Il messaggio di Porto Alegre

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Èancora Porto Alegre ad accogliere un evento di portata mondiale: la IX assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese che si è tenuta per la prima volta in America Latina, dal 13 al 23 febbraio. Tema e messaggio Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo. I quasi 4 mila partecipanti fra delegati di 348 chiese di 120 paesi, invitati speciali, rappresentanti delle grandi religioni, giornalisti e visitatori si sono dati appuntamento per dieci giorni nel pittoresco campus dell’Università Cattolica. Un evento di fede dove trovavano posto le celebrazioni (preghiera, riflessione e pratica della Parola di Dio, liturgia), gli aggiornamenti ecumenici, le plenarie tematiche e quelle decisionali, e le decine e decine di workshop. Man mano che il programma si andava sviluppando, veniva in rilievo la ricchezza della diversità. Ricchezza esteriore di lingue, costumi, foggie, colori, danze, canti, gesti. Ricchezza interiore di cultura, mentalità, culti, teologie, spiritualità. Una diversità che nel contesto brasiliano prendeva anche i connotati della gioia e della festa. La ricchezza dell’unità emergeva da un desiderio profondo e anche sofferto, da un’invocazione allo Spirito. Ancora un obbiettivo da raggiungere in pienezza, ma già presente nei cuori e che esige un impegno rinnovato nella sempli- cità, nell’umiltà e nella speranza. L’atmosfera che si respirava ovunque era di grande fraternità, di famiglia che si raduna nel nome di Gesù Cristo per trovare e ritrovare i fondamenti del proprio essere chiesa, comunità di comunione e di evangelizzazione. Nelle sezioni plenarie le chiese si sono poste davanti alle sfide del mondo moderno: giustizia economica, identità cristiana e pluralismo religioso, superamento della violenza. Le analisi sociologiche e le denuncie sono state puntuali: le chiese si sono pronunciate per un impegno comune di solidarietà con gli esclusi, i poveri, gli immigrati, gli emarginati; e hanno chiesto ai potenti della Terra comportamenti etici e politiche sociali ispirati a giustizia ed equità. Ma hanno anche espresso la consapevolezza che solo Dio è il Signore della storia, e lui bisogna invocare per liberarci del male. Di grande rilevanza il discorso di sua santità Aram I, della Chiesa apostolica armena, moderatore dell’assemblea, alla fine del suo mandato. Una relazione luminosa, realista, non pessimista, del cammino ecumenico negli ultimi sette anni. Non ha nascosto le difficoltà, gli ostacoli, ma è stato capace di cogliere i segni del lavoro dello Spirito Santo, nonché i gesti e i passi, magari piccoli, ma significativi, verso l’unità piena e visibile. Molto rappresentativa e apprezzata la delegazione della Chiesa cattolica, guidata dal vescovo Far- rell del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Il cardinale Kasper è venuto portando il messaggio di Benedetto XVI. Affollatissima la sua conferenza stampa, con richieste incalzanti sui rapporti ecumenici della Chiesa cattolica. La necessità di una spiritualità ecumenica per portare avanti un living ecumenism, un ecumenismo di vita – sottolineata dal rev. Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese nel suo intervento in apertura all’assemblea – ha trovato eco nel documento finale che ha indicato le priorità per il futuro. Un’ultima annotazione sulla presenza del Movimento dei focolari. Il movimento conta una numerosissima comunità nell’estremo sud del Brasile, dove tra l’altro è molto vivo l’ecumenismo. In tanti hanno partecipato ai lavori dell’assemblea animando anche due workshop sull’Economia di Comunione e sulla spiritualità di comunità e movimenti. Una presenza di servizio, ma estremamente efficace, ricca di un pluridecennale lavoro ecumenico. Il loro stand era sempre pieno di autorità, delegati e visitatori, tutti a caccia di informazioni. ARAM I Intervista con sua santità Aram I, catholikòs della Chiesa armena apostolica di Cilicia con sede a Beirut, moderatore del comitato centrale del Cec e della IX assemblea. Dalla precedente assemblea di Harare nel 1998 a Porto Alegre. Sono sette anni di grande intensità ecumenica. Se lei guarda indietro, in questi sette anni, quali i fatti più positivi, più esaltanti, e quali sono quelli che lei vorrebbe addirittura cancellare? È chiaro che questa domanda esigerebbe una risposta molto lunga, ma voglio essere chiaro: in questo percorso da Harare a Porto Alegre, abbiamo avuto molte difficoltà, molte sfide, ma il più importante è che siamo in cammino e siamo insieme. E ciò rende visibile la chiesa. Nona assemblea di Porto Alegre. Quale spirito c’è tra i de- legati? Preoccupazioni? Dubbi? O più ottimismo, più speranza? Io considero questa assemblea come di preghiera e di speranza. È una assemblea di preghiera: Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo. Noi riflettiamo su questo tema e assumiamo ancora una volta l’impegno di lavorare per la trasformazione del mondo. Perciò, il messaggio di questa assemblea è lo stesso di Gesù Cristo ai discepoli: Andate per il mondo e portate il Vangelo a tutti. Quale ruolo, secondo lei, avrà la spiritualità nella nuova strada che il movimento ecumenico va cercando? Non riesco ad immaginare il movimento ecumenico senza spiritualità, la vita cristiana senza spiritualità. Spiritualità, per me, vuol dire stare con Dio. Dio è venuto a noi attraverso Gesù Cristo. Noi stiamo con Dio? La spiritualità è una sfida, la sfida di stare con Dio nella nostra vita quotidiana. Perciò l’ecumenismo deve prendere molto sul serio la questione della spiritualità. Le chiese cristiane e il mondo moderno. Il confronto, o meglio, il dialogo, non è per niente facile, ma non può essere evitato, anzi, è auspicabile e necessario. Come farlo? Puntando su quali contenuti evangelici e con quale metodologia? La missione della chiesa è trasformare il mondo. Perciò noi dobbiamo impegnarci, come chiese, in questo dialogo e con un obbiettivo molto chiaro: portare la creazione e il mondo a Dio. Questo vuol dire trasformare il mondo e l’umanità. Ciò non è facile, ma è la missione della chiesa, una missione che le è stata affidata da Dio. Perciò la missione della chiesa è la missione di Dio. Noi siamo apostoli e ambasciatori suoi. Ogni cosa che facciamo è nel suo nome. Che tutti siano uno. È ancora un sogno? Che cosa sogna sua santità Aram I per il movimento ecumenico e, in particolare, per i rapporti fra il Consiglio ecumenico delle chiese e la Chiesa di Roma? L’unità delle chiese è un dono che viene da Dio. Le chiese divise sono la conseguenza del peccato dell’umanità. Noi dobbiamo ricuperare l’unità della chiesa: questa è la finalità del movimento ecumenico. Per realizzare questo obbiettivo dobbiamo lavorare insieme, tutte le chiese e tutti i cristiani. Forse abbiamo posizioni teologiche diverse, ma tutti apparteniamo all’unica chiesa di Cristo. Cristo è uno e la chiesa è una. Noi dobbiamo essere espressione dell’unità della chiesa. Per questo credo che dobbiamo rendere più profondo il rapporto con la Chiesa cattolica. All’inizio di dicembre, assieme al card. Kasper abbiamo fatto dei discorsi, e tutti e due abbiamo sottolineato l’importanza della nostra collaborazione. Perché è attraverso la reciproca comprensione e il dialogo che noi possiamo manifestare l’unità della chiesa. Perciò io credo che la Chiesa cattolica abbia un ruolo molto importante nel movimento ecumenico. Forse abbiamo modi diversi di capire certi temi ecumenici, ma l’unità della chiesa è un obbiettivo comune, una preoccupazione comune.

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