I gesti che segnano

Si conclude il viaggio del papa nel Paese sudamericano, a Cartagena, porta ai Caraibi. Un viaggio nel segno della riconciliazione e del perdono, dell’unità della Chiesa e della giustizia sociale
Papa in Colombia

Quattro sono state le tappe del viaggio di papa Bergoglio in Colombia, tra ali di folla festanti, messe con milioni di persone, infiniti abbracci e baci, papamobili inghiottite dalla folla e anche un piccolo incidente a Cartagena sbattendo su una maniglia della papamobile. Da Bogotá a Vallevicencio, da Medellin a Cartagena, Francesco ha saputo conquistare il cuore dei colombiani e trasmettere messaggi inequivocabili.

Nella capitale, dove è arrivato nella serata del 6 settembre, è emersa la dimensione ecclesiale della sua visita, in particolare per due discorsi insolitamente lunghi e articolati del papa, rivolti ai vescovi e al Celam, la Conferenza dei vescovi di tutto il Sud America. «Vengo per annunciare Cristo e per compiere nel suo nome un cammino di pace e di riconciliazione. Cristo è la nostra pace! Egli ci ha riconciliati con Dio e tra di noi!», ha detto ai vescovi nel Palazzo cardinalizio di Bogotá, intendendo con ciò qualificare come pastorale il suo viaggio, ma con una valenza politica altissima, per la riconciliazione nazionale dopo i 52 anni di guerra intestina.

Ha chiesto ai vescovi di impegnarsi, facendo «il primo passo», motto dell’intera visita, ripresa da una frase di Agostino: «Non vi è infatti invito più efficace ad amare che essere primi nell’amore». Ha quindi inviato messaggi taglienti all’episcopato: «Non misuratevi con il metro di quelli che vorrebbero che foste solo una casta di funzionari piegati alla dittatura del presente»; «Vi invito a non avere paura di toccare la carne ferita della vostra storia e della storia della vostra gente. Fatelo con umiltà, senza la vana pretesa di protagonismo e con il cuore indiviso, libero da compromessi o servilismi»; «Non servono alleanze con una parte o con l’altra, bensì la libertà di parlare ai cuori di tutti»; «Non vi porto ricette né voglio lasciarvi una lista di compiti… conservate la serenità… quando l’amore è scarso, il cuore diventa impaziente, turbato dall’ansia di fare cose, divorato dalla paura di avere fallito».

Messaggi chiari, a una Chiesa spesso divisa al suo interno, talvolta al servizio dei potenti di turno, talaltra incapace di attenuare persino al proprio interno le divergenze sociali. Ma una Chiesa ricca di speranze. Il gesto che dà senso a tutte queste parole è un atto compiuto non a Bogotà ma a Medellin, dove il papa ha voluto modificare il canone 838 del Diritto canonico «affinché le decisioni del Concilio circa l’uso delle lingue volgari nella liturgia possano valere anche nei tempi futuri»: in parole povere, il Vaticano II va attuato, e non si può tornare indietro, anche in campo liturgico.

Nella seconda tappa, a meno di cento chilometri dalla capitale, a Villavicencio, luogo di grandi sofferenze provocate dalla guerra dei 52 anni (il papa avrebbe potuto scegliere cento altre città-simbolo della necessaria riconciliazione), dopo aver beatificato due vittime-martiri del lungo conflitto, Francesco ha voluto riunire al Parque Las Malocas coloro che hanno sofferto a causa della guerra, di tutte le fazioni. Il tono è stato dato da queste semplici parole: «La violenza genera violenza, l’odio genera altro odio, e la morte altra morte. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile, e ciò è possibile soltanto con il perdono e la riconciliazione concreta».

La pace come processo concreto sempre migliorabile e non come una utopica conquista definitiva: questa la riconciliazione basata sul perdono che Francesco ha voluto proporre. Ha aggiunto: «Risulta difficile accettare il cambiamento di quanti si sono appellati alla violenza crudele per promuovere i loro fini, per proteggere traffici illeciti e arricchirsi o per credere, illusoriamente, di stare difendendo la vita dei propri fratelli. Sicuramente è una sfida per ciascuno di noi avere fiducia che possano fare un passo avanti coloro che hanno procurato sofferenza a intere comunità e a tutto un paese. E’ chiaro che in questo grande campo che è la Colombia c’è ancora spazio per la zizzania. Non inganniamoci. Fate attenzione ai frutti: abbiate cura del grano e non perdete la pace a causa della zizzania».

