Il saggio che amava i ponti

Era un uomo estremamente riservato: non parlava volentieri, tantomeno in pubblico; fuggiva le interviste ed ogni forma di pubblicità. Dignitoso e gentile, tuttavia, sembrava custodisse un segreto. Sì, anche per chi lo conobbe più da vicino, Ivo Andric´ costituiva un mistero. A motivo delle sue origini bosniache e dei suoi interessi culturali allargati all’universo ottomano, fu il più autorevole portavoce di una terra – i Balcani – che come poche ha visto l’incontro e lo scontro di popoli, culture e religioni. Non credeva nel potere della letteratura di risolvere conflitti del resto secolari; ma non poteva fare a meno di scrivere, quasi obbedendo ad una missione. Subì sulla propria pelle la prigionia, esperienza tanto più traumatica per uno ipersensibile come lui, che tuttavia seppe trasfigurarla letterariamente. Come scrittore venne tacciato di pessimista dalle menti del Partito comunista, che da lui si aspettavano più entusiasmo riguardo alle felici sorti future. Eppure nei suoi romanzi, dove spesso ricorre l’immagine del ponte, simbolo di una volontà di unione oltre ciò che divide, troviamo pagine indimenticabili di comprensione e solidarietà tra genti diverse. Come questa, tratta da La cronaca di Travnik: Malgrado l’apparente frammentazione e il caos in cui viviamo, tutto è armoniosamente collegato. Non un solo pensiero va perduto, non uno slancio dello spirito. Siamo tutti sulla buona strada, e quando ci incontreremo ne saremo sorpresi. Ma ci incontreremo, e ci comprenderemo tutti, qualunque strada abbiamo percorso e ovunque, errando, siamo finiti. Quando morì, fu come perdere il nume tutelare di quella Jugoslavia che, all’epoca, in campo culturale, rappresentava un amalgama che solo oggi viene riconosciuto come fondamentale e significativo per l’Europa: spariva il saggio che né manifestava eccessivi entusiasmi né si abbatteva, avendo imparato dal doloroso passato di quella terra e dal proprio, ben radicato nel presente e fiducioso nell’avvenire. Di Andric´, Mondadori ha appena pubblicato negli Oscar La storia maledetta, che propone quattro frammenti (di cui tre inediti) di un romanzo giovanile incompiuto: l’occasione, per chi non ha mai frequentato questo autore, di apprezzarne il genio e invogliarlo a leggere – se non La signorina – capolavori come Il ponte sulla Drina e La cronaca di Travnik: tre romanzi con protagonisti gli umili, usciti nello stesso anno 1945: un vero record! Sono, questi de La storia maledetta, racconti fortemente autobiografici, unificati dall’ambientazione a Trieste e dintorni: in realtà nulla o quasi qui viene descritto della città giuliana, che a lungo ha rappresentato per i po- poli jugoslavi l’altra porta verso Occidente. I paesaggi che Andric´ ci presenta sono infatti per lo più interni spesso claustrofobici, come quelli della prigione dove viene rinchiuso il marinaio Toma Galus, sospettato di aver partecipato ai disordini per l’assassinio a Sarajevo del granduca Francesco Ferdinando (la stessa imputazione fatta al giovane Andric´ ). Forte della sua esperienza carceraria, lo scrittore ha scavato magistralmente la psicologia di un innocente catapultato in un soggiorno reso ancor più infernale dal suo ambiguo compagno di cella, un delatore rappresentato come l’incarnazione del Male. Eppure anche qui, fra tanto buio, troviamo qualche barlume. Nel terzo racconto L’impero di Postruznik, leggiamo infatti del recluso Toma, che ha appena avuto l’intuizione del mondo grande e uno: Quella sensazione di unità – nonostante e a dispetto di ciò che esso contiene di diverso e di antitetico – riempiva il giovane di una momentanea felicità e di speranza, quasi certezza, che tutto fosse comunque un bene, che tutto si potesse ancora risolvere e salvare, perché tutto, e il bene e il male e gli eccessi e le contraddizioni, si trovava collegato e unificato sullo stesso piano, sottomesso alle stesse leggi e, forse, rivolto allo stesso obiettivo; e, alla fine di tutto, vi fosse lo stesso senso e il medesimo destino, sconosciuti e lontani, ma indubbiamente salvifici e positivi. Nell’ultimo frammento, assistiamo al fatale degenerare di una famiglia fondata sulla sabbia, quella dei Saltzer: una tragedia che verrà assorbita in quella più vasta che sta per travolgere il vecchio mondo europeo. E che rinvia ad un’altra costruzione artificiale: quell’Impero austroungarico, origine di tormentate ricomposizioni fino ai giorni nostri. Una vicenda esemplare, che ci dice molto su cosa attende i popoli quando alla base della convivenza non c’è giustizia, né verità, né rispetto. IVO ANDRIC´ nasce a Dolav (Bosnia) nel 1892. Studente ginnasiale a Sarajevo, entra a far parte della Giovane Bosnia, associazione rivoluzionaria che annovera lo studente Gavrilo Princip, l’uccisore del granduca Francesco Ferdinando d’Austria. In seguito all’attentato, Andric´ sconta tre anni di carcere a Maribor, in Slovenia. Frutto di questo periodo angosciante è un volume di liriche (1918). Nel 1920 lo troviamo a Roma, consigliere d’ambasciata in rappresentanza del Regno dei serbi croati e sloveni presso la Santa Sede; quindi a Madrid e a Berlino dove, il 6 aprile 1939, presenta le credenziali di ministro plenipotenziario a Hitler. Vani purtroppo i suoi tentativi di difendere l’indipendenza della Jugoslavia. Di nuovo arrestato, quando riottiene la libertà preferisce dedicarsi totalmente alla scrittura. Insignito del Premio Nobel nel 1961, muore a Belgrado nel 1975.

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