Immigrati: facciamo chiarezza!

Ci risiamo! Spesso, nei giorni scorsi abbiamo assistito alle solite scene in parte umilianti, ed in parte patetiche che si svolgono dinanzi agli uffici provinciali del lavoro: migliaia di datori di lavoro, che nella convinzione di poter presentare una richiesta di autorizzazione all’assunzione al lavoro di immigrati ed ottenere così una posizione di precedenza nell’esame della richiesta da parte degli uffici stessi, hanno “stazionato” anche nottetempo, all’addiaccio, per ore ed ore, in attesa di poter consegnare la richiesta subito all’apertura, creando anche notevoli problemi per l’ordine pubblico. Spesso le forze della polizia di stato e la Croce Rossa sono dovute intervenire per correre ai ripari. Poi la doccia fredda. Il ministero del Lavoro (con circolare n.4 del 22 gennaio 2002) con un colpo di spugna ha cancellato le aspettative che molti datori di lavoro (e ovviamente molti immigrati la cui presenza sul territorio italiano è giustificata proprio da un regolare rapporto di lavoro) riponevano nella procedura della presentazione della richiesta: il ministero ha chiarito che “…non devono essere presentate le richieste di autorizzazione da parte dei datori di lavoro interessati, prima della adozione dei provvedimenti di programmazione dei flussi migratori previsti dalla normativa vigente. “Pertanto, tutte le richieste già presentate per il 2002… o che verranno eventualmente formulate anche dopo la presente circolare, prima della programmazione 2002 non devono costituire posizioni di precedenza utili all’esame ed all’eventuale accoglimento successivo della richiesta medesima”. Insomma tanta fatica per niente, perché non ancora sono stati emanati i provvedimenti di programmazione dei flussi migratori e perché – seppure venissero confermate le cifre dell’anno 2001 – sarà sempre prima necessaria l’emanazione di un decreto governativo di ratifica di quelle cifre. Le polemiche – è ovvio – non sono mancate, soprattutto da parte di quegli imprenditori del triangolo industriale del nord-est italiano così attivo, produttivo e pertanto desideroso di poter contare su manodopera disponibile e al momento del tutto mancante. E ciò nei settori più diversi: dalla raccolta delle fragole nel veronese, dal settore turistico e dell’ospitalità, da importanti settori, quali le costruzioni ed il manifatturiero, con particolare riferimento al metalmeccanico, al sistema moda ed al legno arredamento. Già prima di Natale, solo da parte di questi imprenditori, erano state presentate circa 13 mila richieste di autorizzazione al lavoro. Per fortuna, è notizia proprio di questi giorni che il ministro Maroni in data 4 febbraio 2002 ha firmato un decreto per l’ingresso in Italia di 33 mila lavoratori stagionali (in attesa della emanazione del decreto sulla programmazione dei flussi per il corrente anno 2002). Si tratta però di lavoratori che devono appartenere ad aree geografiche ben precise, ed esattamente devono provenire da paesi candidati all’adesione dell’Unione Europea (Slovenia, Polonia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Bulgaria) e da paesi per i quali sono in vigore con l’Italia accordi bilaterali sul lavoro stagionale (Tunisia e Albania). È già qualcosa, ma l’emergenza non è superata. Ci chiediamo: ma tutto questo non era, non è oggettivamente possibile evitare? Il guaio è che l’informazione in materia di immigrazione è sempre insufficiente o comunque non adeguatamente ragguagliata a quella che sarebbe necessario diffondere a pro- fitto degli immigrati, soggetti che – loro malgrado – non sono spesso dotati di un livello di cultura nemmeno minima e che vengono indotti talvolta sulla base di semplici indiscrezioni o errate interpretazioni di leggi, regolamenti o circolari, ad affollarsi presso gli uffici pubblici (le questure, gli uffici provinciali del lavoro, ecc.). Questo senz’altro. Però è anche vero che il coordinamento tra i dicasteri ministeriali e gli uffici periferici a volte non è tra i più efficienti, e talora si rischia di ingenerare nei soggetti interessati (cittadini e immigrati) errati convincimenti (come è accaduto di recente) e conseguenti brucianti delusioni per il tempo impiegato e le energie spese in adempimenti poi rivelatisi inutili. A ciò si aggiunge – checché se ne dica – la necessità indifferibile in alcuni settori produttivi di trovare forza- lavoro disponibile: taluni settori non “tirano” e non si espandono perché non ci sono lavoratori a sufficienza, disposti a svolgere lavori magari divenuti non più eccessivamente appetibili… in questi lavori (poco graditi evidentemente ai cittadini italiani) si dimostrano al contrario particolarmente “versati” gli immigrati. Allora parlare di immigrazione e dei problemi ad essa correlati non è soltanto una questione di “ordine pubblico”, ma è anche una questione che attiene ai problemi più urgenti di “casa nostra” e della sua economia. È tempo perciò che in questa materia ci siano idee più chiare, si istituiscano collegamenti più funzionali tra tutti gli organismi e gli uffici competenti, si organizzino servizi più efficienti: i cittadini tutti (italiani e quelli stranieri ai primi equiparati se regolarmente soggiornanti) hanno diritto ad un’informazione coerente e tempestiva, hanno diritto a norme e regolamenti semplici e precisi, pochi ma chiari. Una società che ambisca ad essere definita tale non può – senza contraddire sé stessa – derogare ai princìpi di certezza dei rapporti giuridici, di chiarezza legislativa, di funzionalità e nel contempo di economicità dei servizi sociali.

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