Il popolo vota la pace in Colombia

Soledad Rubiano, direttrice di Ciudade Nueva, racconta di come il Paese si sia preparato al referendum di oggi, domenica 2 ottobre, che sancirà la conciliazione definitiva tra la guerriglia delle Farc e il governo. La vittoria del sì non è però scontata
colombia pace

Il 2 ottobre la Colombia andrà alle urne per sancire con un referendum popolare gli accordi di pace sanciti dal governo e dai guerriglieri delle Farc. Abbiamo intervistato la direttrice di Ciudade Nueva, Soledad Rubiano.

 

Finalmente la pace per il Paese è vicina?

Sì, dopo più di 50 anni di conflitto armato con tantissime vittime, 8 milioni di sfollati e 4 anni di trattative, possiamo dire che questi sono giorni di festa, anche se la firma tra il presidente Santos e il capo della guerriglia, Rodrigo Londoño Echeverri non può considerarsi definitiva senza il referendum di domenica e senza che gli accordi del post conflitto vengano mantenuti. La pace non è mai stata cosi desiderata.

 

Nel referendum del 2 ottobre potrebbe prevalere un voto contrario alla pacificazione?

Effettivamente il Paese è fortemente polarizzato. Quelli che sono per il “No” mettono in discussione due punti: l’esercizio della giustizia in fase di transizione (verità, risarcimento delle vittime, garanzie sulla non reiterazione del reato) e la partecipazione delle, fino ad ora, Farc, alla vita politica nazionale poiché vogliono costituirsi come partito. Anche se c’è il timore che gli accordi non vadano in porto, dopo tanti anni di sofferenza, sembra che la maggioranza propenda per il sì. E proprio le vittime della guerriglia sono quelle più schierate per il sì perché «non vogliamo che altri soffrano quello che abbiamo vissuto noi». Ben due generazioni di colombiani, dal 1960, hanno vissuto sempre in guerra.

 

Ci illustri i punti centrali dell'accordo?

Al centro dell’accordo ci sono le vittime e poi ruota tutto il resto. Anzitutto la riforma rurale integrale, che è un insieme di misure con le quali si pretende trasformare la realtà dei possedimenti nel Paese migliorandone l’uso e l’accesso e sviluppando programmi e piani di sviluppo. L’altro punto cruciale è la partecipazione del nuovo partito alla vita politica senza restrizioni e in modo garantito. Fronte comune sarà fatto nella lotta alla droga e nella sua coltivazione. Infine si è siglato il cessate il fuoco bilaterale con la consegna delle armi da parte della guerriglia. Le tappe di verifica e di implementazione dell’accordo finale sono tracciate tenendo conto anche di una giustizia che risarcisca adeguatamente le vittime.

 

Quali i momenti di svolta nelle trattative?

Si è cominciato a parlare di dialogo nel settembre del 2012 anche se poi sono iniziati ufficialmente nell’ottobre-novembre dello stesso anno. Uno dei punti forti è la riforma rurale integrale che prevede l’accesso e l’uso della terra da parte dei contadini, si è parlato delle terre non produttive, della formalizzazione delle proprietà, di sviluppo sociale, salute, educazione, diritto alla casa, sradicamento della povertà e di assistenza tecnica nella produzione agricola e nella creazione di nuovo lavoro. Altro nodo è stato il garantire la partecipazione politica dei rappresentanti delle Farc che si costituiranno in gruppo politico di opposizione. Un altro punto fondamentale sono stati gli accordi sulle coltivazioni illecite di droghe che avevano alimentato e finanziato il conflitto. Importantissimi gli accordi sulle vittime che prevedono un risarcimento economico e la promessa che non si ripeteranno più casi di sequestri e di assassini.

 

Non sono mancati i momenti difficili?

I dialoghi sono stati frenati in vari momenti: a luglio del 2014 dopo una serie di attentati alle torri elettriche che hanno lasciato senza energia più di 400 mila famiglie. A novembre dello stesso anno è stato sequestrato il generale Alzate che si era avventurato sul terreno delle Farc in modo poco prudente. Una volta rilasciato i dialoghi sono ripresi ma poi la morte di 11 soldati nel 2015 e la risposta del presidente di bombardare le Farc li hanno nuovamente fermati. Però il 24 agosto di quest’anno siamo arrivati alla fine, perché si è firmato da parte dei due delegati di governo e guerriglieri gli accordi definitivi.

 

C’è stato un ruolo della Chiesa in questo percorso?

La Chiesa è stata una mediatrice fondamentale nel processo di avvicinamento tra le fazioni. Alla fine del 1986 ha creato la Commissione per la vita, la giustizia e la pace e a partire dagli anni ’90 ha insistito sulla negoziazione e sui diritti umani. Si è posta poi durante i negoziati come conciliatrice e dialogante soprattutto di fronte ai grandi ostacoli. Ora sta invitando tutti i colombiani a partecipare in maniera responsabile alla consultazione di domenica.

 

E il papa è intervenuto?

Papa Francesco in varie occasioni ha ribadito l’appoggio alla pace: «Non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione», ci ha detto più volte. E il papa è stato presente, in qualche modo, anche alla storica cerimonia che ha siglato la pace, inviando il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons