parte di questo nobile gruppo. È un archetipo fresco, un mazzetto di pennellate originali, uno che somiglia solo a se stesso e in quanto tale comunica qualcosa di suo. Anche se poi è inevitabile che la positiva complessità di un personaggio faccia lievitare il risultato di un interno componimento, in questo caso di un film, intitolato, guarda un po’, proprio Paterson, in sala dal 22 Dicembre scorso.

 

Avrà più o meno trentacinque anni, Paterson, e fa l’autista di autobus nel New Jersey, in una piccola citta che si chiama come lui, Paterson, e che nella sua minuta monotonia gli fa da specchio. In realtà solo apparentemente, visto che sotto l’abito e l’etichetta che la società ci incolla, la nostra vita si dimena e scalcia, gridando continuamente che siamo altro, che siamo molto di più. Il fatto è che il ragazzone interpretato da Adam Driver compone poesie; di questo vive da quando si alza la mattina a quando va a dormire. Le scrive su un taccuino prima di attaccare a guidare, o mentre riposa su una panchina nell’ora del pranzo. Poi la sera torna a casa e trova ad attenderlo una moglie giovane e bellissima, artista non professionista anche lei: dipinge stoffe e suona la chitarra.

È bizzarra nell’arte come in cucina, anche se poi sforna ottimi cupcakes che al mercatino del sabato hanno un successone. Soprattutto, però, è innamorata a mille di lui, lo implora, ad ogni suo santo rientro da una giornata sempre uguale, di fotocopiare prima possibile le sue stupende poesie, perché non vadano perdute. Non si sa mai. Cenano insieme, si scambiano tenerezze e parole, costruiscono con spruzzate d’ironia la loro credibilità. Poi lui esce col cane e si ferma a prendere una birra al pub, e la mattina dopo si svegliano abbracciati, regalandosi sottili sussurri e coccole, prima del saluto e di un altro giro di giostra.

Potrebbe andare stretta, al sensibile Paterson, quella vita sempre uguale, quell’acquario micidialmente sicuro. In fondo è un poeta e potrebbe aver bisogno di conoscere, di osservare il mondo, di muoversi e incontrare persone, di scambiare pensieri con loro. E invece se ne sta lì, senza nemmeno il cellulare, figuriamoci internet, nello stesso posto in cui è nato.

 

Due cose, però, rendono dinamica e bellissima – lo afferma lui stesso – la vita di Paterson. La prima è proprio la poesia, che magari non è servita a dagli successo, ma è oro, ogni istante, perché rende interessante ed utile tutto. Fa sì che la sue emozioni circolino fluidamente sotto la pelle, che ogni incontro e visione esploda di senso. Poesia come benzina, poesia nella bellezza delle cose, in ogni centimetro e secondo del creato. Anche il pacchetto di fiammiferi che trova sul tavolo in cucina diventa il lampo chimico per una nuova espressione poetica. Mentre guida, ascolta i pensieri che la gente si scambia, sorride, li accoglie, in qualche modo li ama.

 

È umano, per carità, e a volte il suo viso si increspa. I pensieri grigi si arrampicano fino a suoi occhi e lo portano via dalla pace. Capita. La volta più esplicita quando il cane gli mangia il taccuino e la sua produzione scompare. Il giorno dopo è uno straccio: la sua umanissima vanità, la sua ricerca di identità attraverso il talento, si inceppano e lo fanno vacillare, ma capirà, grazie ad un incontro casuale e un po’ magico, che «le poesie possono anche andare distrutte, ma la poesia no». Ricorderà cioè che il dono ricevuto, quello di avere un cuore di poeta, di riuscire a vedere ciò che tanti non vedono, quello nessuno può toglierglielo. E chisseneimporta, allora, se un poeta di lavoro fa il conducente di autobus.

 

La seconda cosa che rende forte e felice Paterson è l’amore. Da intelligente com’è sa bene del secondo grande dono ricevuto. «Se tu mi lasciassi – recita una sua poesia – io mi strapperei il cuore. Non ci sarà mai nessuna come te». Ha imparato a vivere l’amore in verità e donandosi: non mente alla moglie, accoglie con silenzio, a volte stupito, le stravaganze di lei. Nel locale, la sera, incontra una coppia in crisi costante. Dei due l’uomo è il più disperato: «Senza amore – spiega a Paterson – perché uno deve esistere?». Anche attraverso le piccole storie di una piccola città, grazie ai talenti ricevuti in dono, nonostante qualche rallentamento che la vita può imporre, questo bel personaggio ha imparato la difficilissima arte della felicità. E per questo è esempio utilissimo.

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