Il nucleare dopo Fukushima

Una questione geopolitica che mette in gioco gli equilibri internazionali. Il caso giapponese e quello tedesco.
Scene di protesta a Tokyo

La politica energetica di un Paese richiede tempi lunghi, strategie e risorse adeguate. Se in Italia il recente referendum ha impedito lo sviluppo degli accordi già presi per la riapertura delle centrali nucleari, in altre nazioni, come ad esempio l’India e il Brasile, per rimanere tra gli emergenti, la situazione è completamente diversa. Sullo sfondo, restano le immagini della paura per l’incidente della centrale di Fukushima, in Giappone, provocato dal terremoto del marzo 2011.

Dopo un anno, cosa sta accadendo nel Paese del Sol Levante? E come è gestita la questione nucleare in una matura democrazia occidentale come la Germania?
 
 
IL GIAPPONE NON TORNA INDIETRO
di Alberto Di Russo, corrispondente da Tokyo
 
Il Giappone è pronto a riattivare le centrali nucleari per la produzione di elettricità. L’incidente di “Fukushima”, diversamente da quanto si crede, ha provocato solo il fermo tecnico di un normale programma di manutenzione.
Per il primo ministro, Yoshihiko Noda, che ha ordinato la riapertura di due reattori nucleari a Oi, nella prefettura di Fukui, si tratta di «proteggere la vita delle persone dalle disastrose conseguenze di un black out», dato che l’energia elettrica prodotta da fonti nucleari è pari al 29 per cento del totale.

La decisione dell’esecutivo sta suscitando la protesta dei movimenti ambientalisti internazionali e anche di organizzazioni giapponesi come la “Goodbye nuclear power plants” che ha attivato, fin da novembre del 2011, una campagna di pressione mediatica tramite un appello alle autorità del Paese che ha raccolto, finora, sette milioni e 514 mila firme.

Tra i primi firmatari, anche Kenzaburo Oe, premio Nobel per la letteratura nel 1994, che il 15 giugno ha incontrato, assieme ad una delegazione, lo stesso primo ministro per la consegna formale dell’istanza popolare che continua ad essere promossa con diverse manifestazioni nelle varie province. Anche la conferenza episcopale della Chiesa cattolica, pur fortemente minoritaria in Giappone, ha ritenuto opportuno indirizzare ai cittadini del Paese un esplicito messaggio a favore dell’immediata abolizione delle centrali nucleari. Istanza consegnata formalmente anche, nell’aprile 2012, al governo giapponese da parte del vescovo Tani, presidente della commissione Giustizia e pace.

Nonostante tutto, le centrali sembra proprio che saranno riattivate. L’esecutivo centrale ha già chiesto il consenso delle autorità locali e della popolazione interessata ricevendo riscontri positivi. La dinamica delle relazioni istituzionali in Giappone si svolge, di norma, su un piano di fiducia reciproca che porta all’accettazione delle decisioni dell’autorità, anche se non condivise nel merito. Esiste una presunzione assoluta di massima dedizione verso il bene collettivo nei confronti della classe dirigente.
Con queste premesse, anche i rischi sono accettati in maniera consapevole. Un dato importante da tener presente perché ogni pressione dall’esterno viene percepita come indebita in un Paese che resta poverissimo di ogni risorsa naturale. Lo spazio per soluzioni diverse e credibili, difficili da programmare in tempi brevi, potrà trovarsi, dunque, puntando sul legame di fiducia che è la caratteristica dominante della società nipponica.
 
 
GERMANIA VERSO LA CHIUSURA DELLE CENTRALI
di Clemens Behr, Neue Stadt
 
Nel 2012, la cancelliera tedesca Angela Merkel, alleata con i liberali, sembrava aver cambiato rotta nei confronti della linea adottata, quasi un decennio prima, dal suo predecessore Gerhard Schröder. Il leader socialdemocratico, alleato dei Verdi, aveva programmato, infatti, un piano di uscita dall’energia nucleare. La preoccupazione crescente nell’opinione pubblica di fronte all’incidente di Fukushima, nel marzo 2011, ha cambiato, di nuovo, le carte in tavola. In breve tempo, il governo ha deciso di spegnere 8 dei 17 impianti atomici e di abbandonare anche gli altri entro il 2022; anche se resta, comunque, un problema insoluto: dove andranno depositati in sicurezza i rifiuti nucleari?

La speranza dello sviluppo di tecnologie avanzate per le energie rinnovabili, rappresenta uno dei motivi principali che fanno arrivare al 70 per cento il numero dei tedeschi favorevole ad un “no” definitivo verso l’energia nucleare. Già adesso la Germania ricava il 20 per cento del fabbisogno elettrico da energie rinnovabili come l’eolico, il solare, l’idroelettrico e la biomassa. Valori destinati a crescere fino al 35 per cento nel 2020. Ostacoli, comunque, non mancano. I grandi produttori di energia nucleare hanno subito fatto ricorso davanti alla Corte costituzionale per ottenere dal governo il risarcimento di 15 miliardi di euro per i danni provocati da questa repentina decisione. Membri dello stesso partito cristianodemocratico della Merkel esprimono apertamente delle critiche sulla fondatezza delle nuove linee di politica energetica, che non sarebbe stata, tra l’altro, concordata con gli altri Stati europei.

Nel frattempo anche alcune imprese di alta tecnologia solare, presenti nella Germania dell’Est, hanno denunciato il crollo della produzione per il diminuire delle sovvenzioni statali e la forte concorrenza internazionale. La rete elettrica si sta rivelando inoltre non adeguata per il tipo di produzione degli impianti eolici e solari, tanto da richiedere un piano di investimenti di oltre 20 miliardi di euro con un costo per i consumatori destinato a salire.
Non bisogna dimenticare infine che il 44 per cento dell’energia elettrica in Germania proviene ancora dal carbone, con una modalità di produzione che non si può certo dire pulita!

Difficoltà e ostacoli che non fanno venir meno la decisione di svolta in campo energetico da parte della Germania che conta di consolidare il suo primato nel campo delle energie ecologicamente all’avanguardia. Una linea che trova un seguito anche in Svizzera dove, dopo il disastro di Fukushima, si sono interrotti i lavori per la costruzione di nuovi impianti nucleari e quelli destinati verranno dismessi entro il 2034. Nella vicina Austria, invece, esiste solo un impianto nucleare che, a causa di un referendum del 1978, non è mai entrato in funzione.

Neue Stadt – Germania
redaktion@neuestadt.com

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