La Costituzione, la rabbia e la speranza

Nel quadro di “una crisi mai vista” Città Nuova offre spazio ad un dialogo aperto, approfondito e rispettoso come miglior contributo alla vita democratica del nostro Paese. Con questo contributo  ospitiamo un parere che espone il sostegno alle prese di posizione del presidente Mattarella con riferimento alla fedeltà più autentica ai valori costituzionali
ANSA/UFFICIO STAMPA QUIRINALE/PAOLO GIANDOTTI

In questi venticinque anni, dal 1994 ad oggi, più volte si è tentato di colpire la costituzione, i suoi valori, i suoi principi, le sue istituzioni.

La questione non è quella di imporre un candidato sgradito al presidente della repubblica, ma si vuole colpire la figura del presidente della repubblica, che è punto di equilibrio supremo nella architettura della nostra costituzione. Si vuole umiliare la costituzione, riducendola a un bottino di guerra.

Nel 1994 si volevano ferire i valori della costituzione, oggi si vuole abrogare, con un atto violento, l’intero assetto istituzionale, che ha come pietra angolare il presidente della repubblica.

Mai come in questo momento sentiamo la responsabilità come cristiani di richiamare tutti a lavorare per unire il Paese intorno alle due lampade: il vangelo e la costituzione. Essa si pone come unico progetto culturale del nostro paese, nel dopoguerra. Essa ci appartiene, senza cedimenti, senza opportunismi, con parresia.

Non basta esprimere solidarietà al capo dello stato.

Nuovi valori vanno oggi seminati nella vita del nostro paese, a partire dalla riconciliazione e dal perdono. La rabbia che vediamo in molte delle strade e delle piazze, la violenza che è entrata nel cuore di molti giovani, l’abbandono della povera gente, domandano una azione culturale profonda, che ricomponga l’unità del paese, che oggi appare come dimenticata.

La costituzione ci consegna i suoi valori: la persona, il lavoro, la pace, un ordinamento che non contrapponga gli uni contro gli altri, ma che crei le condizioni  per unire e non per separare e confliggere.

Chi usa la voce grossa, chi alimenta la rabbia e l’odio, chi costruisce sulla paura, chi guarda al proprio interesse, chi pone ricatti, chi cerca di vincere la partita affidandosi a poteri occulti, si assume la responsabilità di offendere la verità.

Ecco il tempo della parresia, del dire tutta la verità e tutto il vangelo. Questa è la responsabilità dei nostri vescovi, che ogni giorno sono chiamati, in povertà e mitezza, a tenere accese le due lampade, che rendono luminoso il nostro cammino: il vangelo e la costituzione.

Le due lampade dei poveri in questo Paese.

Chi tenta di spegnerle vuole riproporre la notte della repubblica, quella notte che trasse origine  dal terrorismo e dalla sua cultura di morte. Ne siamo usciti con la forza della parola e della verità, pur consapevoli della nostra fragilità e dei nostri errori.

Il pensiero ha bisogno di radici e le radici devono essere profonde e devono essere alimentate  costantemente con l’acqua limpida e fresca della cultura del perdono, che trova la sua forza nel valore della persona e del suo primato, del lavoro, come ciò che rende degna la vita di ogni persona, della diffusione dei poteri, dell’unità del paese.

La scelta del presidente Mattarella sta in questo orizzonte, e trae da lì il senso di una scelta forte, per proteggere la vita della intera comunità nazionale, nel contesto europeo e mondiale.

Oggi non ci sono scelte periferiche e di contorno, ma siamo chiamati nuovamente a seminare la costituzione e a vivere il vangelo, che nella costituzione trova il suo disegno che accoglie la povera gente, che non disperde nessuna pecora del gregge, ma tutte va a cercare, una ad una.

Nella costituzione i poveri non sono una classe, ma persone, con diritti e doveri. E nessuno può essere lasciato indietro, seguendo l’interesse di pochi.

I prossimi mesi noi saremo sulle vie dei diritti e doveri costituzionali, saremo là dove sarà la povera gente sui sentieri della cultura dell’accoglienza e della solidarietà. Ecco la garanzia  davanti al pericolo “di una dittatura elettiva (quale quella che potrebbe  immaginarsi da certi sprovveduti membri della maggioranza)”.

Vogliamo camminare nella penitenza, perché siamo anche noi compartecipi della crisi del paese, perché siamo stati prigionieri del potere e dei suoi ricatti in questo lungo tempo della politica. Ma siamo anche convinti che le chiese possano svolgere un grande ruolo di magistero e di servizio.

Per passare dalla rabbia alla speranza.

NOTA EDITORIALE

Nel quadro di “una crisi mai vista” Città Nuova offre spazio ad un dialogo aperto, approfondito e rispettoso come miglior contributo alla vita democratica del nostro Paese

 

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