I numeri e il ministro nel Paese senza lavoro

Perché la svolta richiesta dall’economia civile è decisiva per affrontare la crisi e la disoccupazione. Enrico Giovannini al convegno internazionale su Antonio Genovesi prospetta gli scenari per l'occupazione e le aziende tra riforma Fornero-Monti e tagli. Critiche degli economisti all'austerità
Enrico Giovannini ministro del lavoro

Nella nuova compagine governativa della coalizione italiana di larghe intese, l’ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, ha la responsabilità del dicastero del lavoro in un Paese che registra, ogni giorno, la contrazione della produzione e la crescita della disoccupazione. Il neo ministro afferma che non intende agire sulla riforma del lavoro, targata Fornero-Monti, con l’accetta ma “con il cacciavite”, aggiustando un impianto normativo che, afferma, non può essere valutato nei suoi effetti nel breve periodo. Anche per il taglio alle pensioni, deciso sempre dal governo tecnico il risparmio di 80 miliardi sulla spesa pubblica raggiungerà il picco solo nel 2019, cioè nei prossimi 10 anni

Ma la competenza specifica di Giovannini, maturata come capo statistico dell’Ocse, è proprio quella di saper leggere e interpretare gli stessi numeri che possono rivelare scenari diversissimi tra loro. Ad esempio, dove e come inciderà questa riduzione di reddito per i pensionati nell’Italia futura?   

Saper leggere i numeri Non si tratta solo della modalità di conteggio (come è avvenuto sulla percentuale dei disoccupati che ha suscitato la polemica dell’Istat con l’ex ministro dell’economia Tremonti), quanto di acquisire tutti gli indicatori capaci di facilitare la comprensione di una realtà che va cambiata in tempi brevi per uscire dalla recessione. L’incontro del 6 giugno all’Istituto Sturzo con gli esponenti di primo piano dell’economia civile (da Luigino Bruni a Stefano Zamagni, Pierluigi Porta molti altri che si possono riascoltare sul sito dello stesso Istituto), ha espresso l’esigenza di cambiare radicalmente la prospettiva di intervento davanti al palese fallimento del modello dell’individualismo competitivo che ha segnato il volto del “capitalismo tecno nichilista”, per usare un termine emblematico usato dal sociologo dell’Università cattolica Mauro Magatti, tra i relatori del convegno.

Lo stesso giorno in cui si è aperto il convegno su Antonio Genovesi nel bel palazzo Baldassini l’Indesit, controllata dalla famiglia erede di un seguace di Sturzo, l’Aristide Merloni esponente dei sindacati bianchi e propugnatore della responsabilità sociale di impresa, ha annunciato la delocalizzazione di alcune lavorazioni di elettrodomestici in Turchia e Polonia con il conseguente licenziamento di oltre mille e 400 lavoratori che non hanno potuto fare altro che scendere in strada a manifestare il loro smarrimento.

Un certo tipo di governo dell’interdipendenza economica procede inesorabilmente e se Giovannini, il 12 giugno, ha ribadito alla Camera l’annuncio di «un pacchetto di misure straordinarie e urgenti», entro l’estate, per contrastare la «grave situazione occupazionale che stiamo attraversando», ha dovuto precisare che si muove «in stretti vincoli di bilancio».

Domande ed errori da rimediare È in questo scenario che va compresa la reale incidenza che arriva dalla riflessione degli esponenti dell’economia civile che, come afferma Stefano Zamagni, non rappresentano una scuola di pensiero con i suoi dogmi e maestri, ma esprimono il buon senso di chi punta a riscoprire l’origine cooperativa dell’economia di mercato che non coincide con il capitalismo. Le conseguenze hanno un effetto pratico immediato se si considera il dibattito in corso sul rapporto tra austerità e crescita, ovvero sull’effetto dei tagli sociali che rischiano di ammazzare il malato invece di guarirlo e, quindi, sul ruolo della spesa pubblica. Sono le stesse domande che è posta, a poca distanza e nelle stesse ore del convegno dello Sturzo, l’assemblea attentissima che ha partecipato, nella Fondazione Basso, al dibattito sulle tesi del documento dell’ex ministro Fabrizio Barca sulla questione del possibile governo della cosa pubblica. Ambiti e percorsi politici diversi ma le stesse citazioni del nobel Amartya Sen sulla diseguaglianza e la politica monetaria europea, le ammissioni di errore del Fmi sulla crisi della Grecia e così via.

Segnali della necessità di cambiare modello di riferimento nell’affrontare la crisi che non accenna a scomparire e che incute paura. Riscoprire l’umanesimo civile di Genovesi non è una questione estetica perché rimuove gli effetti di quella scuola di pensiero economica dominante, espressa da quel  Francesco Ferrara (1810-1900), critico del Genovesi e  assertore dell’esistenza di leggi naturali dell’economia che non permetterebbero di poter considerare la questione sociale a livello teoretico. 

Un secolare travisamento che ha finito per produrre effetti drammatici. Adam Smith attingeva, invece, ai testi di Genovesi direttamente in italiano, come fa notare Pierluigi Porta, e la stessa famosa divisione delle fasi del lavoro descritta dal pensatore scozzese si spiega a partire dalla necessità non di contrapporre i soggetti ma di rispondere, in maniera cooperativa, al dato primordiale della condizione umana: la debolezza e la vulnerabilità. 

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