I brindisi di Jozi

Articolo

Bratislava, domenica 29 ottobre 2006. In un centro dei Focolari, insolitamente affollato, si festeggia il 30° compleanno di Joz?i. È festa sì, ma si respira anche un’aria solenne, direi sacra. Tutti sanno infatti che quel giovane biondo e dai luminosi occhi azzurri, circondato dal loro affetto, è giunto all’ultima tappa di una malattia mortale, anche se ignorano che gli restano ancora tre mesi di vita: tre mesi durante i quali rimarranno stupiti dalla sua capacità di soffrire irradiando pace attorno a sé. Davanti agli intervenuti, sta per leggere un saluto che lui stesso ha preparato. Più esattamente è una testimonianza, la sua storia con Dio. Molti la ricorderanno come il suo testamento. Vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato ad arrivare al punto in cui sono… , comincia a leggere. Era nato a Pres?ov, nella Slovacchia orientale. A 15 anni si imbatteva, attraverso due suoi coetanei, nella spiritualità dei Focolari, rimanendo attratto in particolare dalla proposta di una santità di nuovo genere; lui che, educato ai valori cristiani, fin da ragazzo aveva aspirato a questa meta. Nell’Ideale dell’unità – continua Joz?i – ho visto la possibilità di realizzare quel sogno: essere uno che si fa santo non da solo ma insieme agli altri. Infatti mi ha affascinato che l’unico annuncio di Dio che oggi si possa dare è Gesù fra noi, perché è lui stesso l’annuncio. Una santità collettiva, dunque, capace di far vedere al mondo Cristo presente fra più persone che hanno preso sul serio il suo comandamento dell’amore. E siccome l’esperienza dell’unità non s’apre se non a chi sa annullare il proprio io sull’esempio di colui che si è sentito abbandonato sulla croce, una santità esente anche dal sottile egoismo spirituale che può nascondersi in una ricerca della perfezione fine a sé stessa, che non sia conseguenza dell’amore. Sette anni dopo questa scoperta, studente di economia, Joz?i andava a vivere nel focolare di Kosice e poi in quello di Bratislava: desideroso di contribuire anche a lui a questa convivenza il cui senso sta unicamente nel comandamento nuovo di Cristo vissuto, s’impegnò al massimo per questo scopo. Chi lo ha conosciuto più da vicino lo descrive come un ragazzo mite, non uno che si impone. Penso che avesse un’antenna in più per le realtà soprannaturali. Aveva sempre la voglia di oltrepassare la propria ombra; Per lui erano importanti soltanto le cose essenziali.Non si faceva prendere da quelle che non hanno valore; Non si vergognava delle sue debolezze e non le copriva. Non aveva paura di cercare pazientemente delle soluzioni anche se non si arrivava a capire o risolvere. Mentre però era in attesa di concludere il periodo del servizio civile, una forte prova spirituale gli faceva decidere di abbandonare la strada intrapresa. La realtà del focolare, che inizialmente aveva visto come una potenza tale da attirare le masse, non gli sembrava più corrispondere con l’idealità. A un certo punto – continua Joz?i nella sua lettura – mi è sembrato che più dell’uomo fossero importanti le cose da fare. Questo mi pesava abbastanza e non sempre sono riuscito a digerirlo… Il fatto è che non mi sentivo le forze per accettare la realtà così com’era. In quel periodo la Slovacchia entrava a far parte dell’Unione europea, e Joz?i frequentava un corso di economia internazionale. Un ragazzo attraente come lui, che amava sciare e ballare, non lasciava indifferenti alcune delle sue colleghe. Sarebbe stato libero di programmare la propria vita, di farsi una famiglia. Ma Joz?i comunicava i propri stati d’animo agli amici del focolare, che continuava a frequentare: Non so cosa Dio mi chieda, ma sento che non posso mai tornare indietro dalla mia scelta. E proprio questa