Il papa è a Dacca

Bergoglio torna a parlare della minoranza perseguitata dei rohingya, pur senza usare la parola con cui questa etnia musulmana definisce sé stessa. Lo fa intervenendo di fronte alle autorità politiche, nel palazzo presidenziale Bangabhapan di Dacca, fino al 1911 residenza del viceré dell’India

Arrivato a Dacca da Yangon, la capitale di un altro Paese povero e sofferente come il Myanmar, papa Francesco ha tenuto a ricordare di essere giunto nell’antico «Golden Bengal seguendo le orme dei predecessori, Paolo VI e Giovanni Paolo II, per offrire, come avevano fatto loro, un messaggio di affetto e di incoraggiamento». «Il Bangladesh – infatti – è uno Stato giovane, eppure ha sempre avuto un posto speciale nel cuore dei papi, che fin dal principio hanno espresso solidarietà con il suo popolo, intesa ad accompagnarlo nel superare le difficoltà iniziali, e lo hanno sostenuto nell’esigente compito di costruire la nazione e il suo sviluppo».

Con la stessa enfasi il papa ha reso omaggio al mitico presidente Sheikh Mujibur Rahman, che aveva immaginato una società moderna, pluralistica e inclusiva, in cui ogni persona e ogni comunità potesse vivere in libertà, pace e sicurezza, nel rispetto dell’innata dignità e uguaglianza di diritti di tutti. Ed  ha affermato che «il futuro di questa giovane democrazia e la salute della sua vita politica sono essenzialmente connessi alla fedeltà a questa visione fondativa». Infatti, «solo attraverso un dialogo sincero e il rispetto della legittima diversità un popolo può riconciliare le divisioni, superare prospettive unilaterali e riconoscere la validità di punti di vista differenti. Perché il vero dialogo guarda al futuro, costruisce unità nel servizio del bene comune ed è attento ai bisogni di tutti i cittadini, specialmente dei poveri, degli svantaggiati e di coloro che non hanno voce».

Un pensiero il papa lo ha rivolto anche alle vittime dell’attentato brutale del luglio 2016, che uccise 29 persone, 9 delle quali italiane.

Nel suo intervento, papa Francesco ha infine evocato le sofferenze della minoranza rohingya anche se ancora una volta non ne ha pronunciato il nome (ma ha pronunciato quello della regione birmana dalla quale la popolazione musulmana è in fuga: lo Stato di Rakhine). «Nei mesi scorsi – ha osservato – lo spirito di generosità e di solidarietà che caratterizza la società del Bangladesh si è manifestato molto chiaramente nel suo slancio umanitario a favore dei rifugiati affluiti in massa dallo Stato di Rakhine, provvedendoli di un riparo temporaneo e delle necessità primarie per la vita».

«Questo – ha scandito il papa – è stato fatto con non poco sacrificio. Ed è stato fatto sotto gli occhi del mondo intero». Secondo Francesco, «è necessario che la comunità internazionale attui misure efficaci nei confronti di questa grave crisi, non solo lavorando per risolvere le questioni politiche che hanno condotto allo spostamento massivo di persone, ma anche offrendo immediata assistenza materiale al Bangladesh nel suo sforzo di rispondere fattivamente agli urgenti bisogni umani». A sua volta, anche il presidente Abdul Hamid ha ricordato le terribili persecuzioni subite dal popolo dei rohingya, «migliaia di loro, compresi donne e bambini, brutalmente uccisi, migliaia di donne violate», che si sono rifugiati in Bangladesh «per fuggire le atrocità perpetrate dall’esercito del Myanmar». Il nostro Paese, ha detto, «ha dato riparo a un milione di rohingya scacciati» dal Rakhine, ed ha rimarcato la «molto lodevole posizione del papa in favore dei rohingya perseguitati e la sua appassionata voce contro tale brutalità». Ciò, ha concluso, «dà speranza per la soluzione della crisi. La sua vicinanza a loro, la richiesta di aiutarli e di assicurare loro pieni diritti, dà alla comunità internazionale la responsabilità di agire con prontezza e sincerità».

 

 

 

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