I poveri una risorsa

Volti e storie di chi nelle nostre città si ritrova a "mendicare" il riconoscimento della propria dignità.

Sul lungomare di Corso Italia, a Genova, gli omoni africani ritirano in fretta, ma con cura, pezzo dopo pezzo la loro mercanzia. Incartano una ad una le borse da signora, le collane. I foulard dai colori vivaci. Tra poco farà buio e in passeggiata sarà impossibile vendere.  Sono quasi le 17,  la tramontana gela anche i pensieri più nobili delle persone e sbatte sugli scogli le onde schiumose del mare serale, mentre il sole laggiù s’è già tuffato da un bel pò nell’acqua, e le persone affrettano il passo verso casa. Livio invece da una settimana non c’è  più, era arrivato a fine estate, ora è tornato, almeno per alcuni giorni a Milano, «La mia bimba più piccola ha cinque anni e mi aspetta per queste feste. Pensa che io lavori», mi dice salutandomi prima di partire. Lui vive di elemosina, dipinge quadri, dorme in auto e mangia alla mensa. Ha raccolto un pò di soldi e con questi busserà alla casa dove abita la moglie e i sui tre figli. E’ separato, ma spera che almeno un paio di giorni possa risentire il caldo di quella che per tanti anni fu la sua famiglia.

Freedom: non ha ancora trent’anni, fisico asciutto da sportivo, comportamento distinto elegante, si muove di fretta tra le tante persone che scendono e risalgono il carruggio che porta sulla spiaggetta affollata di Boccadasse. Laggiù c’è la gelateria e poi due bar che servono aperitivi a fiumi. E alcuni ristoranti. Il passaggio è obbligato c’è solo quel carruggio. Le luci di Natale, le musiche l’atmosfera è tutta per questa festa ormai alle porte. Tra questo via vai impetuoso di umanità Freedom “lavora”. Ramazza e paletta pulisce con cura certosina il carruggio. Carta delle caramelle, tovaglioli degli aperitivi che il vento fa svolazzare e poi filtri delle sigarette, buste delle patatine. Raccoglie tutto con cura e butta nel sacco della monnezza. E’ arrivato a Genova quest’estate su uno dei tanti barconi che attraversano il Mediterraneo dalla Nigeria. Lui ha rischiato l’avventura, i suoi fratelli e i genitori sono rimasti laggiù. Vive in un centro di accoglienza, ha la mattinata libera, il pomeriggio invece frequenta la scuola di italiano. Ma Freedom ormai in questi pochi mesi si è conquistato Boccadasse. Lo osservo, arriva con il bus delle 8,30 va in chiesa a dire le preghiere: «Io sono cristiano come la mia famiglia». Poi in sacrestia ritira la scopa e la paletta e si mette a lavorare. Da ultimo lava i gradini d’ingresso della chiesa di S. Antonio. «Vengo volentieri, qui siete miei amici. Mi volete bene e anche io voglio bene a voi». Freedom è talmente simpatico che non si può non volergli bene. «Appena ti vede ti accoglie con un grande sorriso – dice il proprietario di un locale – ti domanda come stai. Ti mette serenità anche se magari ti sei svegliato con la luna storta».

Sulla spiaggetta tra i titolari dei locali c’è chi gli offre il caffè, chi il panino, chi la brioche. E chi la mancia perché pulisce per davvero. Da quest’estate Freedom «è uno di noi, è di questo borgo!», si commenta qui, non è mancato nemmeno un giorno e ora la sua presenza da un sapore diverso anche a questo Natale. «Almeno qui in questo scampolo di città ha portato la gioia fresca del suo volto e “provocato” una goccia di solidarietà, in tante persone». Livio, Freedom, gli amici africani, appartengono ormai a questo borgo di mare, appartengono alla chiesa. Con la loro fiducia ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre. I poveri dice il papa, “non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo”. E ci ricordano in questo Natale che anche le cose più piccole hanno sempre un valore immenso.

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