Guardandosi in faccia o su Internet?

L’ANIMA GEMELLA Guardandosi in faccia o su Internet? Albert, in cerca dell’anima gemella, si presentò con un trafiletto su un mensile cattolico della Germania: la seconda guerra mondiale era terminata da poco e molti erano gli uomini morti nel conflitto. In breve tempo gli arrivarono quasi 100 risposte: scelse di incontrare Brigitte, che gli si presentava come creatrice di moda. Chissà se oggi, che ad ottant’anni stanno apprendendo l’uso del computer per comunicare via e-mail con i figli, si fiderebbero ad utilizzare i servizi di matchfinger, i programmi di annunci personali via Internet che incrociano i profili e mettono in contatto gli utenti con il partner dei loro sogni. Questi programmi vi sembrano un gioco? Sappiate che sono anche un affare: il business degli abbonamenti (poche decine di euro a persona) è salito del 549 per cento in un anno. Cinque milioni di persone sono iscritte al circuito www.match.com ed i loro profili sono quindi disponibili sul web, mentre 650 mila sono gli attuali abbonati. Il primo bimbo nato sotto il segno di www.match.com sta per compiere sette anni, e la rete sta per festeggiare il matrimonio numero 1.301. In Italia www.meetic. it, aperto solo da novembre, offre già più di 50 mila profili. Questi moderni sensali di nozze elettroniche hanno ormai soppiantato le tradizionali agenzie matrimoniali, visto che i servizi in rete non sono soggetti ad alcuna licenza. Con quali garanzie? Non molte a giudicare dal boom dei libri che spiegano, soprattutto alle donne, come evitare brutte sorprese nei web-appuntamenti: crearsi un buon nick-name (un nomignolo), cosa e come scrivere al computer, non prendere l’iniziativa, non dare numeri di telefono e così via. Ma basterà? DA SPETTATORI AD ATTORI Le responsabilità del pubblico “Dubitiamo delle capacità di cambiare le cose in meglio, visto che ignoriamo il nesso tra ciò che facciamo o non facciamo, e quanto ci viene mostrato in tv”. Non ha nascosto certo il suo pessimismo il sociologo polacco Zygmunt Bauman, già docente all’Università di Leeds, al recente convegno “Parabole mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione”. L’informazione globale, secondo lo studioso, illude spesso gli spettatori di conoscere tutto, ma non concede loro la possibilità, e la speranza, di poter cambiare qualcosa: un senso di impotenza che potrebbe, a suo giudizio, trasformare la gente in meri spettatori indifferenti alle sofferenze che ogni giorno i mass media trasmettono. Esiste, egli afferma, una pericolosa affinità fra negare il male e non opporsi ad esso: è la negazione della colpa, più evidente quando i messaggi in arrivo si fanno troppo inquietanti, minacciosi o anomali. In genere di fronte ad argomenti di cui siamo privi di conoscenza o sui quali ci sentiamo incapaci di intervenire, assumiamo, secondo lo studioso polacco, un atteggiamento di “attesa”, diveniamo dei by-stander, imprigionati nel “non sapevo o non ho potuto fare nulla”. Come se ne esce? Tutto dipende, secondo Bauman, solo dalla nostra presa di coscienza che tutti dipendiamo gli uni dagli altri e siamo responsabili del prossimo: divenire o non divenire “attori”, assumersi le responsabilità di ciò che ci compete, agire di conseguenza, fa la differenza per la vita e le opportunità nostre ed altrui. IN LIBRERIA Un Galateo per il cellulare “Il cellulare è come la sigaretta: è fortemente inquinante ed usarlo vicino agli altri è un gesto molto, molto maleducato”. Attivare quindi il vibraphone ed allontanarsi in caso di chiamata. È questo uno dei consigli offerti da Emanuele Invernizzi nel suo MobileEtiquette. Le dieci regole per l’uso del cellulare (Edizioni Lupetti, 2002, M 4,50), un gradevole manuale della buona educazione nell’uso del cellulare. Già in apertura l’autore offre una risposta al dilemma: averlo o non averlo? “Si può scegliere – afferma Invernizzi – di non avere il cellulare solo se si è molto importanti: al punto di avere qualcuno che lo usa per voi”. Necessario dunque. E come comportarsi con le chiamate giunte a cellulare spento? La segreteria, sempre attiva, è indispensabile. Altrimenti si rischia di dare questo segnale: “Non me ne importa niente di te: se proprio vuoi, richiamami e riprova finché lo troverai acceso”. È buona norma, inoltre, che il messaggio non sia anonimo, ma registrato con la propria voce, perché chi chiama non sia obbligato a verificare se ha sbagliato numero. a cura di Paolo Crepaz ed Irene Gambino netone@cittanuova.it

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