I bambini di Mengs

L'infanzia è il tempo della bellezza e della spontaneità. Anche quando si tratta di teste coronate, come nei dipinti di Velàzquez, i piccoli mantengono la libertà di uno sguardo che supera le vesti e le acconciature a cui li sottopongono gli adulti
Il direttore della Galleria degli Uffizi Eike Schmidt, all'inaugurazione della mostra "I nipoti del Re di Spagna" alla Sala delle Nicchie in Palazzo Pitti ANSA/MAURIZIO DEGL ' INNOCENTI

Nella rassegna a Firenze, Palazzo Pitti, dedicata ai ritratti di Anton Raphael Mengs – I Nipoti del re di Spagna, fino al 7 gennaio (catalogo Sillabe) –, si verifica proprio questo aspetto di tranquilla libertà dei piccoli, nonostante il culto dell’apparenza, tipico dei grandi, soprattutto se si tratta di gente di rilievo. In questo caso, l’importanza è elevata. Il pittore tedesco infatti, “primo pitor de camera” alla corte spagnola, aveva ottenuto una licenza di soggiorno in Italia a patto che ritraesse a Firenze i figli del Granduca Piero Leopoldo di Asburgo Lorena cui la moglie, Maria Luisa, avrebbe dato ben 14 eredi. Misura necessaria, data l’alta mortalità infantile che non risparmiava neppure le case regnanti.

Mengs, artista di sentimenti elevati e di un gusto neoclassico raffinato, non era un pittore freddo e algido. I ritratti dei bambini del Granduca lo dimostrano, ora che è possibile vederli sfilare – portati dal Museo madrileno del Prado – a Palazzo Pitti, dove furono lavorati in varie sedute e compiuti il 30 settembre 1770.

Naturalmente, Mengs aveva ritratto il suo “padrone”, cioè Carlo III di Spagna, sorridente e furbo col suo gran naso che fende l’ambiente e quindi ritrae pure il Granduca toscano, meno nasone, aria più intelligente in bianco e rosso vestito, da governante illuminato come si dimostrava.

Poi è toccato ai 4 figli, di allora. Ecco i primogeniti, per rispettare l’ordine gerarchico. Maria Teresa in posa accanto alla gabbia con l’uccellino, veste di seta con bei nastri rosa, i capelli inghirlandati: occhietti vivaci, aria da buona bambina dolce. Il maschio è Francesco, proprio piccolo ma già vestito di seta blu con la cuffia bianca in testa: ha un fare da uomo adulto, con l’indice teso verso di noi e una mano appoggiata alla poltrona damascata. Un ritratto già da “grande” in posa autoritaria. Ma il viso colorito dice il contrario, il bambino è quieto, pacato nella veste troppo grande. Mengs ha l’astuzia di farci vedere la verità: per il piccolo è tutto un gioco, al contrario di quanto pensano gli adulti.

Gli altri due figli, meno importanti gerarchicamente, sono ritratti insieme. Gli arciduchi Ferdinando e Maria Anna si danno la mano, sorridono tranquilli e stanno – lui in rosa, lei in verde – l’uno accanto all’altro con naturalezza infantile. La tela, benché incompiuta, è affascinante. Mengs entra davvero nel mondo dei bambini, cerca e trova subito la loro anima lieta e innocente; ce la fa vedere piena di gioia. In un’epoca in cui non esisteva la fotografia, c’erano i pittori e certo il re spagnolo deve aver gioito nel vedere dei nipoti così belli, gai e ben vestiti. La dinastia continuava, soprattutto. Questo, per lui.

Per noi il sorriso dei due piccoli granduchi rimane un sipario aperto su un mondo e un’atmosfera che si vorrebbe restasse sempre uguale, un mondo di luminosa serenità. Mengs ce l’aveva in cuore, l’ha trovata nei bambini subito, e ce la dà ancor oggi. Da non perdere.

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