Il bambino e l’anziano

Abbiamo tre figli e mia madre di 75 anni vive con noi da quando mio padre è morto, circa 10 anni fa. È stata di grande aiuto nell’aiutarmi a crescere i ragazzi e anche nel sostegno economico, ma non sempre è stato semplice conciliare le sue abitudini con la nostra vita di coppia e di famiglia. Non sono quindi mancati dei momenti di tensione. Da un paio di anni le sue condizioni generali sono peggiorate e vedendola meno lucida abbiamo consultato il neurologo. Egli ci ha diagnosticato un inizio di Alzhaimer. Sono angosciata dal futuro, dal timore di come evolverà la malattia e se sarò capace di fronteggiare la situazione anche in considerazione dei delicati equilibri della famiglia! Su internet ho letto che la presenza dei bambini in casa con l’anziano rallenta il decorso della demenza progressiva ed è un fattore di sviluppo e crescita positiva anche per i ragazzi: volevo il suo parere su quest’aspetto. Rosa – Trento Una serie di studi dimostra che i contatti sociali intensi e positivi rallentano il deteriorasi delle funzioni cerebrali, quasi che il nostro cervello si comporti come i muscoli: più li tieni allenati più funzionano. Sicuramente nel ciclo della vita gli estremi si toccano, in un naturale percorso di reciproca tutela. Il bambino e l’anziano si danno la mano. Non è solo un’immagine, racchiude in sé una serie di positività per entrambi. Gli anziani donano ai bambini un qualcosa di cui hanno assoluto bisogno: un passato e una storia , base da cui guardare il presente e il proprio futuro. Il nonno istintivamente racconta ai nipoti dei parenti ormai morti, delle esperienze che ha vissuto, del mondo da cui proviene e che ha generato i suoi figli e ora i suoi nipoti. Sono scenari che al bimbo appaiono lontani, simili a fiabe. Da quella vita prima vissuta ed ora narrata emergono insegnamenti, esempi, modelli, spesso anche sofferenze o problemi. Nel cuore e nella memoria del bimbo rimarranno indelebili quei racconti, ma più forte di tutto rimarrà il calore di quella mano che stringeva la mia. Non di rado il bambino percepisce un’altra realtà: Il nonno è debole, il nonno ha bisogno di me. Tante volte ho assistito a scene quotidiane, che mi hanno fatto commuovere nello scoprire la delicatezza di impercettibili atti d’amore dei bambino per i nonni: sorrisi, carezze, piccolegrandi azioni d’amore. È evidente allora come possa essere vero che i bimbi diventino medicina per scaldare il cuore e in qualche misura la mente di chi è sul viale del tramonto: con essi l’anziano si riscopre non solo utile e in grado di amare, ma tanto spesso si sente amato e direi inondato di quella bellezza che solo un cuore di un bimbo sa donare. Tutto ciò si confronta con la realtà di una vita oggi meno semplice di ieri, con spazi abitativi sempre più ristretti, con il poco tempo a disposizione, con le mille esigenze (o chimere?) dei tempi moderni. Se quindi è innegabile che l’anziano, anche debole e malato, possa essere un’insostituibile risorsa e che la stessa progressione della demenza possa essere rallentata dal frequente contatto con i bambini, è tuttavia innegabile che vi sia necessità di supporti economici e sociali per le famiglie che devono gestire le molteplici complessità di un anziano demente e di bimbi piccoli. Sempre più in Italia si osserva la nascita di centri diurni per anziani e di percorsi assistenziali domiciliari coordinati da personale sanitario specializzato. Non di rado incontro famiglie in cui sono forti i sentimenti di colpa per essere stati costretti ad accompagnare il genitore in case di cure per anziani o malati di Alzhaimer perché la logistica familiare o la situazione economica non permettevano realmente altre opzioni. Nessuno ha il diritto di entrare nel merito delle singole e sofferte scelte. Tutti però abbiamo il dovere di lavorare perché la società e il Ssn sostengano concretamente le famiglie in cui ci siano anziani non autosufficienti. È una necessità sempre più forte e al contempo una scelta di civiltà, intelligente, lungimirante e a lungo termine vantaggiosa anche economicamente.

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