Hip-Hop la strada si fa cultura

Parlano in rima a ritmo cadenzato. Camminano molleggiandosi. Tengono le mani con il mignolo, l’indice e il pollice all’infuori. Indossano vestiti oversize. Ma soprattutto ballano sull’asfalto con i corpi roteanti nell’hip hop o nella robotica break dance. Sono rapper e breaker, tutti giovanissimi. Con le ginocchiere anche sui gomiti, prendono slancio ballando normalmente; poi, con salti e rimbalzi, volteggiano sul pavimento in piroette sulla testa o sul dorso, con improvvise impennate e gambe all’insù. Con tutto il peso del corpo sulle mani il breaker si avvita, rimane sospeso per un tempo impercettibile. Poi si alza su una sola mano e il resto del corpo contorto, bloccato in aria.Tutto Tutto questo in mille variazioni create da singoli o da gruppi. Ne abbiamo visti molti questa estate giungere da ogni parte d’Italia al secondo appuntamento del Roma Hip Hop Parade (Rhhp), il festival internazionale di cultura hip hop organizzato da un’appassionata Vittoria Ottolenghi, la nostra critico di danza più autorevole, contagiosa nel trasmettere il suo entusiasmo per tutto ciò che è innovativo e giovane. Espressione artistica non più minoritaria, la danza urbana hip hop, con le sue varianti dal funk al freestyle, è un fenomeno in crescita che sta conquistando anche le pa- lestre, aggiungendovi lo sviluppo delle potenzialità espressive del corpo. Appartiene a quell’universo finora sommerso che la Ottolenghi ha il merito di aver portato alla luce anche nel nostro paese, conferendogli dignità pari alla danza più colta. Luoghi deputati della lunga kermesse – che ha visto la presenza tra gli altri di nomi storici come i francesi Vagabond Crew, il tedesco Storm, gli italiani Bottega e Almost Famous, lo statunitense Rahzel – sono stati, oltre a piazze e spazi alternativi, anche i vellutati teatri tradizionali con un pubblico vivace ed esplosivo, ma disciplinato, attento e partecipe. Dice con convinzione la Ottolenghi: “Quando il talento della danza oltrepassa il folclore della strada, allora merita tutto il nostro rispetto”. Molti dei gruppi hanno rappresentato vere e proprie coreografie con storie e contenuti, manifestando una perfezione stilistica e una capacità tecnica straordinarie. Una professionalità che svela talenti e merita la massima attenzione. Nato negli Stati Uniti – per fuggire dalla violenza delle gang, degli spacciatori e dei rapinatori, e trasformare un’epoca di distruzione in qualcosa di vivo – il mondo hip hop (che comprende musica, danza, poesia rap, grafica e pittura, video e digital art) non ha solamente connotato gli spazi metropolitani con il segno indelebile del graffitismo. Dalla strada al palcoscenico, dalla emarginazione alla piena visibilità, la cultura hip hop, evolvendosi e raggiungendo in breve tempo gli altri continenti, ha rivelato la necessità espressiva di una giovane generazione portatrice di istanze conflittuali che contengono una ricchezza creativa, operando, oltretutto, una silenziosa e inconsapevole in- tegrazione razziale unendo ragazzi bianchi e di colore. Basti pensare che oggi il gergo e i modi che all’inizio erano esclusivamente dei neri, ormai appartengono ai ragazzi di ogni latitudine. Un mondo, insomma, che ha superato confini geografici ed espressivi contagiando e influenzando anche le arti più tradizionali fino alla moda, e imponendosi soprattutto come una vera e propria cultura: un modo di essere e di esprimersi che aggrega, che ha un suo linguaggio e un suo glossario, dei codici, regole e forme di comunicazione. Con una propria armonia comportamentale. Basti vedere le sfide a colpi di coreografia e al ritmo del Djing (manipolazione del suono compiuta da un disc jockey che lavora su più giradischi tradizionali) tra piccoli gruppi in cerchio che si formano per strada: si entra e si esce in continuazione dal centro per la personale breve esibizione del B-Boy (“breakbeat boy”, ragazzo che balla la breakdance) di turno, accompagnato da applausi di ammirazione. Tutti partecipano, sia chi balla, sia chi guarda. Pure chi, a sua volta, oltre la cerchia osserva incuriosito. Perché è un’arte che permette ad un vasto pubblico di accostarvisi senza particolari mediazioni intellettuali.

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