Simbolo di questa tappa è indiscutibilmente il crocifisso di Bojayá, che il 2 maggio 2002 assistette e patì il massacro di decine di persone rifugiate nella sua chiesa. Il papa lo ha voluto sul palco: «Questa immagine – ha detto – ha un forte valore simbolico e spirituale. Guardandola contempliamo non solo ciò che accadde quel giorno, ma anche tanto dolore, tanta morte, tante vite spezzate e tanto sangue versato nella Colombia degli ultimi decenni. Vedere Cristo così, mutilato e ferito, ci interpella. Non ha più braccia e il suo corpo non c’è più, ma conserva il suo volto e con esso ci guarda e ci ama. Cristo spezzato e amputato, per noi è ancora “più Cristo”».

A Medellín, dinanzi a un milione di fedeli, all’Aeroporto Enrique Olaya Herrera, il papa ha voluto parlare al popolo intero di Colombia, che all’80 per cento è cristiano cattolico. Ha sottolineato le sue qualità, invitando tutti, però, a un passo in avanti verso un cristianesimo maturo e intraprendente. Ha indicato tre espressioni da ricordare nella propria vita: innanzitutto «andare all’essenziale», cioè «andare in profondità, a ciò che conta e ha valore per la vita. Gesù insegna che la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme e leggi, né tantomeno un compiere certi atti esteriori che non portano a un cambiamento reale di vita»; quindi rinnovarsi, anche se «il rinnovamento richiede sacrificio e coraggio, non per sentirsi migliori o impeccabili, ma per rispondere meglio alla chiamata del Signore»; infine coinvolgersi, «anche se per qualcuno questo può sembrare sporcarsi o macchiarsi», ma «la Chiesa non è una dogana; richiede porte aperte, perché il cuore del suo Dio è non solo aperto, ma trafitto dall’amore che si è fatto dolore. Non possiamo essere cristiani che alzano continuamente il cartello “proibito il passaggio”, né considerare che questo spazio è mia proprietà, impossessandomi di qualcosa che non è assolutamente mio».

Come gesto esemplificatore di quanto aveva detto, ha voluto visitare la Casa Famiglia San José, dove ha detto: «Gesù non abbandona nessuno che soffre, tanto meno voi, bambini e bambine, che siete i suoi preferiti». E rivolgendosi a una ospite della struttura: «Claudia Yesenia, accanto a tanti orrori accaduti, Dio ti ha donato una zia che si è presa cura di te, un ospedale che ti ha assistito e infine una comunità che ti ha accolto. Questa casa è una prova dell’amore che Gesù ha per voi e del suo desiderio di starvi molto vicino. Lo fa attraverso la cura amorevole di tutte le persone buone che vi accompagnano, che vi vogliono bene e vi educano».

Ultima tappa Cartagena, sui Caraibi, importante tappa anche culturale, oltre che religiosa, perché la cultura colombiana ha una forte componente caraibica. Il papa in questa ultima sosta, ha voluto lanciare un messaggio forte a proposito delle sperequazioni sociali gravissime che ancora vigono in Colombia. E lo ha fatto con gesti e parole che riaffermano fortemente “l’opzione preferenziale per i poveri” del Vangelo. All’Angelus, nella chiesa di san Pietro Claver, ha detto: «Poco prima di entrare in questa chiesa, dove si conservano le reliquie di san Pietro Claver, ho benedetto le prime pietre di due istituzioni destinate a persone con gravi necessità e ho visitato la casa della signora Lorenza, dove accoglie ogni giorno molti nostri fratelli e sorelle per dare loro cibo e affetto. Questi incontri mi hanno fatto tanto bene perché lì si può toccare con mano l’amore di Dio che si fa concreto, si fa quotidiano».

E ha indicato Nostra Signora di Chiquinquirá come «paradigma di tutti coloro che, in vari modi, cercano di recuperare la dignità del fratello caduto per il dolore delle ferite della vita, di quelli che non si rassegnano e lavorano per costruire loro un’abitazione dignitosa, per assisterli nei bisogni impellenti e, soprattutto, pregano con perseveranza perché possano recuperare lo splendore di figli di Dio che è stato loro strappato». Per concludere così: «Sono i poveri, gli umili, quelli che contemplano la presenza di Dio, coloro a cui si rivela il Mistero dell’amore di Dio con maggiore nitidezza. Essi, poveri e semplici, furono i primi a vedere la Vergine di Chiquinquirá e diventarono suoi missionari, annunciatori della bellezza e della santità della Vergine».

E infine, per allargare lo sguardo sull’intera America Latina, il papa ha voluto pregare per il vicino Venezuela: «Desidero assicurare la mia preghiera per ciascuno dei Paesi dell’America Latina, e in modo speciale per il vicino Venezuela. Esprimo la mia vicinanza ad ognuno dei figli e delle figlie di quella amata nazione, come pure a coloro che hanno trovato in questa terra colombiana un luogo di accoglienza. Da questa città, sede dei diritti umani, faccio appello affinché si respinga ogni tipo di violenza nella vita politica e si trovi una soluzione alla grave crisi che si sta vivendo e che tocca tutti, specialmente i più poveri e svantaggiati della società».

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