Il viaggiatore notturno

Di Maurizio Maggiani avevamo già letto Il coraggio del pettirosso (1995), apprezzandone il forte impianto narrativo, la dimensione poetica della scrittura, nonché la capacità di coinvolgere emotivamente il lettore. Con il suo nuovo libro Il viaggiatore notturno (Feltrinelli) che si è conquistato l’ultimo Premio Strega, Maggiani non solo non si è ripetuto, ma ha cambiato totalmente registro, per trasportarci in un romanzo-viaggio che, pur collocato nella Storia, viene continuamente trasposto nel tempo e nello spazio della mente. Uno specialista di migrazioni animali, nel cuore del deserto sahariano, attende il passaggio delle rondini. Riflessioni, pensieri,memorie si intrecciano secondo una logica che risponde alle esigenze del presente: un albero rinsecchito può risucchiarlo nella voragine dell’infanzia dove domina il rapporto col padre, un cumulo di pietre lo riporta al senso della vita e della morte, una pozza di sangue animale al sangue innocente versato in tutte le guerre. Il suo viaggio si compie nella notte e nel desiderio di poter accendere ogni tanto un fuoco, per dire la sua presenza ad altri ma anche per riscaldarsi e riprendere il cammino. Ho acceso il mio fuoco e la storia è arrivata, sbucata dal buio intorno, da chissà dove. E per tutto il tempo che ho passato a scriverla, e sono stati molti mesi, è come se mi fossi trovato su, nel Grande Nord, a pochi palmi dalla faccia di un uomo sconosciuto, così vicina quella faccia da essermi diventata familiare come quella di un fratello. Molti sono questi sconosciuti che l’irundologo illumina col suo fuoco, primo tra tutti Charles de Foucauld, sulla cui tomba di pietre egli comincia il suo viaggio: Sono seduto su un monumento funerario. La tomba di un uomo… Si faceva chiamare père, padre… Tutto quello che si può ricavare dall’uomo sotto questi sassi sono solo libri… Libri sulla semplicità. Sulla semplicità di Dio, sulla semplicità degli uomini, sulla semplicità di questo immenso deserto. E le persone che a mano a mano egli evoca sono sempre figure di estrema semplicità: la guida Jibril, la berbera Jasmina che gli offre amore a pagamento, il poeta itinerante Tighritz incontrato a Tuzla in Bosnia e la Perfetta, donna senza patria che va raminga di terra in terra desiderosa solo di non essere toccata. Sullo sfondo i bagliori di un mondo divorato ancora dalle guerre e un desiderio mai sopito di conoscenza e di bellezza. Un libro certamente di non facile lettura, che richiede disponibilità all’ascolto, silenzio interiore, capacità di fermarsi dopo una parola o una frase, perché la storia narrata è fatta soprattutto di pensiero, libero e vagante come un volo di rondine, con la sostanziale differenza che, mentre questa, nelle sue migrazioni, sa come raggiungere la nuova meta, l’uomo nella ricerca della verità non può prescindere dalla sospensione e dalla categoria del mistero. Accettare il mistero, vivere portando il mistero con sé, fa di qualunque uomo un profeta, ha scritto père Foucauld. Dovrei accettare il sospeso, portare nel mio bagaglio ciò che non so. Oppure la notte non bisognerebbe pensare… scrivere quello che si è capito durante il giorno, come père Foucauld, oppure dormire, come Jibril, come tutti gli uomini del campo e tutti gli uomini del mondo. Come farei volentieri anch’io.

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