Il mondo di Geppe

Ci ha lasciato qualche giorno fa il nostro più anziano collaboratore, Giuseppe Chella. Scriveva su Città Nuova da circa 30 anni la rubrica dell’alimentazione. Soprattutto, con la sua passione, ci incoraggiava; con la sua puntualità e professionalità ci stimolava; con il suo grande cuore scaldava il nostro. Fino alla fine. Per dirgli il nostro grande grazie pubblichiamo quanto scritto - e gentilmente fornitoci - dal figlio Mariano.

Giuseppe, o “Geppe”, come tutti lo hanno sempre chiamato, era tantissime cose. Un originale uomo di scienza, una persona “accogliente”, un uomo con una eccezionale capacità di vedere le cose da un punto di vista diverso e innovativo, un “ragazzo” di 94 anni e… potrei continuare.

Lui e mamma hanno conosciuto il Movimento dei Focolari nel 1966, tra i primi a Napoli, e per questo si può dire che sono stati “genitori” non solo per me e mio fratello, ma anche per le innumerevoli persone di queste parti che in tutti questi anni sono stati irrimediabilmente contagiati dalla spiritualità di Chiara Lubich.

Dopo la morte di mamma, nel 2000 papà espresse il desiderio di imparare a usare il computer comprendendo che quello poteva essere lo strumento che gli avrebbe permesso di superare i suoi limiti fisici (era stato da poco operato al cervello e aveva la gamba sinistra semiparalizzata) ed entrare in contatto con un numero enorme di persone, lontane nello spazio perché magari dall’altra parte del mondo, o nel tempo perché appartenenti a generazioni molto diverse dalla sua.

Questa sua capacità di entrare in relazione, di capire, di appassionarsi, in una parola di amare tutti, era veramente straordinaria e ne ho avuto la misura dal numero e dalla qualità eterogenea delle persone che, in questi giorni, mi hanno chiamato per condividere il loro frammento di ricordo di papà. Dai membri del Movimento alle famiglie ai suoi colleghi d’ufficio, dai “professori” conosciuti nel corso delle sue continue ricerche e dei suoi studi alle persone più semplici entrate in contatto con lui non so nemmeno come, dai negozianti del suo quartiere ai vicini di casa, tutti mi hanno raccontato un pezzetto di lui.

Così un consiglio di corretta alimentazione, una cura per le piante, un’idea per il futuro dei figli, anche solo una telefonata o una mail hanno composto davanti ai miei occhi un mosaico bellissimo e sempre, mentre parlavo con ciascuno ed i ricordi diventavano parole, a poco a poco la commozione si trasformava in un sorriso. Sempre.

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Anche con quelli che erano a casa sua la sera che ci ha lasciato, quasi senza accorgercene abbiamo cominciato a parlare di lui… e papà ci ha fatto sorridere, ancora una volta, come tantissime altre volte, ha fatto sorridere chi gli era vicino questi ultimi mesi, anche mentre stava male.

In questo “ultimo chilometro” della sua vita, infatti, papà è stato per le persone che hanno abitato o frequentato la casa per qualche tempo, il campione da accompagnare al traguardo vittorioso. Un campione circondato dal… mondo, quel mondo nuovo, aperto, multietnico, multireligioso cui aveva spalancato le porte di casa e il cuore e che conosceva anche senza mai essere salito su un aereo…

E così per Klodi (uno studente albanese del Movimento che papà ospitava da oltre due anni) e per le persone che si sono alternate nell’assisterlo (Lorenzo, srilankese buddista, Rosaria ed Annalisa, italiane, Roberto l’infermiere), è stato il cuore di una specialissima “comunità” che alimentava con il suo sorriso, la sua ironia, la sua leggerezza ed è per questo che anche nei momenti più difficili e, per lui, di una grande ed evidente sofferenza, non ricordo mai di aver percepito un’atmosfera triste o un’aria di morte, anzi il lavoro di queste persone, tutti professionisti dell’assistenza, era spesso alleggerito da una improvvisa e fulminante battuta, dalla richiesta di ascoltare un po’ di musica (in particolare la canzone “Volare”), da un tenero sorriso, a volte da una semplice espressione del volto. Queste piccole cose trasportavano immediatamente tutti su un altro piano e facevano dire: non avevamo mai visto una cosa del genere!

Papà era un uomo buono, fuori dagli schemi, anticonformista, a tratti geniale, di certo non convenzionale, che sapeva bene quali erano le cose veramente importanti e se n’è andato cosi, in punta di piedi ed in silenzio, come aveva sempre vissuto. Senza dare fastidio.

Così, quando ci siamo trovati per l’ultima volta accanto a lui con Francesco, mio fratello, la prima cosa che ci siamo detti è stata: Geppe era nostro padre.

Un padre che ci ha seguiti per tutta la vita, un passo indietro, ma sempre alle nostre spalle, che ci ha lasciati sempre liberi, anche di sbagliare, ma che abbiamo sempre trovato quando ci voltavamo e avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse a rialzarci.

Un papà speciale (sì, lo sappiamo che questo si dice sempre, ma lui lo è stato veramente!) e noi, che tante volte lo abbiamo contestato, adesso diciamo che ci piacerebbe essere, per i nostri figli, quello che lui è stato per noi. In punta di piedi, senza dare fastidio.

Geppe era nostro padre e ci ha lasciato il suo sorriso. Quanto a me la partenza di papà inizialmente mi ha destabilizzato, perché mi ha improvvisamente privato della tenerezza del nostro rapporto di questi ultimi tempi ed anche perché non immaginavo quanto questo vecchietto fragile,e ultimamente molto sofferente, fosse per me un silenzioso, ma importantissimo punto di riferimento. Poi, piano piano, ho capito che averlo avuto come padre è stata una grazia, come una grazia particolarissima è stata poter vivere con lui, in maniera praticamente simbiotica, questi suoi ultimi splendidi quattro mesi.

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Per me, così diverso da lui, è stato come scoprire sorprendentemente la profondità dietro la leggerezza, lo spessore dietro la trasparenza. In questa sua splendida uscita di scena è come se papà avesse aperto delicatamente una porta facendomi guardare al di là e, silenziosamente, mi avesse mostrato la “parte mancante” di me, tutto quello che “non” sono. Quello che c’è oltre quella porta è l’eredità che mi ha lasciato ed è questa parte mancante, questo ignoto, che adesso voglio esplorare e conoscere per essere migliore.

Papà è stato fino allo scorso 18 agosto, data nella quale vi ha inviato il suo ultimo “articoletto” (come lui diceva sempre), collaboratore assiduo di “Città Nuova”; lo è stato per qualcosa come 30 anni, nei quali ha sempre svolto con scrupolo e dedizione le ricerche approfondite che c’erano dietro ogni suo scritto. Ha sempre creduto che la corretta alimentazione fosse la base per una buona salute e che conservare nel migliore dei modi il nostro corpo fosse importante per avere più tempo e meno problemi per amare gli altri. Per questo ha scelto non solo di studiare ed approfondire con un taglio diverso la sua formazione di agronomo, ma anche di divulgare le sue “scoperte” mettendole a disposizione di tanti. Città Nuova è stato lo strumento attraverso il quale è riuscito a trasmettere il suo messaggio ed io a nome suo ringrazio per la grande opportunità che il giornale gli ha dato.

Era molto seguito, tanti mi hanno detto che i suoi erano fra i primi articoli che leggevano appena ricevuto il giornale e tanti hanno lanciato l’idea che sarebbe bello poterne raccogliere almeno una parte in un libro.

 

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