La capitale e la moschea

La città eterna, fra le tante caratteristiche emblematiche dell’Italia, ce ne svela una davvero significativa.
Una parte esterna della moschea di Roma

Roma, avvezza al diverso e all’altro per una questione di eredità storica millenaria e per le folle di turisti che la invadono quotidianamente, vive le difficoltà dell’integrazione. Non sono poche le aree di degrado dove chi arriva dall’estero senza permessi regolari è costretto ad accamparsi. L’integrazione sociale, con tutte le sue remore e problematiche, si gioca nei processi della quotidianità. È qui che prende sempre più forma la sfida lanciata dal presidente Scalfaro in occasione dell’inaugurazione della moschea: «Nella Roma dei Cesari e dei papi c'è posto per tutti».
 
Proprio la Grande moschea, costruita negli anni Ottanta e Novanta, resta l’emblema di questi processi e delle loro criticità. Tuttavia, spesso, inosservati si muovono protagonisti di mediazioni culturali e religiose che agiscono sul territorio. Corrado Betti, direttore di tipografia (quella di Città Nuova!) ormai in pensione, pur con una salute piuttosto malandata, vive da una vita nel II municipio, quello della Grande moschea. Dal 2007 si è trovato quasi per caso a costruire rapporti importanti.

Tutto è cominciato, ricorda Betti, quasi per caso: «Un consigliere di Forza Italia ha pensato bene di invitarmi ad un incontro con la comunità musulmana della moschea, non solo perché sapeva che ero inserito nel mondo della politica, e per di più in una coalizione che non è la sua, ma anche perché faccio parte di un movimento di rinnovamento che ha imparato a conoscere e stimare».
 
È l’inizio di un lungo cammino, spesso tortuoso e in salita, che, tuttavia, nel 2007 avrebbe portato a una grande manifestazione presso la Grande moschea. La prima visita di una piccola delegazione si è trasformata da un fatto culturale ad incontro di reciprocità al quale si sono aggiunti altri protagonisti sia dell’ambito politico che di quello del dialogo interreligioso e interculturale. Betti nota con piacere: «Il direttore del Centro di cultura islamico ci ha tenuto a sottolineare la soddisfazione per il fatto che era la prima visita ufficiale di persone radicate nella stessa circoscrizione: per lui era un simbolo di una stessa appartenenza pur nella diversità delle convinzioni religiose».
Nei mesi successivi si trattò di tessere trame delicate sia con musulmani e dirigenti della Grande moschea, ma spesso, soprattutto, anche all’interno degli ambienti istituzionali del municipio e del comune. L’evento dell’autunno 2007, con la partecipazione di circa 500 persone di fede cristiana e musulmana, si rivelò un momento ricco di contenuti, ma fatto soprattutto di rapporti, di conoscenza reciproca e convivialità.
 
In questi anni Betti ha continuato a lavorare alle radici, soprattutto nel contribuire ad educare alla conoscenza e al rispetto dell’altro: programmi nelle scuole in collaborazione con movimenti ed associazioni, e, soprattutto, visite guidate alla moschea. Confida che, ormai, lo conoscono tutti e questo mette a proprio agio chi accompagna per la prima volta in un luogo di preghiera dell’Islam. «È importante scegliere la guida giusta – confida Corrado –, ed io so per esempio che Aziz sa spiegare aspetti del mondo e del credere musulmano che sottolineano quanto abbiamo in comune e quanto possiamo condividere». Non si tratta di fare confusioni, ma certo di scrollare di dosso pregiudizi in modo da vedere nei fedeli dell’Islam persone che hanno una fede e che la vogliono testimoniare.
 
A fine aprile Corrado Betti ha presenziato alla visita che il presidente Napolitano ha fatto alla Grande moschea. «L’Islam è alla ricerca di un riconoscimento giuridico a livello nazionale – commenta –. E per questo, si è trattato di un momento storico per i rapporti tra l’Italia e cittadini di fede islamica».
La visita del presidente della Repubblica ha offerto la possibilità al segretario generale del Centro islamico culturale d'Italia, Abdellah Redouane, di sottolineare aspetti importanti della presenza dei musulmani nel nostro Paese, passati fra il 2003 e il 2010 da 600 mila ad oltre un milione e 200 mila: «Per integrazione positiva – ha notato – si intende non cancellare, e neppure negare, le radici culturali e religiose d’origine. E nello stesso tempo, significa aprirsi ai valori universali consolidati da un sano clima di democrazia e di libertà». Redouane ha poi sottolineato che, in una società sempre più multiculturale e multireligiosa, non si può prescindere da una buona governance.
Ma la governance, non è sufficiente. È necessario un lavoro alla base del tessuto sociale. Sono persone come Corrado che cuciono rapporti e infondo fiducia a tracciare la strada per amministrazione e istituzione.

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