Immigrazione, progetti in campo

Dal “migration compact” all’ultimo decreto legge, un’analisi delle azioni del governo al livello nazionale e internazionale

Nello scorso mese di febbraio è stato pubblicato il decreto legge con cui il governo ha voluto dare una prova di forza e intervenire pesantemente in tema di immigrazione. Entro 60 giorni il decreto dovrà essere convertito in legge dal Parlamento altrimenti perderà la sua efficacia.

Molte organizzazioni che operano nei settori toccati dal decreto – prevalentemente dell’area giuridica – hanno già sollevato molte perplessità. Per capire quello che il governo sta facendo, occorre avere ben chiaro il progetto che già il governo Renzi aveva presentato all’Unione europea, e agli italiani, con il nome di migration compact ossia il patto per l’immigrazione che di patto non ha proprio nulla. Innanzitutto non c’è una controparte (patto, ma con chi?). E poi in realtà consiste in una levata di scudi non tanto contro l’immigrazione (concetto) ma contro gli immigrati (persone).

Se guardiamo tutte insieme le iniziative che il governo ha messo in campo, una dopo l’altra vediamo che consistono in molte azioni che servono sostanzialmente a rimandare velocemente nei Paesi di provenienza (a casa) tutte le persone che entrano irregolarmente in Italia soprattutto dalle coste siciliane. Nei mesi scorsi il capo della Polizia Gabrielli ha siglato alcuni accordi con i suoi colleghi di Paesi africani. Il primo ministro Gentiloni ha stretto un memorandum con uno dei governi della Libia (quello riconosciuto dalla comunità internazionale, ma l’altro sedicente governo non vorrà certamente rimanere a mani vuote). Tutti atti che comunque non hanno la natura dell’accordo internazionale che, in quanto tale, dovrebbe essere sottoposto alla ratifica del Parlamento. Invece sono state usate forme diverse, in modo da svincolare questi memorandum da ogni forma di controllo politico nel senso più ampio. In Italia poi vengono gradualmente riaperti i Centri di identificazione ed espulsione (Cie), cioè vere e proprie prigioni in cui gli immigrati vengono relegati in attesa di rimpatrio.

Un’altra decisione molto ambigua del governo riguarda la gestione dei fondi destinati alla cooperazione internazionale. Infatti una legge di novembre 2016 istituisce nello stato di previsione del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale un fondo con una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro per interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie (tra cui Libia e Niger). Con un decreto del ministro Alfano sono stati individuati gli ambiti di spesa di questi 200 milioni che tuttavia esulano totalmente dalla cooperazione, in quanto contemplano «in via prioritaria programmi di formazione per le autorità di frontiera, fornitura di equipaggiamenti e strumentazione per il controllo e la prevenzione dei flussi dei migranti irregolari, aggiornamento e digitalizzazione dei registri di stato civile, ecc».

Per confondere ulteriormente la situazione, i soggetti incaricati di svolgere queste operazioni – che sono certamente di polizia e non di cooperazione nel senso che normalmente diamo alla parola “cooperare” – sono alcune rilevanti organizzazioni internazionali che purtroppo si prestano a queste basse operazioni di facciata (Oim e Unhcr).

Il decreto legge di febbraio, in ordine temporale, prevede il totale stravolgimento del procedimento che i richiedenti asilo posso presentare dinanzi ai Tribunali quando la loro domanda viene rigettata in via amministrativa. Si prevede l’eliminazione del giudizio di appello, la costituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione con ampissima competenza territoriale (le decisioni adottate in Molise dovranno essere impugnate a Napoli, quelle adottate nelle Marche si impugneranno a Bologna, tanto per fare un esempio), la video registrazione dei colloqui che si svolgeranno dinanzi alle Commissioni territoriali (ossia il luogo in cui la persona che richiede l’asilo politico deve descrivere i motivi della fuga e della richiesta di protezione in Italia).

L’intero panorama di queste azioni governative si presta a svariate contestazioni anche se l’avvicinarsi della campagna elettorale rende molto popolari tutte le mosse che servono a tenere lontani gli stranieri.

Ma alcune considerazioni vanno fatte: con gli accordi bilaterali con i Paesi africani, l’Italia è facilmente ricattabile. Siamo chiaramente in mano ai vari dittatori di turno che potranno chiedere all’Italia molte cose «sennò ci rimandano gli immigrati». La cooperazione internazionale ha perso la sua natura solidaristica e sta diventando uno strumento di polizia e, indirettamente, di controllo dell’ordine pubblico. I nostri governi – già molto scadenti sotto il profilo della tenuta morale e civile – si dimostrano privi di nerbo, incapaci di sostenere le pressioni politiche dell’Unione e poveri di argomentazioni per sostenere le ragioni dell’accoglienza.

La sezione Cassazione dell’Associazione nazionale magistrati ha espresso seri e sinceri dubbi sulla “razionalità” dell’azione del governo in tema di legislazione nel settore immigrazione (troppe modifiche insensate in pochissimi mesi). Il peggio è che il migration compact viene presentato come la carta vincente che renderà l’Italia un Paese più libero e più sicuro. Ma per chi? Non per gli italiani, considerati i ricatti a cui siamo esposti. Né per i migranti, che non hanno più spazio.

 

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