Il Mondiale arcobaleno

Alla scoperta del Sudafrica, un Paese e un continente che il calcio mette alla ribalta.
Mondiali Calcio Sudafrica

«Una nazione arcobaleno di bianchi, neri e indiani». Nel giorno del suo insediamento come primo presidente nero del Sudafrica, Nelson Mandela definì con queste parole la rinascita di un Paese democratico e pacificato, dopo decenni di lotte e di segregazione razziale.

Ricca di uranio e carbone, la nazione multicolore che il Mondiale ci invita a conoscere da vicino, scoprirà la ricchezza che le potrà venire dal calcio dopo aver già sperimentato nel 1995 il rugby, in altro Mondiale, come risorsa per unire le sue razze.

Il Mondiale sarà una straordinaria opportunità per portare il Sudafrica e tutto il continente in primo piano davanti ai nostri occhi: siamo invitati a non ammirare solo dribbling e veroniche, ma anche a meditare in silenzio nella cella di Robben Island dove Mandela ha trascorso 27 anni di calvario; a ripercorrere il Great Trek, lungo il quale i boeri o afrikaner, eredi dei primi coloni olandesi, migrarono per sfuggire agli inglesi; a riflettere sulle rive del Fiume Rosso, dove tremila zulu furono massacrati da 500 afrikaner, colorando le acque col loro sangue; a renderci conto che, se il razzismo sta lentamente andando in secondo piano, le ferite di oggi in questo Paese di 45 milioni di abitanti sono lo scontro fra ricchi e poveri, con centinaia di immigrati ogni giorno dallo Zimbabwe, e la morte per Aids che minaccia otto milioni di persone.

L’affresco a tinte forti del Sudafrica farà così da sfondo al primo Mondiale africano, nuova terra promessa del circo del football mondiale e dei suoi ricchi sponsor. Se la visibilità della Coppa d’Africa in Angola ha fatto gola ai separatisti della regione di Cabinda, si sta facendo di tutto perché il Mondiale non sia terrificante palcoscenico per al Qaeda e per ogni altra forma di terrorismo. A contendersi la coppa saranno tre squadre che rappresentano le nazioni del centro-nord America, cinque del Sudamerica, tredici europee, tre dell’Asia e due dell’Oceania, oltre a sei dell’Africa. Le coppe delle precedenti 18 edizioni dei Mondiali sono state vinte da sole sette nazioni (quattro europee e tre sudamericane), fra cui Brasile (cinque) e Italia (quattro) sono le leader.

Sono molti ad essere convinti che gli azzurri, campioni uscenti, faranno fatica a riconfermarsi con un gruppo di giocatori non più così giovani; Brasile ed Inghilterra paiono un gradino sopra le altre; Germania e Francia non convincono; l’Argentina dell’imprevedibile Maradona, la Spagna, eterna promessa, il Portogallo e l’Olanda sono outsider da temere. La sorpresa potrebbe venire da una squadra africana? Solo il Brasile ha saputo vincere il Mondiale (due volte) fuori dal proprio continente, ma stavolta pare difficile pensare che sia una squadra del continente ospitante a poter trionfare, anche se molti talenti di colore si sono ormai fatti in Europa una grande esperienza.

Non sappiamo se a sostenere i Bafana Bafana, i giocatori del Paese ospitante, saranno sufficienti le rumorose vuvuzelas, le trombe colorate che accompagnano con un ronzio assordante le gesta dei calciatori sul campo: simbolo del calcio sudafricano diverranno colonna sonora del Mondiale, interferendo non poco nella comunicazioni fra i giocatori e nelle telecronache. Accanto ai suoni i colori: quelli dei finti occhiali, giganteschi e variopinti, in uso fra i tifosi e quelli delle makarapas, copricapi in plastica coloratissimi. Padre riconosciuto delle makarapas è Alfred “Lux” Baloyi, un geniale e stravagante tifoso che, negli anni Settanta, introdusse, dopo aver visto un tifoso cadere a terra colpito al capo da una lattina di birra, l’uso allo stadio dei comuni elmetti da lavoro, iniziando a decorarli con i colori della propria squadra: oggi sono veri e propri “altari”, arricchiti di simboli e scritte, che non solo fanno parte della tradizione e della “follia” di questo Paese, ma danno lavoro a tanta povera gente. Ne saranno forniti venditori ambulanti, negozi ed agenzie turistiche.

Aldilà degli affari di sponsor e televisioni, ci si augura che il Mondiale sia un trionfo del bel gioco, una vetrina di nuovi giovani talenti, una festa popolare. Ora che ci apprestiamo a vivere un mese sotto trasfusione sportiva permanente, ognuno, sul campo, sugli spalti e davanti alla tv, potrà decidere se fare proprio il cibo spirituale che ha tenuto vivo e protagonista Nelson Mandela nei lunghi anni di prigionia: «Io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima».

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