Italia, Europa, euro: non solo corsa a ostacoli

Facendo un parallelismo con le Olimpiadi guardiamo alla crisi non pensando ai cento metri piani ma alla cento chilometri a squadre
Mario Draghi e Mario Monti

«Il tracollo dell’eurozona non è più l’ipotesi di base; uscire dall’inferno dello spread è possibile». Queste affermazioni hanno un suono più incoraggiante se a farle è Nouriel Roubini, l’economista diventato famoso per aver previsto prima e meglio degli altri la grande crisi economica e finanziaria in cui da quattro anni siamo sprofondati. Roubini esprime la sensazione di sollievo che prevale in questi giorni, dopo una fase di grande sconforto. Confesso che per un po’ anch’io avevo temuto che, con la nave europea lanciata a tutta velocità verso uno scoglio appuntito, i vari ufficiali di bordo avrebbero continuato imperterriti a rimbeccarsi l’un l’altro sulla rotta da tenere, fino all’inevitabile tragedia.

La fiducia di Draghi Il segnale di svolta è venuto dalle parole di Mario Draghi alla Global Investment Conference di Londra: «L’Unione europea e la moneta unica sono progetti di importanza storica, troppo preziosi per lasciarli cadere; l’Europa ha una struttura economica solida, anche più degli Usa e del Giappone; la Banca Centrale Europea, che presiedo, si muoverà fino ai limiti del suo statuto per fermare la tempesta, e la fermerà». A convalidare queste affermazioni sono intervenuti sia la cancelliera tedesca Angela Merkel che il suo roccioso ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. Anche se la severissima Bundesbank (la Banca Centrale Tedesca) ha espresso qualche riserva, è tornata la fiducia che, non appena gli strumenti di bordo indicassero la minacciosa presenza di qualche scoglio affiorante, qualcuno la barra la manovrerà, e nessuno di quelli che contano si opporrà. Immediatamente il malefico spread è tornato sotto quota 500. Ma il problema è: quanto ci resterà?

La nave e l'Italia Mettetevi nei panni di un passeggero a cui siano venuti dei dubbi sull’affidabilità del governo della nave. Oggi lassù sul ponte di comando si son messi d’accordo e il passaggio attorno a quest’isola andrà liscio. Ma nei prossimi giorni, quando dovremo affrontare altri stretti, l’atmosfera sul ponte di comando sarà ancora la stessa? Nel frattempo qualche ufficiale avrà finito il suo turno e magari a sostituirlo sarà un bellimbusto, più preoccupato di far bella figura con le passeggere che della sicurezza loro e dei loro figli.  Domani che c’è una sosta in un porto, che faccio? Rientro a bordo o resto giù? Certo, tornare a casa con un altro mezzo mi costerà un po’ di quattrini, ma se c’è davvero rischio di naufragio io là sopra non ci torno.
Traduzione in termini economici: domani riaprono i mercati e questo mi dà la possibilità di ripensare la mia decisione di prestare i miei soldi all’italica Repubblica; se vendo, ci rimetterò qualcosa, perché il prezzo corrente dei titoli italiani è più basso di quando li avevo comprati, ma se nel frattempo in Italia cambia il governo e ricominciano come prima, o magari in Germania cambiano gli orientamenti…

Non la pancia ma la testa Questi sono giorni di olimpiadi, che ci portano immagini più allegre delle tragedie del mare. Ho il timore che gli italiani vedano i sacrifici di oggi, se non proprio come lo sforzo brevissimo di un centometrista, come quello di un mezzofondista alle batterie di qualificazione: si stringono i denti, si sopporta la fatica e, se si riesce a tener duro per qualche giro di pista, riusciremo a non farci eliminare e a restare in gara. Non mancano certo i politici pronti a incoraggiarci in questo senso («I compiti a casa che ci hanno chiesto li abbiamo già fatti. Votatemi e gliele canto io!») e non manca neanche nei giornali la capacità di parlare più alla pancia che alla testa dei lettori.

Lavorare sodo Non sto predicando un’austerity ancora più lunga e più pesante, che deprima ulteriormente l’attività produttiva e l’occupazione. Credo piuttosto che il Paese debba trovare la convinzione e la condivisione necessarie per avviare una stagione di profonda ricostruzione della nostra convivenza. Lo squilibrio delle nostre finanze pubbliche è solo una parte del problema, uno stato febbrile che è pericoloso di per sè, ma che è anche il sintomo di una malattia sistemica in corso. Basta guardare alle classifiche internazionali sull’apprendimento degli scolari o sugli standard accademici dei nostri atenei per capire che dobbiamo lavorare sodo nell’istruzione, non con la semplice approvazione di qualche semplice provvedimento legislativo, ma con anni di serio impegno a livello sia centrale che locale per realizzare le migliori ispirazioni che hanno ispirato le leggi vigenti. E lo stesso vale per la giustizia, un ambito in cui deteniamo saldamente la maglia nera della durata dei processi e della percentuale di questi che si conclude con la prescrizione.

Recuperare il ritardo C’è da lavorare per tutti per recuperare i molti ritardi accumulati negli ultimi lustri, dall’efficienza della pubblica amministrazione alla salubrità dell’aria nelle città, dalla qualità dei servizi bancari a quella dei trasporti (sia pubblici che privati), dalla messa in sicurezza del territorio all’innovazione tecnica e organizzativa, dal risparmio energetico ai tempi di pagamento della pubblica amministrazione e delle imprese, dalla correttezza contabile e fiscale al contrasto alla criminalità organizzata. Se riusciremo a sperare, progettare, realizzare insieme un grande, prolungato rilancio del Paese ci sarà nuovo senso per noi generazione adulta, spesso preda di un triste cinismo e della demotivazione che lo accompagna, e ci sarà una nuova prospettiva in cui coinvolgere i giovani, moralmente appesantiti dallo squallore degli esempi che popolano i mass media. Allora tedeschi e finlandesi non faranno fatica a vederci come possibili affidabili partner.

Lavoro di squadra Non dobbiamo pensare ai cento metri, e via. Per chi come me se li ricorda (oggi non si corrono più) bisogna pensare piuttosto ai cento chilometri di ciclismo, a squadre. Ho passato due ore notturne al pronto soccorso con un amico per un’emergenza poi rientrata. Vedendo all’opera medici, infermieri e volontari della Croce Verde ho pensato che una cosa del genere è ancora possibile.     

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