Il capolavoro di Ibsen

Dai classici Ibsen e Kleist, al contemporaneo Lyle Kessler, alla riduzione teatrale del film di Elio Petri. Per la danza, il festival “ConFormazioni” di Palermo, e il nuovo debutto di Michele Pogliani.

Umberto Orsini è il costruttore Solness

Capolavoro della maturità di Ibsen, è la storia di un uomo che vorrebbe fermare l’inesorabile scorrere degli anni e avere una nuova occasione di felicità, ma resta vittima della propria ambizione e del senso di colpa. Solness, anziano e affermato costruttore edile, è ostile ai giovani da cui teme di essere soppiantato. La giovanissima Hilde bussa alla sua porta e gli ricorda un incontro e una promessa di dieci anni prima che lui, al vertice del successo, fece a lei, bambina. Solness non rammenta ed è tormentato dal senso di colpa per un episodio all’origine della sua fortuna sociale, professionale ed economica, ma anche dell’infelicità sua e della moglie. Hilde gli offrirà un possibile riscatto. «È la storia di tanti assassinii – spiega il regista Alessandro Serra -. Giovani che uccidono i vecchi spingendoli ad essere giovani e vecchi che uccidono se stessi nel tentativo di raggiungere l’impossibile ardore giovanile. Una storia segnata da uno spregiudicato esercizio del potere». Uno spettacolo in cui la coralità dei personaggi, che circondano Solness come in una morsa che non dà scampo, gioca un ruolo fondamentale. “Il costruttore Solness”, da Henrik Ibsen, regia Alessandro Serra, con Umberto Orsini, Lucia Lavia, Renata Palminiello, Pietro Micci, Chiara Degani, Salvo Drago, Flavio Bonacci. Produzione Compagnia Orsini e Teatro Stabile dell’Umbria. A Milano, Piccolo Teatro Grassi, fino al 12/5.

La classe operaia va in paradiso

Ispirato al film di Elio Petri del 1971, la versione teatrale, curata da Claudio Longhi con lo scrittore Paolo Di Paolo, la storia di Lulù Massa, operaio stakanovista odiato dai colleghi, che perso un dito scopre forse la coscienza di classe, si intreccia con le vicende che hanno accompagnato la genesi del film stesso. Accanto ai grotteschi personaggi della pellicola, si alternano sulla scena il regista Elio Petri e il co-sceneggiatore Ugo Pirro, qualche spettatore e alcune figure della nostra letteratura degli anni Sessanta e Settanta. Uno spettacolo corale e individuale al tempo stesso, un affresco in cui s’intrecciano la vita di due intellettuali, la fabbrica, il contesto socio-economico dell’Italia di allora. Su una scena funzionale, con video che uniscono documenti storici e sequenze d’oggi, in un cast tutto di giovani, a interpretare il ruolo che fu di Volonté è Lino Guanciale. “La classe operaia va in paradiso”, regia Claudio Longhi, con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini; scene Guia Buzzi, luci Vincenzo Bonaffini, costumi Gianluca Sbicca, musiche e arrangiamenti Filippo Zattini. Produzione Emilia Romagna Fondazione. A Genova, Teatro Duse, dal 23 al 28/4; a Trieste, Teatro Rossetti, dall’1 al 5/5.

La brocca rotta

Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini sono gli interpreti della commedia di Heinrich von Kleist, a giusta ragione definita “perfetta” per i suoi meccanismi comici legati a giochi di parole e per l’intreccio che sempre più si stringe attorno al collo di un colpevole che in realtà dovrebbe essere un giustiziere. Ma sotto la trama comica si intravedono grandi temi: dalla indecifrabilità del reale, al paragone con Edipo Re, a quello biblico (non a caso il giudice si chiama Adamo, la ragazza Eva e il segretario che capisce la realtà Luce). Kleist ha scritto una sola grande commedia, autentico capolavoro, che sembra riecheggiare il motto di Hoffmansthal “dove nascondere la profondità? Dietro la superficie”. “La brocca rotta”, di Heinrich von Kleist, traduzione Gianni Garrera, regia Giuseppe Dipasquale, con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Andrea Renzi, Antonello Cossia, Carlo Di Maio, Silvia Siravo, Fortuna Liguori, Annabella Marotta, Umberto Salvato, Francesco Scolaro, e con la partecipazione di Valeria Contadino; scene Antonio Fiorentino, costumi Marianna Carbone, disegno luci Gigi Saccomandi, musiche Matteo Musumeci. Produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale. A Napoli, Teatro Mercadante, dal 24/4 al 5/5.