consapevolezza lo portò ad accettare ogni contrarietà e a rinnovare la sua donazione. Dopo appena otto mesi veniva ricoverato in ospedale per un malessere che si sarebbe rivelato una malattia incurabile. Avvertito della gravità, e ricordando l’offerta fatta mesi prima, Joz?i dichiarava con fermezza: Allora non c’era materia. Ora ho veramente come dare vita. Era l’inizio di una nuova tappa. Nel febbraio 2005 concretizzava la sua aspirazione a tornare in comunità, non senza qualche incertezza: Pensavo che nella mia situazione di salute forse non avrei potuto lavorare e la mia funzione sarebbe stata un po’ insolita. Straordinaria la conclusione cui giunse: anche se impedito nello svolgere le attività di un tempo (ma fino all’ultimo, con le poche forze residue, si sarebbe occupato di un gruppetto di giovani), si impegnava ad offrire ogni sofferenza per quel pezzetto di Chiesa rappresentato in particolare dal focolare. Le stesse flebo diventavano così un esercizio per entrare nel ritmo di Dio. Goccia dopo goccia si purifica la mente da ciò che non è essenziale, da ciò che non è presente.Non perdo mai la pace. Quando si presenta un nuovo dolore, sì Gesù! gli dico, e rinnovo la mia offerta. Non arrivo neanche a dire un secondo sì che il dolore è già diventato leggero e la paura si è dileguata. Intanto da tutto il mondo comin- ciavano ad arrivare segni di partecipazione al suo stato di salute. Con sorpresa e gioia Joz?i si sentiva un anello di una catena d’amore planetaria, il che a sua volta lo stimolava a non cedere nemmeno un momento nel sentirsi responsabile dei progressi spirituali altrui, impegno che ora però subiva un’accelerazione per la consapevolezza che mi rimanevano pochi mesi di vita. Joz?i è giunto alla conclusione del suo discorso. Ogni tanto solleva gli occhi dai fogli che sta leggendo – quegli occhi azzurri dai quali traspare una gioia profonda – per guardare l’assemblea che lo circonda commossa. È la sua famiglia più vera, cui è unito da legami non di sangue, in rappresentanza di una più vasta dalla quale si sente costruito e per la quale lui sta dando ora la vita. Qualche settimana fa sono entrato in un’altra prova spirituale – confessa con semplicità -. Nonostante la preghiera, mi sembrava che dall’altra parte non arrivasse più nessuna risposta. Avevo forti dolori alle gambe. Era rimasto soltanto il dolore, non c’era nessun aiuto dall’alto. A quel punto mi sono ricordato dell’impegno preso e ho visto che potevo offrire proprio quel dolore per gli altri. E quando ho comunicato questo, subito è tornata una luce nuova. Non so quali altre sfide ci saranno, cosa mi aspetta nel tempo che rimane.Una cosa voglio: continuare su questa via e rispondere con piena adesione a quello che Dio mi chiede, in modo che possiamo incontrarci poi tutti nella beatitudine eterna. Ma anche adesso sento che stiamo assaggiando quel paradiso. Grazie a voi e a ciascuno per quanto avete fatto per me… ed ora vi invito ad un brindisi!. LA FORTUNA CHE M’È CAPITATA Se ho paura della morte? Ho già risolto questo problema e sento la pace. Per me la domanda della morte non è più una domanda. Anzi la stessa malattia arrivata dopo l’offerta della mia vita è la risposta, il segno tangibile della presenza di Dio. Per me, che sono tanto razionalista e geloso della mia libertà, tutto quello che sta succedendo mi fa capire che dare a Dio la propria vita significa restituire a lui le redini e fargli fare quello che vuole. Penso che oggi, come sempre, non possa capitare una fortuna più grande. Può sembrare, la mia, una affermazione paradossale, ma il tempo fa capire che accettare quello che può sembrare assurdo è la cosa più intelligente che si possa fare. Joz?i Imrich

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons