Il bisogno di un Padre

Mi rivedo dieci anni fa: ateo impregnato di dottrina marxista con unici punti di riferimento i valori di giustizia sociale, di rispetto per il prossimo, di rettitudine, di impegno politico ricevuti da mio padre, un uomo di cui ho sempre avuto una grande stima sia come giornalista che come professore universitario. Per molti anni avevo fatto parte di organizzazioni e associazioni politiche con la speranza di contribuire alla realizzazione di una società più giusta. Disapprovavo però i toni accesi, le polemiche, la carenza di verità e di moralità che spesso accompagnava le tattiche. E per quanto alti fossero gli ideali a cui mi ispiravo, mi ero convinto che la soddisfazione dei bisogni materiali non completava la varietà di esigenze di cui è portatrice l’anima umana. Il desiderio di trovare una risposta al significato della vita mi aveva fatto scegliere filosofia all’università. Ma neanche così avevo ricevuto risposta alle tanto anelate ultime verità. Al contrario, mi ero imbattuto in tanto scetticismo e relativismo. Fra le varie esperienze durante quella mia ricerca c’era stata anche una parentesi buddhista, durata neanche un anno, in quanto ben presto mi ero accorto che quello non era il mio luogo, né quella era la mia ora. Breve anche il rapporto con una ragazza che mi piaceva molto: aveva qualcosa che mi colpiva, che non riuscivo a decifrare, i suoi modi delicati mi stupivano come pure un’attenzione verso di me a cui non ero assolutamente abituato. Ma era cristiana e mostrava delle attese a cui non ero capace di corrispondere. Per questo, dopo qualche mese, tutto era finito con mio grande dispiacere. Oggi riconosco la sacralità che c’è nel rapporto fra un uomo ed una donna e intuisco il mistero presente in ogni rapporto umano. Tuttavia all’epoca non pensavo che quella sarebbe stata un’ulteriore spinta verso Dio. Da poco ci eravamo lasciati, ed io conducevo la mia vita solitaria. Poi quel 22 gennaio: era domenica, e svegliandomi provai come non mai un senso di vuoto, di assenza di significato in ogni cosa, la percezione di aver lavorato invano per tanti anni. Fra le tante iniziative possibili in quel mattino d’inverno optai per la cosa più innovativa e dirompente che potessi fare: andare a messa. Mi sembrava così di rispondere ad una chiamata che mi giungeva da lontano, nella speranza quasi che la risposta ai miei interrogativi fosse lì dove mai l’avevo cercata. In quel giorno, giocando la partita della mia vita, nella più assoluta libertà sentii il bisogno di affidarmi al Signore. Avevo bisogno di qualcuno, forse di un Padre (il mio padre naturale era già scomparso da anni). Partecipai dunque alla liturgia domenicale, mi feci il segno della croce per la prima volta; cercai di ascoltare e di comprendere, chiedendomi se gli altri si accorgessero che non ero battezzato. Non mi accostai ovviamente all’eucaristia, ma rimasi fino alla fine. Fra i vari avvisi dati a conclusione della messa, mi colpì quello relativo ad un corso per fidanzati. Non pensavo che ci fosse bisogno di una preparazione al matrimonio, la ritenevo una cosa naturale e spontanea che non richiedeva una particolare attenzione. Veniva inoltre annunciata una assemblea-incontro sul tema dei rapporti prematrimoniali. Vi andai sia pure in qualità di single e con una grande domanda nel cuore. Io non conoscevo nessuno e con un po’ di imbarazzo espressi al relatore, un teologo di morale specialista per le tematiche familiari, il mio interesse dovuto alla difficoltà ad avere un rapporto stabile, rapporto che peraltro desideravo molto, perché volevo metter su famiglia. Mi sentii rispondere che ero nel posto giusto: avrei potuto seguire l’incontro ed intervenire. Fra le varie tesi presentate, suscitò in me stupore e interesse il concetto secondo il quale l’incontro fra una donna e uomo è preordinato da un disegno di Dio e che il conseguente rapporto d’amore è per sempre. Fino ad allora, in maniera molto semplicistica, avevo considerato il rapporto di coppia come il punto più alto in cui si esprime la sfera sentimentale e si realizza la sfera sessuale, dove si generano figli e si convive contrattualmente per fare la propria parte nella società. Tale rapporto, a mio avviso, poteva durare finché c’era l’amore, mentre una volta cessato il sentimento e subentrata l’abitudine, anche convivere non aveva più un gran senso, aprendo pertanto la via alla separazione. Quella sera capii quello che potevo capire, dato il linguaggio non facile per uno come me, completamente a digiuno di teologia morale e di religione, anche se laureato in filosofia. E poi tutto veniva da me compreso secondo i miei schemi mentali e ideologici di allora. Ad ogni modo percepii qualcosa di indefinito che corrispondeva fortemente ai desideri più nascosti di bene e di verità sulla mia vita e sulla vita dell’umanità intera. Quando l’assemblea finì, formulai al sacerdote un’ulteriore domanda sul significato del battesimo. Gli dissi che in quel momento non avevo elementi per potere fare una scelta consapevole. Non mi restava che avviarmi in un cammino di iniziazione che mi avrebbe portato dove non sapevo, abbandonarmi con quella fiducia che poteva essere data solo per grazia. Lasciar fare al Signore, non opponendo ostacoli all’opera sua. Ebbe inizio così la sequenza di eventi che portarono ad essere cristiano. Le cose cambiavano, solo che i cambiamenti in me potevo registrarli una volta avvenuti. Scoprivo di avere desideri diversi da quelli di un tempo, di giudicare le cose in maniera diversa dal solito. Il battesimo ricevuto a 35 anni fu il punto di arrivo di un grande travaglio interiore ed anche quello di partenza di una serie di eventi che segnano tuttora il mio cammino nella comunità ecclesiale, nel lavoro, nella vita sociale e privata, con i parenti, gli amici e con mia moglie Anna, attraverso il matrimonio che è stato uno dei doni più grandi. Sono trascorsi ormai più di dieci anni, fra cadute e riprese, nella salute e nella malattia, fra gioie e dolori che continuano a far parte della vita e che solamente un amore più grande può comprendere e salvare.

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