I figli: scelti dal medico o dai genitori?

Intervista a Daniela Notarfonso, vicepresidente di Scienza e vita. «Guardiamo all’uomo, alla donna e ai diritti dell’embrione. Altro che retrogradi».
Daniela Notarfonso

«Il merito di Robert Edwards è di aver ottimizzato le tecniche scientifiche utilizzate in veterinaria, applicandole alla donna. C’è tuttavia il pericolo di trasformare la procreazione, che è la trasmissione di una realtà profondamente umana e di un intero patrimonio di vita, in un mero meccanismo tecnico scientifico e questo, credo, che non renda un servizio all’uomo».

 

Daniela Notarfonso, medico bioeticista di Roma e direttore di un consultorio familiare, nonché vicepresidente nazionale di Scienza e vita, di coppie che non riescono ad avere figli ne incontra tante. Spesso si ritrova davanti persone confuse, che sono state indirizzate verso centri che praticano la fecondazione assistita senza essere informate come se questa fosse l’unica scelta possibile. Inoltre, se si accenna la seppur minima critica a questa tecnica, commenta, «si viene qualificati immediatamente come retrogradi, anche se non si valutano le conseguenze della fecondazione assistita dal punto di vista umano».

 

L’attribuzione del Nobel ad Edwards è stato contestato dalla Chiesa. Perché?

«Credo che quando si parla di contestazione si debba contestualizzare bene la situazione. Non si contesta la qualità scientifica della scoperta, ma l’approccio riduzionistico che c’è dietro».

 

Vale a dire?

«Il primo punto riguarda la procreazione, diventata mera riproduzione. L’efficacia tecnica va benissimo, è quello che c’è intorno che non va. Il secondo punto è infatti lo spreco degli embrioni. A distanza di 32 anni da quando questa tecnica è stata applicata, a tutt’oggi quando si scelgono gli embrioni da impiantare, molti vengono scartati e congelati. Resta quindi insoluta la questione dell’embrione, del mistero che c’è dietro, del fatto che per far nascere un bambino – e l’efficacia della tecnica non supera ancora il 30 per cento – nelle varie tappe del processo di fecondazione assistita si verifica una vera e propria selezione».

 

Poi c’è il problema della salute della donna…

«La fecondazione assistita necessita di un’aggressione, dal punto di vista terapeutico, al corpo della donna: c’è il bombardamento di ormoni, l’invasività della tecnica per il prelievo degli ovociti. Sono tutte queste cose che lasciano perplessa la Chiesa cattolica, che si esprime in un certo modo perché guarda al significato più profondo della procreazione. È il rispetto della vita, la differenza tra l’uomo e l’animale. La validità di una tecnica non si può misurare solo con numeri e risultati, ma anche col significato antropologico ed etico delle scelte operate. Inoltre, fa riflettere il fatto che, seppure in questi 32 anni siano stati compiuti progressi per migliorare le tecniche di fecondazione assistita, non è stato fatto nulla per rimuovere le cause dell’infertilità».

 

Non si cura l’infertilità perché non conviene?

«L’infertilità e la sterilità sono aumentate e sono legate a fattori quali inquinamento, stress, aumento dell’età media alla quale le donne cominciano a pensare ad un figlio, incremento delle malattie sessualmente trasmesse e mancanza di politiche sociali che favoriscano le famiglie giovani. Esistono poi delle problematiche psicologiche ed antropologiche che dovrebbero essere approfondite: da un lato, nel volere un figlio a tutti i costi, non si tiene presente che nessuna persona può essere voluta se non per se stessa. Vale a dire che nessuna persona può essere considerata uno strumento per soddisfare il bisogno di un altro.

 

Andrebbero poi studiati gli effetti sul nascituro, che è stato scelto tra tanti altri embrioni, non come risultante di un atto d’amore, ma per la scelta tecnica di un medico. E anche se alla fine è stato il prescelto, sarebbe potuto anche essere l’embrione eliminato. Questa relativizzazione, dal punto di vista psicologico, genera una insicurezza esistenziale, che non si accorda con il rispetto per la unicità e la irripetibilità di ogni uomo, necessaria misura di ogni relazione. E questa non è certo una questione di poco conto».

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