Imu ed enti no profit

Per ora resta non definita la questione della qualificazione "non commerciale" delle attività di enti no profit per l'esenzione dall'Imu
Palazzo Chigi

La notizia è rimbalzata vorticosa sui mass media: il Consiglio di Stato, nell'adunanza del 27 settembre 2012 (atto n.04180/2012) ha espresso parere negativo sullo schema di regolamento elaborato dal governo per stabilire se determinati immobili, destinati allo svolgimento di attività no profit in senso lato (assistenziali, sanitarie, culturali, di religione e culto, ecc.), possano godere dell'esenzione dall'Imu a partire dal prossimo 1° gennaio 2013.

Forse l'eccessiva apprensione per la notizia, propagatasi con sorprendente rapidità, è stata determinata dal fatto che – almeno in modo parziale – si riferiva di una "bocciatura" del regolamento con riferimento all'Imu dovuta dalla Chiesa. Ma in effetti – e più correttamente – si tratta invece dell'Imu, e della correlativa esenzione, dovuta in relazione a immobili, come si accennava, destinati alle più diverse attività no profit (anche diverse da quelle di natura strettamente ecclesiale), purché riferibili ad ente pubblico o privato, diverso da società, residente nel territorio dello Stato, non avente a oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. Pertanto troppo clamore per niente o per poco, perché la circostanza riguarda un universo di enti (per ipotesi, anche molto lontani, per scelta ideologica, dalle realtà ecclesiali).

E tra l'altro il Consiglio di Stato non ha fatto altro che rilevare come il governo, attraverso lo schema di regolamento proposto, non potesse definire criteri generali per qualificare come  commerciale o meno l'attività degli enti no profit. La legge stessa (vedi art.91-bis del d.l.24.1.2012 n.1) lo autorizza infatti solo a stabilire le modalità e le procedure per la dichiarazione – che devono rendere gli enti stessi – circa la natura commerciale o meno di determinati immobili (a utilizzazione "mista"), nonché per individuare gli elementi per stabilire una proporzionalità tra le parti degli immobili destinate ad attività commerciali e altre parti destinate ad attività non commerciali: le prime appunto soggette ad Imu, le seconde esenti.

Quindi, ha precisato il Consiglio di Stato, non si può in un regolamento governativo – in via generale – stabilire la natura non commerciale di una determinata attività – ad es. nell'ambito culturale, ricreativo o sportivo – in base al criterio della gratuità o al carattere simbolico della retta; oppure – in ambito ricettivo e in parte assistenziale e sanitario – in base al criterio dell'importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le medesime attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali; o infine, in base al criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio, ad es. in ambito didattico. O, più precisamente ancora, il governo può anche definire tali criteri, ma a ciò deve essere espressamente autorizzato con apposito testo di legge.

Non è mancata d'altra parte una puntuale replica da parte di Palazzo Chigi alla "bocciatura" in prima battuta dello schema di regolamento: in una nota del 9 ottobre 2012 il governo rassicura che «il quadro regolatorio, sia primario che secondario, sarà completamente definito in tempo per il periodo annuale di imposta (che decorre dal 1° gennaio 2013) con l'effetto di pieno adeguamento al diritto comunitario e con la determinazione delle situazioni assoggettabili alla imposta in questione». Le linee-guida che potranno essere così emanate riguarderanno non solo modalità e procedure della dichiarazione sulla natura dell'attività esercitata, ma anche «i requisiti, sia generali che di settore, per poter qualificare come svolte con modalità non commerciali le attività di vario tipo (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive)».

Insomma, come dire che la partita è solo momentaneamente sospesa in attesa di aggiustare il tiro e disporre di nuovi strumenti normativi che consentiranno di aggirare l'ostacolo. Il vero problema, quello nodale circa l'individuazione di criteri condivisibili e oggettivi per stabilire la natura commerciale o meno dell'attività svolta da qualsiasi ente no profit (e quindi non solo dalla Chiesa) resta per ora sul tappeto: su di esso, forse, sarà più opportuno a tempo debito (a prescindere da ogni deriva o appartenenza ideologica) sollevare l'attenzione e la sensibilità dell'opinione pubblica affinché l'esenzione dall'Imu spetti in funzione della effettiva natura, sia pure economica ma non speculativa, dell'attività stessa.

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