Il mistero degli oceani

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La rivista scientifica Science dell’ultimo novembre dà una dimostrazione impressionante dei mutamenti ambientali che avvengono nei nostri giorni, nel disinteresse generale: nell’ultimo anno i ghiacciai della sola Groenlandia si sono mossi molto più velocemente del solito ed hanno scaricato in mare 250 chilometri cubi di iceberg, due volte e mezzo di più di quanto scaricato fino a dieci anni fa. E per passare all’altro polo, proprio in questi giorni si è venuto a sapere che la temperatura media dell’Antartide nell’ultimo anno è cresciuta di ben tre gradi, anziché del previsto decimo di grado! Ma c’è dell’altro. Un ampio studio riportato sull’ultimo numero della rivista della ricerca europea RTD Info, sotto il titolo Riscaldamento del clima – I misteri dell’oceano, mette in evidenza altri aspetti riguardanti le possibili conseguenze dei mutamenti climatici che stanno avvenendo. Il primo argomento di questo studio riguarda gli ultimi rilievi oceanografici secondo i quali il ramo della Corrente del Golfo diretto verso il Nord Atlantico negli ultimi cinquant’anni ha perso il trenta per cento della sua portata. Come si sa, le correnti marine sono causate dalla diversa esposizione al sole dei mari che ricoprono il 70 per cento della superficie del pianeta: i mari delle zone equatoriali si scaldano di più e, come in una pentola di acqua sul fuoco, le acque iniziano a muoversi in superficie in enormi fiumi caldi diretti verso zone meno irraggiate, dalle quali in profondità altrettanti fiumi di acqua fredda scorrono in senso inverso, in particolare lungo le coste del continente americano. Nel golfo del Messico l’irraggiamento solare provoca molta evaporazione e quindi il ramo della corrente che da esso si muove verso il nord è caldo e molto salino. Un po’ alla volta nel suo percorso la corrente cede il suo calore alle acque attraverso cui passa, riscaldando anche i venti che spirano verso l’Europa. Così si raffredda, diventando sempre più densa, e quando arriva davanti alle coste della Norvegia e della Groenlandia, l’acqua di questo fiume è diventata più densa di quella del mare in cui scorre e si inabissa, iniziando in profondità un percorso inverso. Ma se la crescita della temperatura media dei mari rendesse il suo raffreddamento insufficiente e la maggior quantità di iceberg incontrati nel suo percorso ne riducesse la salinità, essa non sarebbe più abbastanza densa da inabissarsi. Questo motore naturale, che oggi ha già perso il trenta per cento della sua potenza, si potrebbe anche bloccare del tutto: se ciò succedesse, la temperatura media di Inghilterra e Norvegia, che proprio grazie alla Corrente del Golfo e dai venti caldi che da essa spirano godono di un clima mite malgrado la loro latitudine (che è pari a quella di Canada e Groenlandia), scenderebbe perlomeno di 4 gradi. Inoltre, non scaricandosi più verso il Nord, come in parte ancora avviene, l’energia del sole accumulata nei mari caldi rimarrebbe concentrata nelle aree tropicali e produrrebbe uragani di sempre maggiore potenza. Già quest’anno ne abbiamo visto un anticipo. Un altro aspetto trattato nello studio degli oceani riguarda i miliardi di tonnellate di anidride carbonica emessa negli ultimi decenni ed in buona parte rimasta sciolta nell’acqua come acido carbonico (lo stesso che pizzica la lingua nelle bibite gassate). L’acqua marina è diventata così più acida (in un secolo l’acidità è aumentata di un decimo di grado PH), tanto da arrivare già a corrodere le conchiglie degli animali marini più delicati, molluschi e coralli bianchi di acqua profonda: se si proseguirà così, entro il 2050 l’acidità del mare diverrà tale da compromettere molte specie marine. Lo studio affronta infine un argomento finora quasi ignoto: il fondo degli oceani non è come si pensava una landa senza vita perché buia e senza ossigeno: è invece un immenso reattore anaerobico dello spessore di centinaia di metri costituito da sedimenti, in cui operano attivamente batteri capaci di digerire i residui organici scesi sul fondo dalla superficie o scaricati in mare dai fiumi anche in assenza di luce ed ossigeno, producendo metano. Dato che l’effetto serra provocato dal metano è venti volte superiore di quello della anidride carbonica, se queste enormi quantità di metano prodotte sul fondo degli oceani raggiungessero l’atmosfera, ne avremmo conseguenze ambientali disastrose: ma la natura ha posto sul fondo degli oceani una provvidenziale barriera fatta di colonie di diversi tipi di batteri che grazie ai solfati contenuti nell’acqua del mare trasformano il novanta per cento di questo metano in anidride carbonica la quale, salendo in superficie, viene in parte assorbita in un equilibrio mirabile dalle alghe microscopiche, capaci, grazie alla luce del sole, di trasformarla in zuccheri ed ossigeno. La digestione anaerobica dei composti organici avviene anche in acque poco profonde, in mare come negli stagni, ed il metano in questi casi si libera in brillanti bollicine che salgono tremolanti in superficie, una delle attrattive di chi ammira con la maschera il fondo marino sabbioso. Ma quando la digestione anaerobica avviene in acque profonde, a causa della elevata pressione e della bassa temperatura di quell’ambiente, il dieci per cento del metano prodotto sul fondo che non viene trasformato in anidride carbonica vi rimane imprigionato in giacimenti di metano idrato solido, una specie di ghiaccio che, se portato in superficie e scaldato, si trasforma in metano gassoso, aumentando di 170 volte il suo volume. Questi giacimenti fanno gola per l’energia che custodiscono, e in Canada si sta già sfruttando in modo sperimentale uno di tali giacimenti rinvenuti nella terraferma. Ma per quanto riguarda i giacimenti marini le compagnie petrolifere sono ben consapevoli dei rischi che l’ambiente correrebbe se, riscaldando il fondo del mare durante le trivellazioni per estrarlo o per estrarre petrolio, o per qualche incidente durante le trivellazioni stesse, si innescasse la trasformazione non controllata in gas di giacimenti di metano idrato. Lo studio della RTD Info riporta infine anche i timori di alcuni scienziati più pessimisti, secondo i quali non è da trascurare il pericolo che l’aumento della temperatura degli oceani possa incidere sul delicato equilibrio dei giacimenti di metano imprigionato sul fondo degli stessi, fino a farne emettere improvvisamente grandi quantità con un concomitante aggravamento dell’effetto serra. Tutto quanto sopra non deve ancora spaventare, ma preoccupare certamente. La copertina del Time della prima settimana di aprile mostra un orso polare alle prese con il ghiaccio su cui vive che si scioglie, ed intitola: Sii preoccupato, sii molto preoccupato. Si deve dunque concludere che dobbiamo aiutare i nostri governi e la società civile a considerare con serietà l’emergenza ambientale, rendendosi conto che essa può diventare anche più drammatica del terrorismo globale. L’impegno dei giovani scienziati europei che hanno predisposto questi studi ci permette di prendere conoscenza di fenomeni naturali finora trascurati o ignoti e ci rende più coscienti dei meccanismi che condizionano la vita sul pianeta Terra. Essi ci possono indurre ad un agire personale e collettivo più consapevole, capace di permettere a tutti di vivere bene su questo bellissimo mondo e di lasciarlo alle future generazioni pressoché intatto e altrettanto meraviglioso quanto lo abbiamo ereditato.

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