Italia, Malta e quella barca

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Il giornale radio che sentiamo la mattina, un po’ insonnoliti e un po’ indaffarati, fa brutti scherzi. Certe notizie scorrono senza lasciare traccia, altre riaffiorano alla mente dopo qualche ora – forse quando il caffè fa effetto – e ci si chiede se abbiamo capito bene. Sorge un dubbio: è mai possibile che i maltesi possano lasciare le persone in acqua o che gli italiani dicano basta all’immigrazione via mare che da anni li impegna su molti fronti? Con il passare dei giorni, e sentendo sempre la stessa notizia delle stesse persone ancora ferme a bordo dello stesso mercantile, si cerca di capire chi abbia torto e chi ragione. In altre parole: c’è una legge che può risolvere la situazione? Il fatto è che le leggi possono evidenziare che non ci sono torti e ragioni ben distinti. Nascono da lunghi processi storici, da ampie elaborazioni culturali e politiche, ma non sempre forniscono una risposta immediata e sufficiente. Tecnicamente si può dire che c’è, in effetti, un diverso recepimento delle norme internazionali, ma anche l’eventuale soluzione giuridica del problema potrebbe non evitare il ripetersi di analoghe tristi storie. La realtà è che Italia e Malta vedono cadere nel vuoto gli appelli rivolti all’Unione europea affinché il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare sia preso in carico da tutti. È ben noto che l’Italia ha operato per anni, e da sola, il salvataggio dei barconi di migranti in zone di alto mare pur senza avere obblighi di legge. L’Unione contribuisce con propri fondi al controllo delle frontiere marittime, si adopera per attuare direttive per uniformare tra i vari Paesi l’ingresso e l’accoglienza di cittadini extra Ue. Ma soldi e norme – da soli – non bastano. Occorre rimettere in piedi l’idea che l’Unione europea ha responsabilità comuni in ogni faccenda che solo la sfiori pur se nell’estrema periferia sud. E poi si dovrebbero rimettere in circolo parole inusuali anche molto semplici nel dibattito internazionale ed intercontinentale: sussidiarietà, solidarietà, condivisione, buon senso. E ricordare che quello che per noi (europei) è un problema, per altri (africani) è una tragedia.

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