Integratori, amaro gusto

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«Non facciamoci illusioni: il doping non sarà mai sconfitto, ma continueremo ugualmente a fare fino in fondo la nostra parte in questa sfida». Con una tale concessione al realismo del presidente Jacques Rogge, il medico belga da pochi mesi ai vertici del Comitato olimpico internazionale, si è aperto il 2002 dello sport mondiale, ancora in piena lotta contro il doping. A casa nostra, dopo la bufera del ’98, che vide la chiusura del centro per inadeguatezza sui controlli relativi agli anabolizzanti, il laboratorio antidoping del Coni è ora al centro di accuse per… eccessiva efficienza. La stampa spagnola ed inglese hanno denunciato che le positività nel calcio (Couto, Davids, Stam e Guardiola) si trovano solo da noi. «Nessuno sottolinea il fatto che il nostro laboratorio svolge più controlli al mondo per quanto riguarda il calcio: nella scorsa stagione abbiamo riscontrato dieci casi di positività al nandrolone, su tremila controlli. Se negli altri paesi non si trova neanche un caso, non è una sorpresa: ma i controlli a fine anno sono solo trecento», ha dichiarato Francesco Botrè, direttore del laboratorio. Il dottor Mariano Ravazzolo, componente della commissione ministeriale per la vigilanza ed il controllo sul doping, ci spiega: «Dalla ricostruzione del laboratorio sono stati circa diecimila all’anno i controlli antidoping effettuati: 200, in media, sono stati i casi “non negativi”, 60 giustificati da motivi di salute e di prescrizione medica, e 140 (l’1,4 per cento) i veri “positivi”. Nel calcio i positivi rappresentano meno dello 0,5 per cento, anche se, naturalmente, sono i più interessanti per i media». I casi più inattesi? «Una positività nelle bocce e una nel bridge». E quelli più frequenti? «L’uso di spinelli, anzitutto, e poi di nandrolone e dei suoi derivati ». Il ricorso a droghe leggere non ha correlazioni con il miglioramento del rendimento sportivo, mentre il nandrolone è un ormone da cui dipende la forza muscolare. Un’indagine particolarmente interessante e accurata, l’ha commissionata la Federazione italiana di atletica leggera (Fidal), grazie alla incessante ed ostinata volontà del dottor Giuseppe Fischetto, da dodici anni medico federale, che abbiamo incontrato. «La Fidal effettua 900 controlli antidoping all’anno – ci illustra –, ma la nostra è prima di tutto un’azione di sensibilizzazione. Dal ’91 monitoriamo l’uso di farmaci da parte di nostri atleti di in- teresse nazionale. Col termine “farmaci” intendiamo anche ogni tipo di integrazione, dal ferro ai prodotti naturali. Il 70 per cento usa abitualmente farmaci: per uno su quattro si tratta di antinfiammatori o di prodotti vitaminici. Oggi, oltre il 20 per cento fa uso dei cosiddetti “ricostituenti”, il cui prototipo nel ’91 era il ginseng ed oggi è la creatina creatina o la glutammina». La creatina non è un prodotto dopante, anche se, spiega Fischetto, «favorisce la ritenzione idrica, rende cioè i muscoli “belli gonfietti”, ma più vulnerabili ». In Spagna, Francia e Germania è stata riscontrato però un inquinamento del prodotto con precursori del nandrolone. Proprio per la creatina sono state condannate in Italia alcune aziende anche solo per non aver indicato i dosaggi consigliati o a rischio sulle confezioni. «In Italia, il prezzo del prodotto è crollato (dalle 800 mila lire al chilo nel ’90 alle 150 mila di oggi) grazie alla concorrenza, ma finora sembra che il controllo di qualità sulla creatina sia buono. Tuttavia attenzione: il grado di impurità tollerato negli Usa è dell’1 per cento – un livello non perseguibile dalle normative –, ma che non garantisce affatto la negatività dell’atleta ai controlli. Gli integratori vengono acquistati all’estero, a costi più bassi, e confezionati da aziende nostrane. È un po’ quanto avviene con i televisori: poche aziende costruiscono i componenti e molte li assemblano e vendono i televisori». Fra i praticanti l’atletica leggera non sono stati pochi i casi di “non negatività” degli ultimi anni, dalla Bevilacqua a Battocletti e Sighele, fino al più recente caso del mezzofondista Andrea Longo. Come lo spiega? «Proprio questi casi mi hanno spinto ad andare a fondo del problema. Nel caso della Bevilacqua, abbiamo potuto appurare che la positività all’efedrina (presente in farmaci contro il raffreddore, n.d.r.) era dovuta al mahuang, una sostanza contenuta in un alimento naturale ed erroneamente ritenuta innocua dall’atleta. Per gli altri due, risultati positivi al nandrolone, giungemmo a scoprire, nel ferro naturale assunto da questi atleti, la producopresenza di precursori dell’ormone ». Il caso Longo? «Proprio nei giorni in cui veniva emessa la condanna all’atleta, denunciai la presenza di alcuni lotti inquinati di un integratore proteico (aminoacidi a catena ramificata, n.d.r.) molto diffuso e commercializzato in Italia da un’azienda, la Ultimate Nutrition, che, per uno sconcertante destino, è pure sponsor dell’atleta in questione». Ma come è possibile che proprio un’azienda di alto livello d’immagine sia caduta in un simile inconveniente? «Il mercato degli integratori è un mercato miliardario e la concorrenza è spietata: a rimetterci sono i controlli di qualità che se continuano ad essere validi sui farmaci non lo sono sugli integratori. Oggi è possibile acquistare su Internet qualsiasi prodotto senza alcuna verifica. «Come è possibile che degli integratori siano inquinati? Forse i motivi sono più di uno. Anzitutto, teniamo ben presente che al grande mercato non interessano gli atleti di livello, ma quelli delle palestre e del fitness. Se questi provano un evidente benessere con l’uso di certi prodotti va da sé che quel «900 controlli antidoping soprattutto prevenzione prodotto si pubblicizza da solo di bocca in bocca. Sappiamo che vengono realizzati volutamente dalle aziende degli inquinamenti “random” (a caso, occasionali) sui prodotti per produrre dei risultati ricorrenti di provata “efficacia” sui sedentari». Si tratterebbe, in tal caso, non di un inquinamento, ma di un potenziamento del prodotto per spingerlo sul mercato? «Esatto. Una seconda ipotesi si basa sulla buona fede delle aziende confezionatrici che acquistano dove trovano i costi più bassi. Ma le aziende p r o d u t t r i c i fabbricano sia una linea pura che una inquinata, ed è stato dimostrato che l’uso alternato dei medesimi macchinari determina un inquinamento dei prodotti». Gli atleti, oggi, si difendono invocando la mancata conoscenza della possibile alterazione degli integratori. Da varie parti, giustamente, si reclama un controllo più severo su questi prodotti. Ma non basta. Occorre che cresca la cultura: l’integrazione artificiale, a fronte di dubbi incrementi delle prestazioni, crea un danno alla salute sia per gli atleti di ogni livello, che per i frequentatori delle palestre.

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