Intervista a Cristina Parodi

Giornalista e conduttrice televisiva, esordisce a Odeon tv fino ad approdare a Mediaset, dove contribuisce a lanciare il Tg5. Presenta, poi, Verissimo per 9 anni e dopo un breve passaggio a La7, conduce da 3 anni La vita in diretta su Raiuno

L’appuntamento è per un mercoledì mattina alle 10. Devo fare riconoscere il numero dal quale chiamerò tramite un messaggio, così da permettere all’interlocutore di visualizzare, memorizzare il numero e avere la sicurezza e la libertà di rispondere. È la pratica usuale con molti vip dello spettacolo, per evitare noie, seccature, problemi, entrando in contatto  con persone sconosciute. Così è anche per Cristina Parodi. Mi risponde via WhatsApp con il suo consueto garbo e gentilezza chiedendomi di chiamare tra 5 minuti. Da tre anni conduce su Raiuno “una quotidiana”, La vita in diretta. Chi non ha fatto questa esperienza difficilmente può capire che una trasmissione in diretta è come una ghigliottina, non si può rimandare il lavoro e dire: «Lo farò più tardi». Bisogna andare in onda ogni giorno alla stessa ora e tutto deve essere pronto. C’è il mestiere, la professionalità, l’esperienza, ma imprevisti accadono tutti i giorni e l’ansia si governa anche come fa Cristina Parodi andando al lavoro molto per tempo, per prepararsi con cura. Non è stato possibile incontrarla, da tempo – mi spiega il suo ufficio stampa – concede poche interviste e tutte telefoniche. Mi accontento di chiamarla al cellulare e capire, solo alla fine della conversazione, che era in taxi per arrivare presso il centro di produzione Rai di Via Teulada. Senza convenevoli, il tempo è poco, cominciamo l’intervista.

 

“La vita in diretta” di Raiuno che passo avanti ha rappresentato per la sua carriera? Sono stati tre anni molto intensi e faticosi perché è un programma in diretta tutti i giorni, 9 mesi all’anno.  È una lunga maratona. Per me arrivare alla Rai, dopo l’esperienza nelle tv private a Mediaset e, velocemente, a La7, è stato un punto di orgoglio, una grande soddisfazione e un traguardo perché si approda alla tv pubblica, alla rete ammiraglia, con cui mi identifico molto. Mi hanno dato grande gioia i risultati che abbiamo avuto e il piacevolissimo rapporto con Marco Liorni con cui lavoro molto bene e con cui mi trovo in perfetta sintonia. Il mio è un bilancio positivo.

 

Quali storie si porta nel cuore? Cosa resta di tanta umanità dolente che ha incontrato? Sono persone che non si riesce a raccontarle e scrollarsele di dosso come poteva essere nella gestione di un telegiornale quando conducevo per tanti anni il Tg5, dove c’è un rapporto più veloce con le notizie. A La vita in diretta parli con le persone, entri dentro le loro storie, vivi i loro stessi sentimenti e li seguiamo nel loro sviluppo dall’inizio alla fine. Non ti nascondo che un po’ di tristezza, dolore, angoscia, rimane. Se penso ai femminicidi, alla quantità di donne che muoiono per mano dei mariti e compagni, mi terrorizza. Tre anni fa, quando abbiamo cominciato a parlare di questi casi, molte donne subivano violenze senza aver il coraggio di denunciare. Ma la maggior parte delle donne con cui parliamo che sono state aggredite, sfregiate dagli uomini, hanno denunciato per tempo e hanno subìto lo stesso delle violenze. Cosa vuol dire? Non possiamo chiedere alle donne di non vergognarsi di denunciare e poi non tutelarle. Manca una legge per proteggerle.

 

Ha lavorato sia a Mediaset che a La7 che in Rai. C’è ancora necessità e spazio per il servizio pubblico qualificato? Il servizio pubblico qualificato esiste e deve essere la televisione di tutti con contenuti utili su temi che la gente deve comprendere dando lo spazio a tutti i settori che interessano alle persone, dalla sanità all’istruzione. Noi non trattiamo di politica perché seguiamo la cronaca e offriamo un servizio a telespettatori che pagano un canone. Vuol dire fare cose non futili, ma di qualità, interessanti, non sempre educative, perché il palinsesto pomeridiano tiene compagnia, intrattiene. Deve essere piacevole e intelligente.

 

Oltre le apparenze. Chi è Cristina Parodi? È difficilissimo definirsi. Sono una normalissima donna di 52 anni, mamma di tre figli e moglie di un uomo (Giorgio Gori, attuale sindaco di Bergamo, ndr) che lavora moltissimo. A mia volta, ho un lavoro che mi tiene molto impegnata e mi piace molto. Quello che sono è un equilibrio tra la vita pubblica e privata, dove la seconda è quella più importante (ride, ndr).

 

Che tipo di formazione educativa e umana ha avuto? Sono cresciuta in una bellissima famiglia con persone che mi hanno insegnato i valori giusti, la normalità, l’impegno per riuscire a raggiungere degli obiettivi. Mio papà era un ingegnere, mia mamma un’insegnante. Ho  un  fratello, Roberto, giornalista e conduttore televisivo specializzato in viaggi in moto, e ho una sorella, Benedetta, anche lei giornalista e conduttrice televisiva, specializzata in programmi di cucina. La mia infanzia e adolescenza sono state molto serene e divertenti. Mio papà, che se n’è andato, purtroppo, nel 2012, per me rimane un esempio di bontà, serietà, rettitudine, onestà specchiata, generosità, intelligenza rara. Anche solo averlo avuto vicino, perché l’esempio conta più di tante parole, è stato un grande dono. Ha sempre scelto la strada più difficile per arrivare ai suoi obiettivi e ha vissuto una grande storia d’amore con mia mamma che è durata più di 50 anni.

