In ricordo di Angela Casella

Il racconto di chi ha conosciuto personalmente "madre coraggio", e l'ha accompagnata nei suoi viaggi in diverse parti d'Italia
angela casella

Forse si era dimenticata dell’appuntamento. O forse era stanca di incontrare giornalisti e ripetere la stessa storia. Ma quando nel marzo del 1990 Angela Casella arrivò, borse della spesa in mano, alla sua casa di Pavia e mi vide con Chiara Menestrina, armata di macchina fotografica, ci guardò in cagnesco. Chiara ed io capimmo. Era l’ora di preparare il pranzo, non di dare interviste. Così le proponemmo di ritornare nel primo pomeriggio. Parlammo a lungo. Quell’intervista, insieme con quella a Cesare, fu l’inizio di un’amicizia e di un dialogo durato anni.

 

La notizia della morte di Angela Casella mi ha raggiunto a New York. I ricordi hanno invaso il mio cuore, come fiume in piena. I viaggi fatti insieme in diverse parti dell’Italia, come alla Scuola di pace di Bose. La sua testimonianza in una sala gremita della parrocchia di Martignano. Il momento intimo della messa privata con Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo (che avevo ottenuto scrivendo una semplice lettera al segretario privato Stanislao Dzwicz). Accarezzandole la guancia, il Papa sussurrò: «Si vede che ha sofferto molto». E soprattutto le lunghe chiacchierate, spesso fino a notte fonda, nella cucina di casa, prima di rientrare a Trento con la mia Citroen Visa, la mia prima macchina, acquistata di seconda mano presso la concessionaria del marito Luigi Casella.

 

Quando decise di scendere tra la gente d’Aspromonte, Angela non aveva altri scopi che quello di andare a riprendersi suo figlio. A muoverla fu l’intelligenza e la creatività del suo cuore. Per noi fu un gesto coraggioso e straordinario. Per Angela fu il gesto logico di una madre che reclamava suo figlio. Voleva verificare se i posti di blocco e le battute di caccia di cui le parlavano i funzionari di Stato erano veri. Rimase delusa. Si sentì tradita ed abbandonata. E così decise di rivolgersi alle donne della Locride, e da madre fare appello al cuore di altre madri. Fu una rivoluzione. Scosse l’intera Italia dall’indifferenza, facendoci coscienti della piaga dei sequestri che allora affliggeva decine di famiglie. La società civile si mobilitò. Costrinse lo Stato ad agire con fermezza e decisione. Il Parlamento varò la legge antisequestro con il blocco dei beni. Cesare fu liberato, e così di seguito Carlo Celadon e Patrizia Tacchella. Il fenomeno dei sequestri oggi è quasi scomparso.

 

Angela si è spenta nel giorno in cui ad Oslo a tre donne è stato conferito il Nobel per la Pace. Il premio ha evidenziato il ruolo primario e strategico che le donne svolgono nella costruzione della pace e nei processi di riconciliazione. Angela, ancora in piena guerra fredda, quando la soluzione dei conflitti era tema esclusivo dei governi, e non si concepiva un ruolo attivo della società civile, ruppe tutti i paradigmi, e mostrò al nostro Paese la forza prorompente di cambiamento che le donne incarnano nella nostra società. «Cosa ti ha spinto a organizzare le donne per la pace in Liberia?» ho chiesto qualche settimana fa a Leymah Gbowee, una delle premio Nobel. «Semplicemente non ne potevo più di vedere violenza e morte», è stata la sua risposta. Un moto d’amore non solo radicato nella compassione, ma anche nella rabbia e nella frustrazione trasformati in forza trasformatrice e creatrice. È stato così anche di Angela. «Mi ricorda Maria — mi ha detto in questi giorni un’amica — : piccola, semplice, ma che ha fatto grandi cose. Angela è stata delle grandi donne del nostro Paese».

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