Gli orfani e la paura dell’abbandono

In una casa fatiscente vivono in completo isolamento due fratelli orfani. L’uno violento ladro e borseggiatore, si prende cura dell’altro, personaggio sensibile e solitario, che non si avventura mai fuori di casa. Le giornate scorrono tra giochi e routine fino a quando il primo rapisce un misterioso uomo di mezza età. Presto l’inatteso cambia le carte in tavola, mutando per sempre il delicato equilibrio di potere della loro relazione. Orphans è una storia sull’amore universale, sul bisogno d’amare e di essere amati, e sulla paura dell’abbandono. Tutto questo è racchiuso all’interno di scene di grande umorismo, drammaticità e tensione. “Orphans”, di Lyle Kessler, regia di Danny Lemmo, con Vincent Papa, Edoardo Trentini e Mattia Fiorentini. Produzione Esibirsi. A Roma, Teatro Belli, dal 23 al 28/4.

A Palermo la danza di “ConFormazioni”

Cinque giorni dedicati alla danza e ai linguaggi contemporanei. La terza edizione del festival (dal 24 al 27), promosso da Muxarte, con la direzione artistica di Giuseppe Muscarello, ospita compagnie e artisti provenienti da Grecia, Spagna, Belgio, Francia e naturalmente Italia, confermando la natura di festival nomade, con incontri e spettacoli diffusi in diversi luoghi della città. I nomi: la storica compagnia Abbondanza/Bertoni, Collettivo Cinetico, Daniele Ninarello, Luna Cenere e Davide Valrosso autori italiani di respiro internazionale, e ancora Natiscalzi DT e Simona Argentieri. Quattro gli stranieri, con due prime nazionali: il francese Alexandre Fandard che, esplorando l’alterità, si ispira a Beckett; lo spagnolo Diego Sinniger con due spettacoli con tema il conflitto interiore; i greci Martha Pasakopoulou e Aris Papadopoulos, un duetto dal gioco ritmico che con ironia ci fa riflettere su quanto sia importante condividere uno spazio; e dal Belgio, la coreografa Karine Ponties della compagnia Dame De Pic con due spettacoli che mettono in luce l’universo dell’assurdo prediletto dalla Ponties, al confine tra teatro e danza.

Indagine sulla verità nella danza di Michele Pogliani

Il nuovo progetto firmato da Michele Pogliani e Luca Della Corte dal titolo Alethès, è composto da due lavori coreografici che partono, entrambi, dal testo di Michel Foucault Mal fare, dire vero – Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio (1981). Che cos’è o dove abita la verità? Quali forme assume nella contemporaneità, e quali strumenti abbiamo per comprenderla e farla nostra? E ancora, se consideriamo il processo tecnologico come momento in(e)volutivo che si esprime (anche) attraverso la produzione-acquisizione di “false verità” come “il profilo” o “il selfie”, come e in che misura è possibile parlare di verità? Questi alcuni degli interrogativi da cui si dipanano le due coreografie in stretto dialogo fra loro e immaginate come due “enunciati contraddittoriamente possibili”. “Devotee”, coreografia Michele Pogliani, interprete insieme a Gabriele Montaruli, Ivan Montis e Agnese Trippa, luci Stefano Pirandello, costumi Tiziana Barbaranelli. “Sechs” di e con Luca Della Corte, luci Stefano Pirandello, testi Giorgio Volpe, voce e acting coah Alessia Di Francescantonio, costumi Violet Dee. A Roma, teatro Vascello, il 26 e 27/4.

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