 

In una precedente vita ha avuto una carriera come tennista. Perché le piaceva questo sport? Mio papà giocava a tennis e sono cresciuta ad Alessandria dove c’è un circolo sportivo importante. A 8 anni ho cominciato a giocare, mi piaceva, sono diventata subito brava e a differenza dei miei fratelli, che hanno lasciato perdere, ho cominciato a fare delle gare a livello agonistico fino alla fine del liceo, arrivando alla seconda categoria. Dopo ho smesso perché a 19 anni avevo voglia di andar via da Alessandria per andare a studiare a Milano. Ero a un bivio. O fare carriera, e ciò implicava impegnarsi al massimo per arrivare al top, o mollare. Da allora, se non 3-4 volte, non ho più giocato. Fare sport è una bellissima esperienza e credo che quella che sono adesso è anche per merito di quell’impegno che ti dà serietà, maturità, attenzione. Cresci più in fretta. Necessiti di tanta concentrazione in un torneo, di grandi sacrifici per allenarti e tanta fatica per ottenere dei risultati. A 14 anni fai queste esperienze che poi ti ritrovi a 25 quando cerchi lavoro.

 

Come ha maturato la sua scelta di lavorare nel campo dei media? Casualmente, perché durante i miei studi universitari di Lettere ho fatto mille lavoretti per mantenermi, tra cui anche scrivere articoli per il giornale di Alessandria e per una rivista di tennis che seguiva i tornei internazionali dove ho fatto anche la speaker, l’hostess, l’ufficio stampa. Poi mi hanno chiesto di lavorare in una televisione allora nascente, Odeon tv, in un programma che si chiamava Totomotori e io di motori non capivo nulla. Mi mandavano a fare servizi sui raduni delle auto d’epoca e, siccome mio papà aveva una vecchia Jaguar, era una delle cose che un poco conoscevo. Da lì mi è piaciuta l’idea di andare in giro, intervistare, montare i pezzi. Fare, insomma, la giornalista tv. Sono passata  a programmi di calcio, sport che non mi piaceva, fino ad arrivare alle news a Canale 5 che era il mio obiettivo. È stata una strada che ho scoperto man mano che la percorrevo, però non è stato un imprinting che ho avuto sin da piccola perché volevo fare l’archeologa e mi piaceva la storia antica.

 

Non tutti i giornalisti diventano conduttori. Qual è il suo stile di conduzione? Bisogna essere capaci di comunicare, di raccontare in video. Alcuni giornalisti lo sanno fare molto bene scrivendo o da inviati sul campo, ma in studio hanno meno abilità. Se ho una qualità è l’assoluta normalità che mi rende abbastanza simile alle persone che mi ascoltano. Sono cresciuta con Enrico Mentana, con una scuola che ti insegnava a fare il telegiornale con un tipo di linguaggio che arrivasse alla gente in maniera diretta, senza usare il politichese, frasi fatte, in modo molto chiaro, semplice. È una cifra che mi è rimasta e mi contraddistingue.

 

Com’è nata la sua spiccata sensibilità per i temi sociali? Il tema della povertà, della mancanza di cibo per i bambini è quello che mi tocca di più perché viviamo in un mondo ricco e superficiale che spreca tante ricchezze quando dall’altra parte del mondo ci sono persone povere. Da tanti anni collaboro con una ong di Bergamo. Con loro ho fatto tanti viaggi nel mondo, ho visto posti incredibilmente belli e poveri e mi sono resa conto di quello che si dovrebbe fare. Il problema è che lo fanno di più le ong e le onlus e meno gli Stati. Lo fanno i privati con le donazioni ma sono piccole gocce dell’oceano.

 

Come riesce a conciliare famiglia e lavoro? Da tre anni, conducendo La vita in diretta, vivo a Roma e torno a casa il venerdì. È un grande sacrificio per tutti. I miei figli più grandi, Benedetta e Alessandro studiano all’università, la più piccola, Angelica, frequenta le scuole superiori. Provo grandi sensi di colpa come tutte le donne che lavorano fuori di casa a tempo pieno, ma la moderna tecnologia aiuta e riusciamo a vederci e parlarci tutti i giorni. A distanza di tempo, la mia più grande soddisfazione è vedere i miei figli, che hanno 21, 20 e 16 anni, crescere bene. Sono ragazzi grandi, sereni, intelligenti, curiosi, bravi. Per ora sono stata fortunata.

 

Cosa pensa della carriera politica di suo marito? Non posso che ammirarlo perché il nostro Paese avrebbe bisogno di altre persone come lui che si impegnino in politica. È sempre stato una persona in grado di creare impresa, che sa cosa vuol dire gestire società e persone. Decidere di entrare in politica sperando di dare una mano per gli altri è un gesto assolutamente lodevole perché lavora di più senza guadagnare nulla.

 

Che ruolo ha avuto la fede nella sua vita? Mi è stata trasmessa dai miei genitori che mi hanno insegnato a pregare in maniera molto serena. Da quando a Bergamo andiamo con mio marito a Messa in una parrocchia di periferia in un posto scomodissimo, pieno di immigrati, con un prete straordinario, don Davide Rota, un ex missionario, devo dire che anche i nostri ragazzi lo seguono e si interessano.

 

Programmi per il futuro? Chi può dirlo? In teoria dovrei continuare a fare La vita in diretta, anche se mi piacerebbe spaziare un po’ di più e lavorare un po’ di meno, non su una quotidiana.

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